
Il procedimento contro Odorico Borsatti fu l’unico fra quelli aperti dalla Commissione di Giustizia e giunti sulla scrivania del procuratore di Stato a compiere l’intero iter procedurale dalla fase istruttoria, al dibattimento, al pronunciamento del verdetto, alla formulazione e all’esecuzione della sentenza. Il procedimento lasciò tracce profonde in tutte le fasi restituendo molti elementi per l’analisi dell’organizzazione e del funzionamento del TDP [Tribunale del Popolo]<490.
In questa sede verranno tratteggiati brevemente i fatti che videro Borsatti assumere un ruolo di primo piano nella repressione del movimento di liberazione in Friuli <491 per metterli in relazione con le dinamiche e le modalità proprie del procedimento penale, un aspetto sinora trascurato dall’indagine storica. Questo particolare approccio permette di proporre alcune riflessioni sulle fonti giudiziarie e sui criteri per interpretarle. Partendo dal caso Borsatti si tenterà di ragionare intorno al tema dell’azione del TDP nella ricostruzione dei fatti operata nei giorni della liberazione e intorno ai meccanismi del giudizio per indagare secondo quali principi etici, giuridici e politici furono
stabilite le responsabilità e comminate le pene.
Prima di procedere all’analisi del procedimento è opportuno fare brevemente cenno alla biografia dell’imputato e all’attività svolta durante il conflitto. Odorico Borsatti nacque a Pola il 13 giugno 1921 <492. Suo padre Rodolfo era presidente e direttore amministrativo del Capanificio Istriano, uno stabilimento industriale che aveva fondato assieme ai cognati Francesco Scopinich e Giacomo Scracin. Sua madre Alice Scracin era figlia del noto imprenditore polese Giacomo Scracin <493. Se poco è noto sulla formazione di Odorico Borsatti e sulla sua istruzione <494, è assodato che nel corso della guerra prestò servizio nel reggimento lanceri “Novara” con il grado di tenente di cavalleria in servizio permanete effettivo. Borsatti inoltre conosceva la lingua tedesca <495; dopo l’8 settembre 1943 divenne interprete e aiutante del generale Emilio Canevari <496 e lo seguì a Berlino nella missione per arruolare gli internati italiani nell’esercito della RSI <497. Borsatti tornò in Italia quando le trattative fallirono ed espresse il rifiuto a continuare il servizio nell’esercito repubblicano; nel luglio del 1944 venne posto in stato d’arresto, ma poco dopo fu rimesso in libertà. Dopo un breve periodo di convalescenza si ripresentò in servizio. Secondo la sua testimonianza di fronte all’alternativa di tornare a Berlino o arruolarsi nelle SS, maturò la scelta di venir inquadrato nelle Waffen-SS <498. In breve fu destinato al comando di un plotone dalla Waffen-Gebirs (Karstjäger)-Brigade der SS, un reparto composto da soldati tedeschi e italiani.
Alla fine dell’estate del 1944 Borsatti venne inviato alla caserma “Piave” di Palmanova. Qui, con il grado di Waffen-Obersturmführer der SS <499, comandò un Reiter-Zug, un plotone a cavallo, costituito da circa quaranta soldati <500. Il reparto svolse operazioni di addestramento, ma Borsatti, con alcuni suoi uomini e altri militi appartenenti ai reparti fascisti, collaborò strettamente con il Comando delle SS/Polizei comandato dall’SS-Haurtsturmführer Herbert Pakebusch. L’attività di repressione del movimento partigiano fu condotta attraverso rastrellamenti, arresti, violenze indiscriminate, torture ai prigionieri ed esecuzioni sommarie <501.
Nel dicembre 1944, Borsatti fu trasferito con il suo Reiter-Zug a Venzone e successivamente a Colloredo di Montalbano. In questa zona fu impegnato principalmente in missioni di pattugliamento. Tra la fine del marzo e l’inizio dell’apirle 1945 partecipò con il suo reparto all’operazione Winterende nella selva di Tarnova. Nelle ultime settimane del conflitto il plotone venne trasferito a Latisana, luogo nel quale si sciolse <502.
Borsatti scelse di consegnarsi ai partigiani di Udine che lo arrestarono e lo processarono il 5 maggio 1945; la sera stessa eseguirono la condanna a morte che era stata comminata dal TDP.
Borsatti fu giudicato dal TDP in ragione di diversi fattori; pesarono le caratteristiche della collaborazione prestata, la gravità dei crimini commessi, la sua personale posizione e le modalità con le quali fu arrestato. Non vanno dimenticati il contesto del periodo e la posizione assunta da CLN e dai reparti partigiani nei confronti dell’imputato e in riferimento al più ampio programma di attuazione della giustizia contro i criminali nazifascisti nei giorni della liberazione. Il tenente Borsatti infatti era una figura nota e questo elemento, seppur non da solo, ebbe un peso rilevante nel caratterizzare la sua vicenda processuale. La sua condotta e le gesta compiute durante il conflitto, in particolare nella zona di Palmanova, erano conosciute alla popolazione e già durante la guerra l’ufficiale era ritenuto il mandante e l’esecutore materiale di crimini efferati contro civili e partigiani <503. Molti lo ritenevano uno dei maggiori responsabili dell’esasperazione del conflitto che aveva prodotto innumerevoli violenze sugli arrestati, sfociate anche in fucilazioni sommarie.
Borsatti era noto ai servizi di informazione e ai Comandi partigiani che conoscevano il suo ruolo nei reparti tedeschi e l’attività svolta nella repressione antipartigiana: le operazioni alle quali partecipò portarono alla morte e alla cattura di molti resistenti e allo smantellamento delle loro strutture.
Come dimostra l’Allegato 1 al Bollettino settimanale d’informazioni n. 26 del 26 dicembre 1944, il servizio di informazioni partigiano, le informazioni raccolte sul suo conto lo definivano un «criminale di guerra» che «a Palmanova ha sottoposto a tortura numerosi patrioti della Bassa Friulana spargendo il terrore nella plaga. Si trasferì, nel dicembre 1944, a Resia col suo squadrone di 100 individui che egli stesso chiamava le sue jene <504.
Va poi considerato che i GAP della Bassa friulana ritenevano di aver un conto aperto con Borsatti e desideravano vendicare i compagni che erano stati uccisi cruentamente nel corso del conflitto. Come riporta Bolzon,
“Più volte inoltre Gelindo Citossi e Ilario Tonelli avevano tentato di organizzare degli agguati con lo scopo di catturare Borsatti e avviare così trattative con i responsabili della SIPO per la scarcerazione dei propri compagni che scontavano le loro pene nel fondo delle carceri della regione, sperando così con una prova di forza di rallentare per lo meno il ritmo operativo del centro [di repressione di Palmanova]” <505.
Se questi elementi costituirono i presupposti e la base per istruire rapidamente il procedimento che lo fece comparire davanti al TDP il 5 maggio 1945, un ulteriore elemento determinante si rintraccia nelle modalità della sua consegna ai partigiani. Borsatti venne preso in custodia prima che la città di Udine fosse liberata; egli stesso dichiarò di aver preso contatto con il Comando delle formazioni partigiane “Osoppo-Friuli” il 27 aprile 1945 <506 e il giorno successivo fu arrestato a Udine nei pressi del Tempio Ossario; la volontarietà del suo gesto trova eco nelle note della sentenza nella quale si afferma che il tenente «si costituì» <507.
Questi elementi fanno emergere diversi interrogativi; per quali motivi Borsatti decise spontaneamente di consegnarsi nonostante fosse conscio che già dal mese di marzo il CLN stava indagando sui crimini commessi a Palamanova <508? Perché, data la gravità delle accuse che gli sarebbero state contestate anche in ragione dell’arruolamento nelle formazioni tedesche, decise di prendere contatto con le formazioni partigiane e di consegnarsi prima della fine del conflitto? Pur tenendo presente un certo grado di imprevedibilità rispetto alle conseguenze della decisione presa, è plausibile che Borsatti, in mancanza di alternative più convenienti, ritenesse che i contatti che aveva avuto modo di tessere con le formazioni osovane – rapporti che saranno analizzati compiutamente a breve – potessero garantirgli un margine di trattativa e una relativa sicurezza nei giorni caotici della fine del conflitto. In questa sede va sottolineato che la scelta di mettersi a disposizione dei partigiani alla fine di aprile concesse al TDP il margine temporale d’azione per concludere l’iter istruttorio e procedere al giudizio.
Non va dimenticato che Borsatti fu ritenuto a più livelli un personaggio scomodo e ambiguo. Oltre all’azione di repressione antipartigiana svolta, nel corso del conflitto cercò di prendere contatto con parte delle formazioni e tentò, anche nei giorni in cui venne arrestato, di far leva sui punti di debolezza del movimento resistenziale friulano per accreditarsi come un interlocutore credibile e già da tempo in contatto con esponenti di spicco della Resistenza. Il suo obiettivo era alleggerire la propria posizione e ridurre la gravità delle accuse che gli venivano contestate ridimensionando le proprie responsabilità; si può ritenere che pensasse che, nella difficile posizione nella quale si trovava, vantare una collaborazione coi partigiani, o con almeno con una parte di essi, lo avrebbe posto al riparo da gravi conseguenze e avrebbe fatto guardare al suo caso con indulgenza o con un occhio di riguardo.
Resta da considerare ancora un punto. Perché fu giudicato proprio Borsatti e perché solo nel suo caso si scelse di andare sino in fondo? Nel maggio 1945 Borsatti era un giovane ufficiale di quasi 24 anni, comandante un plotone di SS; pur avendo un ruolo importante nella repressione antipartigiana e pur avendo commesso molti e gravi crimini, non era il solo collaborazionista a essersi macchiato di reati infamanti e non rivestiva alte cariche militari. Pur dovendo considerare che nella prassi sia più semplice procedere rapidamente e con severità al giudizio di imputati di relativa secondaria importanza rispetto alle personalità più altolocate, la lista delle persone da imputare per le loro responsabilità politiche e militari che i partigiani si riservavano di sottoporre a giudizio comprendeva già in quelle fasi molti dei personaggi più in vista che avevano preso parte attiva e rivestito ruoli di comando nel regime e durante l’occupazione.
Ciò nonostante va considerato che Borsatti fosse il collaborazionista più importante che si trovava a disposizione della Commissione di Giustizia nei giorni della liberazione; tra coloro che erano stati arrestati, Borsatti aveva commesso i crimini più gravi e sul suo conto erano stati raccolti elementi sufficienti per istruire un processo che potesse essere celebrato rispettando le norme giuridiche stabilite dal CLN <509. Le sue azioni inoltre erano note alle forze partigiane, in particolare a quelle della Bassa friulana, e alla popolazione. Il fatto di essere una figura scomoda e ambigua, non dotata di consistenti mezzi economici e legami sociali in regione, lo rendeva sacrificabile e allo stesso tempo esemplare per dare corso alla nuova giustizia. Per la somma di tutti questi fattori si ritenne che il suo processo sarebbe stato significativo e utile alla causa resistenziale.
Per le caratteristiche proprie della vicenda, il caso Borsatti era funzionale a legittimare l’azione giudiziaria approntata dal CLN e a rendere evidente che le forze partigiane erano le sole rappresentanti del legittimo Stato italiano, impegnate attivamente e con sacrificio nella lotta per liberare il territorio nazionale dall’invasore straniero e da tutti i suoi collaboratori. Nell’azione del TDP fu posto rilievo al fatto che Borsatti rappresentasse agli occhi del movimento resistenziale e dell’opinione pubblica il prototipo del collaborazionista; nel processo fu evidenziato che avesse tradito il proprio paese per arruolarsi con i tedeschi, e fra questi proprio con le SS, i reparti più fanatici e temuti; l’illegalità della collaborazione politica e militare risultava così in tutta la sua gravità. In secondo luogo fu sottolineata la portata dei crimini commessi contro i partigiani con particolare attenzione agli arresti, alle condizioni di detenzione, alle violenze e alle uccisioni <510.
Borsatti fu additato come il responsabile della morte di due fra i più noti partigiani della Bassa friulana, Silvio Marcuzzi “Montes” e Severino Stacul “Lupo”, e di aver compiuto violenze particolarmente brutali sulle persone arrestate.
Tuttavia dalle accuse formulate in questa fase mancarono una serie di episodi che non fu possibile ricostruire e che quindi non giunsero al processo. I motivi furono diversi: l’impossibilità di ricostruire l’episodio, nel caso di un evento non noto agli inquirenti perché non ancora denunciato, la limitatezza delle prove raccolte e delle testimonianze acquisite, la velocità con la quale fu condotto il procedimento istruttorio […]
[NOTE]
490 Il fascicolo del procedimento contro Odorico Borsatti, al pari delle sentenza pronunciata dal TDP, venne accorpato nella documentazione della CAS. ASUD, CAS, busta E.d. 1, fasc. 1/45 «Odorico Borsatti».
491 Tali episodi sono stati analizzati da Irene Bolzon. I. Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli, cit., pp. 36-76.
492 ASUD, CAS, busta E.d. 1, fasc. 1/45 «Odorico Borsatti, Stato civile dell’imputato, 4 luglio 1945.
493 Rodolfo Borsatti nacque il 13 marzo 1882 e morì il 14 maggio 1941. Alice Scracin nacque il 30 novembre 1890 e morì il 5 novembre 1971.
494 I. Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli. Il processo Borsatti e i crimini commessi alla Caserma “Piave” di Palmanova, in «Storia contemporanea in Friuli», n. 39, 2008, pp. 61-84.
495 Borsatti parlava correntemente il tedesco sin dall’infanzia. I. Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli, cit., p. 37.
496 Felice Bellotti così descrive le vicende occorse a Borsatti dopo l’8 settembre 1943: «A ventidue anni, quando si è un po’ incoscienti e si possiedono un po’ di quattrini, la vita è bella, qualunque cosa accada. Di questa opinione doveva essere, il 10 settembre 1943, il ten. Odorico Borsatti, del Reggimento Lancieri Novara, mentre, a cavallo, saliva le rampe che portano al Terminillo. Due giorni prima, a tarda sera, il colonnello comandante il reggimento, aveva diviso fra i suoi ufficiali la cassa reggimentale e tutto era stato finito, ognuno se ne era andato per i fatti suoi, a seconda delle proprie necessità o delle proprie idee. Il ten. Borsatti era dell’Italia del Nord, quindi inforcato il cavallo e si diresse verso settentrione. […] Al ten. Borsatti, tutto sommato, la tragedia nazionale interessava relativamente e, dato che parlava il tedesco, non aveva paura di essere fatto prigioniero. Mentre saliva il Terminillo, l’unico problema che assillava la sua mente era come sbarcare il lunario. I biglietti da mille che aveva in tasca presentavano una soluzione provvisoria e lo sapeva. Forse è per questo che, appena giunse a destinazione, si mise a giocare. Aveva una maledetta sfortuna e, dopo aver perso sin l’ultima lira, lasciò sul tappeto verde il cavallo e poi la sella. Alla fine, quando vide svanire anche l’ultima speranza di fare un buon colpo che gli avrebbe permesso di attendere in splendido ozio lo svilupparsi degli avvenimenti, egli partì per Roma, dove si presentò al ministero della Guerra. Il Maresciallo Graziani chiamava a raccolta ed egli aveva pensato che, ufficiale di carriera, non era del tutto fuori di posto se andava a fare la guerra. Egli era certamente un tipo ameno e un capo scarico, ma era anche coraggioso e in altri tempi sarebbe stato un eccellente soldato di ventura, con tutti gli inerenti pregi e difetti. Era quasi sera, quando si presentò nell’anticamera del Maresciallo Graziani per far sapere che c’era anche lui in quel piccolo mondo in ebollizione. Non conosceva nessuno, ma poco se ne curava. Si accorse che lo ascoltavano sì e no e, chissà mai perchè disse che parlava tedesco. – Come?- chiese l’ufficiale superiore che stava di fronte a lui – Lei parla tedesco? – Sì. Lo parlo. Sin da bambino. L’altro afferrò il telefono. – Canevari? Senti, ho trovato chi fa per te, un tenente di cavalleria che sa il tedesco. Così è risolto il problema. Te lo porti come interprete in Germania. Mise giù il microfono e, soddisfatto, afferrò la penna. Scrisse accuratamente le generalità del nuovo ufficiale, gli disse che da quel momento era in forza al Quartiere generale del Maresciallo Graziani, come ufficiale addetto al colonnello Canevari, che l’indomani sarebbe partito per la Germania. F. Bellotti, La Repubblica di Mussolini, Zagara, Milano 1947, pp. 85-86.
497 Sulla trattativa del generale Canevari si veda L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere, cit., pp. 73, 75, 77.
498 ASUD, CAS, busta E.d. 1, fasc. 1/45 «Odorico Borsatti», Processo verbale di dibattimento, 5 maggio 1945.
499 Il grado Waffen-Obersturmführer der SS corrisponde a quello di SS-Obersturmführer poiché il suffisso Waffen indicava un volontario di etnia non tedesca. S. Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland, cit., p. 494.
500 Scrisse Eugenio Morra nel suo diario confidenziale: «[Borsatti] incominciò a frequentare le migliori famiglie del vicinato, ambientandosi nella zona. Destava dei sospetti ma non si riusciva a capire a cosa mirasse. D’improvviso
spuntarono a Palmanova circa 40 SS e il Borsatti […] ne assunse il comando. Trasformò la caserma in una specie di ceka con prigioni e reticolati e vi si insediò. Aveva circondato la caserma da un robusto reticolato, perfino il portone
d’ingresso oltre a una robusta guardia armata aveva due reticolati, uno avanti sulla strada e uno all’esterno; sul rovescio delle Caserme, verso i bastioni, oltre al reticolato aveva collocato parecchie mine antiuomo». AORF, busta I 2, fasc. 63 bis, doc. 2.
501 D. Virgili, La fossa di Palmanova, cit., pp. 50-54, 199.
502 IRSML FVG, Fondo Friuli, busta CXIII, fasc. 4608.
503 I. Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli, cit., p. 37.
504 ASUD, CAS, busta E.d. 1, fasc. 1/45 «Odorico Borsatti», «Borsatti – criminale di guerra».
505 I. Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli, cit., p. 75.
506 ASUD, CAS, busta E.d. 1, fasc. 1/45 «Odorico Borsatti», «Verbale del cittadino Borsatti Odorico», 2 maggio 1945.
507 ASUD, CAS, busta E.c. 1, Registro delle sentenze 1945, sentenza n. 1 contro Odorico Borsatti.
508 ASUD, CAS, busta E.d. 1, fasc. 1/45 «Odorico Borsatti», «Verbale del cittadino Borsatti Odorico», 2 maggio 1945.
509 I primi procedimenti istruiti riguardarono Odorico Borsatti, Federico Valentinis, Nerino Cerovaz e Giuseppe Coccolo. Ivi, fasc. 1/45 «Odorico Borsatti»; fasc. 2/45 «Federico Valentinis»; fasc. 4/45 «Giuseppe Coccolo»; fasc. 5/45 «Nerino Cerovaz».
510 ASUD, CAS, busta E. c. 1, Registro delle sentenze, sentenza n. 1 contro Odorico Borsatti.
Fabio Verardo, La Corte d’Assise Straordinaria di Udine e i processi per collaborazionismo in Friuli 1945-1947, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno accademico 2015/2016