
Per scongiurare a Trieste una spaccatura del partito sull’asse nazionale, temendone le conseguenze sul piano interno, Togliatti aveva aperto in città un ufficio del PCI, che funzionasse da punto di riferimento e valvola di sfogo per i militanti italiani sempre più esasperati. Il movimento comunista regionale era infatti lungi dall’essere compatto: a causa dell’intransigenza con cui il gruppo dirigente jugoslavo perseguiva l’obiettivo dell’annessione di Trieste alla Jugoslavia, la scissione su base nazionale era da tempo un rischio concreto <11. La dirigenza slovena, che dal 1944 controllava saldamente il partito triestino, aveva fissato una strategia nella quale obiettivi sociali e nazionali si mescolavano in modo potenzialmente dirompente: bisognava sfruttare la sconfitta del fascismo per imporre il regime comunista e al contempo ricacciare l’Italia dietro ai confini del 1918, annettendo tutta la Venezia Giulia alla nuova Jugoslavia di Tito <12. L’iniziativa di Togliatti, volta a impiantare in loco una rappresentanza permanente del PCI, era stata vissuta dai dirigenti sloveni come un affronto. E peraltro, come ammetteva lo stesso direttore dell’ufficio Giordano Pratolongo, non si era rivelata sufficiente <13. L’unica via d’uscita sembrava quella di mandare sul campo un leader energico a cui affidare l’incarico di rinnovare il partito dal di dentro. Per Togliatti il profilo giusto era quello di Vittorio Vidali. Originario di Muggia, una cittadina alla periferia di Trieste, Vidali era un temuto uomo d’ordine del Comintern e degli apparati sovietici, abituato a lavori di «pulizia» all’interno dei partiti comunisti e circondato dall’aura leggendaria del comandante Carlos della Guerra civile spagnola <14.
Il ritorno di Vidali a Trieste
Vale la pena considerare brevemente le posizioni sulla questione di Trieste assunte da Vidali dalla fine della guerra in poi. Dal Messico, dove si trovava dal 1939, Vidali seguiva con crescente apprensione l’evolversi dei contrasti che interessavano la regione alto-adriatica. Il favore inizialmente annotato nei diari per l’idea autonomista – «Non c’è dubbio che Trieste deve essere una città libera. Così cesserà di essere un pomo della discordia» <15 – cedette man mano il passo a un’aperta condanna della politica annessionista attuata dalla direzione slovena. Siamo in grado di seguire il montare del dissenso di Vidali nella sua corrispondenza con alcuni compagni di partito amici: Giuseppe Di Vittorio, Mario Montagnana, Ivan Regent. Infatti, l’FBI americana lo teneva in costante osservazione e censurava le sue lettere in uscita; dunque sappiamo che «[Vidali] is an outspoken defender of Trieste for the Italians and is strongly opposed to Tito» <16. Se ci fosse bisogno di trovare conferma ai report dell’FBI, possono bastare le parole comunicate a Montagnana all’inizio del 1946: «Credo sia stato un errore del Partito comunista della Regione Giulia dichiararsi per l’unione della Giulia alla Jugoslavia» <17. Del resto, in una lettera lunga e argomentata scritta al fratello Umberto poco prima dell’addio al Messico, si era attribuito un forte sentimento di italianità di matrice «garibaldina» <18. Con lo sloveno Regent, i pareri uscivano appena più sfumati; ma la loro amicizia, sbocciata nelle barricate contro lo squadrismo triestino subito dopo la Grande guerra, era talmente forte che a perorare presso Mosca e Lubiana la causa del suo ritorno dal Messico fu proprio Ivan <19. Se si voleva contenere l’opposizione alla linea annessionista, montante all’interno e all’esterno del partito, consegnando ai comunisti italiani di Trieste la guida che a loro mancava, si doveva puntare su una figura carismatica e di prestigio: per lui non poteva essere che «Toio» <20.
Piuttosto ironicamente, valutazioni in un certo senso uguali e contrarie dovettero iniziare a svilupparle i Governi di unità nazionale al potere nell’Italia liberata dal nazifascismo. La battaglia diplomatica per salvare il salvabile del confine orientale fu una delle prove più angosciose che le nuove classi dirigenti, investite del compito di ricostruire il paese, si trovarono davanti all’indomani della guerra <21. La ricomposizione dell’influenza italiana nel tessuto politico locale, azzerata ancor prima che le ostilità cessassero, sarebbe stata enormemente facilitata dall’intervento di un leader capace di allargare le divisioni del fronte comunista. In altri termini, aveva preso forma una significativa ed eterogenea convergenza di interessi affinché Vidali tornasse finalmente nei luoghi in cui era nato e cresciuto, dopo ventiquattro anni di peregrinazioni per il mondo. Nell’autunno 1946, il PCI e i socialisti in Italia sedevano al governo. Quando le pratiche per la sua partenza si sbloccarono e subirono un’improvvisa accelerazione, il segretario del Partito socialista Pietro Nenni era ministro degli Esteri. La documentazione per il viaggio – un regolare passaporto della Repubblica italiana intestato a suo nome – fu consegnata a Vidali dall’Ambasciata d’Italia in Messico <22. I soldi per affrontarlo, 490 dollari statunitensi, li prese dall’ambasciatore italiano negli USA Alberto Tarchiani <23. Non è questa la sede per raccontare nel dettaglio il percorso tortuoso seguito da Vidali per raggiungere Trieste dal Messico. Basti dire che a Mosca, dove fece tappa prima di sostare a Belgrado e Lubiana, ebbe un incontro significativo con l’ambasciatore italiano Manlio Brosio. Dalla documentazione statunitense, emerge che i due discussero insieme del suo imminente ritorno a Trieste <24. Il fatto che l’episodio fu poi tenuto nascosto ai dirigenti jugoslavi, e che da questi gli fu spesso rinfacciata la «segretezza» delle modalità con cui si realizzò il rimpatrio, può essere una spia del coinvolgimento interessato del governo italiano nella vicenda <25. Solo alle autorità anglo-americane di stanza a Trieste avrebbe confessato, più tardi, che il viaggio gli era stato «pagato dal governo italiano» perché il suo status era quello di «rifugiato del Ministero degli Esteri di Roma presso l’ambasciatore Luigi Petrucci a Città del Messico», producendo le relative certificazioni <26.
Per varcare il confine tra la Jugoslavia di Tito e la zona A del TLT appena costituito, l’attesa di Vidali non fu così lunga quanto la versione delle sue memorie posteriori vorrebbe far credere, nello sforzo di retrodatare i conflitti con i comunisti jugoslavi alla luce dello scisma con Stalin dell’anno dopo. In effetti, in “Dal Messico a Murmansk”, in “Giornale di bordo” e ancor più in “Ritorno alla città senza pace” <27, la tendenza è quella di auto-rappresentarsi a Lubiana come una sorta di prigioniero politico, tenuto sotto esame da autorità ostilmente imperscrutabili e risolute nel rifiutargli il via libera senza un chiaro perché.
La realtà è diversa. Delle divergenze nutrite da Vidali sulla gestione jugoslava del problema di Trieste fino a quel momento, abbiamo detto; ma il suo arrivo era la chiave di volta di un percorso comunque concordato assieme dal PCI e dal PCJ. Nella fondazione di un nuovo partito del TLT, quel percorso trovava appunto lo sbocco e lo strumento per correggere la linea. Vidali doveva essere il garante del progetto, sotto l’alta benedizione sovietica. La sosta in Slovenia può pertanto dirsi «tecnica», funzionale ai due partiti per mettere a punto gli ultimi dettagli dell’accordo. Ebbe modo di presentarsi lui stesso, senza troppi giri di parole, al Comitato esecutivo del Partito comunista della regione
Giulia (PCRG): creato dagli jugoslavi nel 1945 per gettare una prima unificazione amministrativa del territorio contestato, il partito stava ora per passare la mano al PCTLT <28. L’incontro si tenne il 29 marzo 1947 nella zona B occupata dall’esercito di Tito e gli accenti usati da Vidali, più che persuasivi, risuonarono perentori: «Voi vi dovete accingere a questa discussione precongressuale con fede, dovete comprenderla nella linea, dovete comprendere che si apre una nuova fase. La fase passata resterà alla storia» <29. Tradotto: per competere e sperabilmente vincere le elezioni, il partito doveva abbandonare la tendenza al settarismo; da avanguardia della lotta del proletariato doveva aprirsi agli strati più larghi dei ceti medi. In una città nazionalmente polarizzata come Trieste, altro non voleva dire che rinunciare a fare una politica filo-jugoslava (e anti-italiana). L’accordo formale siglato tra PCI e PCJ il 7 aprile a Belgrado per la costituzione del PCTLT recepiva precisamente questi contenuti, sottolineando la necessità di convocare il congresso fondativo al più presto <30. Il Comitato centrale del Partito comunista sloveno (PCS) esprimeva il suo assenso all’invio di Vidali a Trieste e tre giorni dopo, l’11 aprile, lui faceva il suo ingresso nella zona A del TLT <31.
[NOTE]
11 FIG, APCI, M, s. Jugoslavia e Venezia Giulia, fasc. Rapporti di Giacomo Pellegrini dopo il 25 aprile 1945, mf. 093; s. Esteri, fasc. Documenti riguardanti il PC francese, 21/4/1946, mf. 217. Questa è la realtà fotografata dal rappresentante del PCI a Trieste Giacomo Pellegrini, fatta propria da Togliatti in una lettera al segretario del PC francese Thorez nell’aprile 1946.
12 N. Troha, Chi avrà Trieste? Sloveni e italiani tra due Stati, Irsml FVG, Trieste 2009; P. Karlsen, Frontiera rossa, cit., cap. II.
13 FIG, APCI, s. Jugoslavia e Venezia Giulia, fasc. Ufficio informazione del PCI a Trieste 1946-47, Appunti sulla situazione di Trieste, mf. 96, 21/11/1946.
14 Su Vidali, cfr. l’agiografico M. Passi, Vittorio Vidali, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1991 e P. Karlsen, Vittorio Vidali: per una biografia del Novecento. Stato delle conoscenze e problemi metodologici, in «Annali», Istituto Italiano per gli Studi Storici, a. XXV, 2012.
15 Archivio Istituto Livio Saranz (AILS), fondo Ernesto e Laura Weiss, fasc. 45: Vittorio Vidali. Scritti 1930-1985 e s.d., Diario México, doc. 1064, 7/3/1944 (or. spagnolo, trad. mia): qui Vidali commentava le tesi dello scrittore sloveno-americano Louis Adamic.
16 U.S. Department of Justice, Federal Bureau Investigation (FBI), Freedom of Information Act (FOIA), Vittorio Vidali’s File, documenti (docc.) 27937-27940.
17 FIG, Archivio Vittorio Vidali (AVV), s. Fasciscoli personali, fasc. Mario Montagnana, Lettera a Mario Montagnana, 20/1/1946. «Se il partito che dirige il movimento italiano nella Giulia è quello della Democrazia cristiana, predominante nel CLN, la colpa l’abbiamo noi perché, come afferma Regent, “noi non ne facciamo parte”»: Vidali qui si riferisce alla decisione dei comunisti di uscire dal Comitato di liberazione nazionale di Trieste nel settembre 1944.
18 FIG, AVV, s. Mexico, fasc. Lettere dal Mexico, n. 47.
19 Cfr. le lettere tra Regent e Vidali degli anni Quaranta conservate nell’Archivio della Repubblica di Slovenia (ARS): SI AS 1748, 3, 4, 5.
20 Con questo diminutivo del nome proprio Vittorio, Vidali firmava le sue missive a Regent: ivi.
21 M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, cit., cap. VIII; R. Pupo, Fra Italia e Iugoslavia. Saggi sulla questione di Trieste, Del Bianco, Undine 1989.
22 National Archives and Records Administration (NARA), Records of the Army Staff (RAS), Intelligence and Investigative Dossiers Personal Files, Vittorio Vidali File, AC857304, Counter Intelligence Corps, Report, 12/12/1947. L’ambasciatore era Luigi Petrucci.
23 Ibid.
24 Purtroppo, di questo incontro Brosio non ha lasciato traccia nei suoi diari conservati presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino, archivio ad nomen.
25 Archivio dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia (AIRSML), sez. Venezia Giulia, f. Gasperini, doc. 3068.
26 NARA, RAS, Vittorio Vidali File, cit., Counter Intelligence Corps, 12/12/1947, cit. Tutti questi documenti sono conservati e consultabili nel suo archivio personale: AVV, s. México, fasc. Viaggio 1947.
27 Tutti pubblicati dall’editore Vangelista, Milano: rispettivamente 1975, 1977, 1982.
28 FIG, APCI, M, Verbali della segreteria, 7 luglio 1945, b. 438, mf. 271, n. 108; s. Jugoslavia e Venezia Giulia, fasc. Rapporti di Giacomo Pellegrini dopo il 25 aprile 1945, Relazione di Pellegrini, 28 luglio 1945; ivi, Lettera di Pellegrini a Togliatti, 30 luglio 1945.
29 ARS, f. 1569, ae 160.
30 FIG, APCI, M, Verbali della segreteria, 10 aprile 1947, allegati, b. 435, mf. 268, n. 41.
31 ARS, AS 1583, Vidalijev Obaveštajni Centar (1948-1958); NARA, RAS, Vittorio Vidali File cit., Counter Intelligence Corps, 12/12/1947, cit.
Patrick Karlsen, La «terra di mezzo» del comunismo adriatico alla vigilia della rottura fra Tito e Stalin in «Qualestoria», Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, n. 1, giugno 2017