L’amministrazione saloina trova a Perugia e in Umbria gravi difficoltà

Perugia. Fonte: Wikimedia C.

Le truppe tedesche entrano a Terni l’11 settembre. Poche settimane dopo vengono assegnati i principali uffici politici: Pietro Faustini – poi sostituito da Vittorio Ortalli – viene nominato capo della provincia, mentre l’incarico di commissario federale del Pfr è affidato al prof. Alberto Coppo <35. A partire dal 9 novembre, inizia la propaganda per l’arruolamento all’esercito e al “servizio del lavoro”. Formalmente l’attività fascista sembra tornare alla normalità, ma gli attori sono ridotti e i contenuti diversi: il nuovo settimanale ternano, Prima linea, si presenta come un “giornale operaio” e si colloca sulla scia del corporativismo di sinistra <36.
L’inizio dell’autunno 1943 è carico di pathos. In questi giorni maturano scelte differenti: c’è chi va ad ingrossare la cosiddetta zona grigia, c’è chi decide di combattere il fascismo attivamente fra le fila partigiane, e c’è chi, infine, movendo da un forte – talvolta esasperato – senso dell’onore, va a cercar la “bella morte” <37.
«Già il 12 settembre – ricorda Gianfranco Robimarga, componente del battaglione “Orvieto” della Rsi -, a Perugia, Armando Rocchi, tra lo sbandamento generale, diede vita ad una sorta di “reclutamento” per chi intendeva rimanere fascista. Scopo precipuo del gruppo in formazione, era cercare di tutelare l’ordine cittadino, turbato da furti e razzie, da uno sfacelo morale e materiale. Le riunioni si svolgevano a Porta Sole. Dal nucleo iniziale di circa settanta persone si passò, nel giro di dieci giorni, ad oltre 500. Studenti ed operai abili alle armi vennero inviati alla caserma di corso Garibaldi, presso il 51° fanteria, dove furono inquadrati dal tenente Tarantini. La nostra prima attività riguardò dunque l’ordine pubblico, fu, sostanzialmente, un’azione di polizia: eravamo nati e cresciuti nel clima e nel sistema di regole fascista, e, di fronte alla confusione, al vuoto di potere e all’incertezza, a me e ad altri sembrò che l’unica e naturale soluzione fosse quella di agire per ripristinare la disciplina su cui si basava la nostra educazione. I giovani da addestrare si muovevano tra monte Tezio, dove compivano esercitazioni, e S. Egidio, dove in un secondo momento vennero sottoposti al tirocinio dei tedeschi» <38.
L’amministrazione militare tedesca, la Militar Kommandantur (MK) 1018 con competenze sulle province di Perugia, Terni e Rieti, s’insedia alla fine di settembre, spostando la propria sede da Orvieto al capoluogo regionale il 22 dicembre. La coesistenza con le subordinate “istituzioni” della Rsi è fin dall’inizio difficile. Dietro ai toni ossequiosi espressi nei confronti del «cameratismo delle forze armate della Germania» si cela una sottile avversione per l’arroganza del comando tedesco, espressa in più di un’occasione nelle relazioni riservate di Rocchi al ministero dell’Interno <39.
Nata in un clima di diffuso disorientamento politico e militare, la Rsi stenta ad organizzarsi, assoggettandosi così alla MK nazista. Nonostante la ricostituzione dei Fasci, dei comitati dei balilla, dell’istituto fascista di cultura e del dopolavoro, malgrado la creazione della Guardia nazionale repubblicana (Gnr), risultante della fusione tra la Milizia e i carabinieri, l’amministrazione saloina trova a Perugia e in Umbria gravi difficoltà, riducendo la propria attività essenzialmente all’individuazione e alla repressione della incipiente attività ribellistica. Il fascismo repubblicano è incapace a far fronte alle difficoltà crescenti causate dagli eventi bellici. La penuria dei rifornimenti alimentari, pur rimanendo sostanzialmente limitata rispetto ad altre zone del Paese <40, contribuisce al peggioramento dell’ordine pubblico in città e nelle campagne circostanti. Pur in assenza di veri e propri moti di ribellione, si registra un distacco ed un’opposizione sempre più diffusa e marcata tra i cittadini e le istituzioni nazifasciste. Tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944 si assiste – come d’altronde avviene a livello nazionale – ad un netto incremento di alcuni reati. L’illegalità è nella maggior parte dei casi legata alla sopravvivenza: crescono i furti, spesso a danno delle amministrazioni pubbliche e degli eserciti, le infrazioni annonarie, la ricettazione, le macellazioni clandestine ed i mancati conferimenti all’ammasso <41.
L’8 dicembre 1943, Rocchi scrive al ministero dell’Interno che, «dopo il noto sbandamento causato dall’armistizio», la situazione politica della provincia «tende a migliorare». Un’attenzione particolare – aggiunge – è rivolta «alla repressione dei sabotatori della guerra e del partito», poiché nell’ambiente fascista repubblicano «è viva» la «necessità morale» di vedere «i fascisti traditori sottoposti a giudizio».
Complessivamente, il comportamento della popolazione è considerato «discreto». I problemi, tuttavia, non mancano: il «senso di disciplina» per quanto riguarda «il contegno durante gli allarmi, il mercato nero, le macellazioni clandestine, il servizio militare, [e] il servizio del lavoro» è giudicato «deficiente», mentre l’ordine pubblico inizia a destare serie preoccupazioni. Rocchi, infatti, mostra particolare apprensione per le «manifestazioni aggressive» di alcune «bande armate ribelli costituite da elementi italiani e da elementi montenegrini, slavi o stranieri in genere evasi all’armistizio dai campi di concentramento» <42. Le prime iniziative di queste embrionali organizzazioni antifasciste hanno carattere delinquenziale piuttosto che politico-dimostrativo: si tratta, a tutti gli effetti, di furti e razzie – come quelli, sull’altro versante, perpetrati dai tedeschi – e non di «requisizioni», come invece
sostenuto da alcune interpretazioni <43. Il 13 novembre, ad esempio, stando a quanto riferisce il capo della provincia, «un gruppo di circa 80 armati transitavano per Cascia intimorendo la popolazione, e prelevando dal caseificio e norceificio dei fratelli Porena, generi alimentari per un valore di circa 10.000 lire» <44. Le forze repubblichine mostrano gravi difficoltà nell’arginare i crescenti fenomeni di “ribellismo”. Consapevole della scarsità di mezzi a disposizione <45, Rocchi decide innanzitutto di ricorre ad «elementi fiduciari» per cercare di conoscere la consistenza e gli spostamenti delle bande.
La popolazione civile vive una situazione di generale disagio, aggravata dal tesseramento, dalla pressione fiscale, dall’inflazione, dal mercato nero, dalla rarefazione dei medicinali, dai problemi nelle comunicazioni e dalla presenza degli sfollati. Dal gennaio 1943, Perugia accoglie profughi e senza tetto provenienti da molte regioni dell’Italia centro meridionale (Lazio, Abruzzo, Puglia, Sicilia) <46: le necessità alimentari crescono, gli orfanotrofi si riempiono, l’attività dell’Onmi comunale aumenta notevolmente <47; l’Onb organizza nuove colonie, riprende la distribuzione della refezione scolastica e ripristina i patronati comunali fornendo libri e quaderni ai bambini bisognosi; il Fascio repubblicano crea un “centro di assistenza fascista per gli sfollati” <48. Ma l’attività ausiliaria fascista è affiancata, preferita e sopravanzata dall’azione della Chiesa, tanto da suscitare le proteste dell’organo ufficiale del Pfr <49. La parrocchia di S. Filippo Neri, ad esempio, riesce efficacemente a dare sussistenza e protezione oltre che a decine di famiglie sfollate anche ad alcuni ebrei ed ex carcerati <50. L’attività ecclesiastica assume una particolare importanza con l’inizio dei bombardamenti. Perugia città, diversamente da Terni – primo centro umbro a subire incursioni aeree (11 agosto 1943) -, è risparmiata fino al 1944. Prima di allora vengono colpiti solo obiettivi considerati strategici. Ponte S. Giovanni, frazione appena fuori Perugia dove s’incontrano la Ferrovia centrale umbra e le Ferrovie dello Stato, viene bombardata una ventina di volte tra il novembre 1943 ed il giugno 1944. Stessa sorte tocca a Ponte Felcino – alla fine della guerra semidistrutta – e a S. Egidio, dove l’aeroporto, divenuto efficiente base tedesca, viene attaccato dagli alleati già il 31 ottobre <51.
Sotto la minaccia delle bombe emerge il ruolo di guida etica, morale, civile e politica della Chiesa. Mentre i fascisti repubblicani si preoccupano solamente di emanare severe disposizioni per l’oscuramento e per il coprifuoco, l’autorità episcopale e pastorale di Perugia cura le condizioni morali, psicologiche e materiali della popolazione, invita alla preghiera, diffondendo opuscoli con suppliche e ringraziamenti da recitare all’inizio e alla fine di ogni allarme aereo. La devozione mariana conosce un significativo incremento. Si prega sempre più per la pace e sempre meno per la vittoria; il clero, inizialmente diviso come tutta la popolazione <52, tende ad acquisire una posizione univocamente contraria al conflitto. «A propiziare la divina giustizia e ad impetrare la misericordia del Signore», ricorda l’arcivescovo Vianello <53, «furono tenute, con un concorso eccezionale (la media di 3.000 persone nei giorni feriali e di 6.000 nei giorni festivi) le Stazioni Quaresimali. (…) In maggio tutte le domeniche si adunarono devoti pellegrinaggi nelle principali chiese della città; in giugno furono tenute, tutti i venerdì, funzioni riparatrici» <54.
[NOTE]
35 Dopo la Liberazione, Coppo si adopererà per rallentare l’avanzata degli alleati verso nord (cfr. G. Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 75).
36 Cfr. V. Pirro, La Repubblica sociale, in M. Giorgini (a cura di), Terni. Storia illustrata delle città dell’Umbria, op. cit., pp. 699-710, e Id., Terni e la sua provincia durante la Repubblica sociale, Thyrus, Terni, 1990.
37 Sulle motivazioni che spingono non pochi giovani ad aderire alla Rsi si rinvia a due volumi esemplari: C. Mazzantini, A cercar la bella morte, A. Mondadori, Milano, 1986, e R. Vivarelli, La fine di una stagione. Memoria 1943-45, Il Mulino, Bologna, 2000. In merito alle differenti scelte che in questa fase scaturiscono dallo stesso humus politico-culturale, è emblematico il caso di tre giovani tifernati: Alberto Burri, Facondo Andreoli e Stelio Pierangeli. Nel 1929, i tre condividono l’esperienza nell’Onb, divenendo capisquadra degli Avanguardisti. Dopo la caduta del regime, le loro vicende si diversificano sensibilmente: Burri si concentra sull’attività artistica accantonando (almeno temporaneamente) la politica, Andreoli aderisce al neofascismo guidando a Città di Castello il neonato Msi, mentre Pierangeli partecipa alla lotta partigiana al comando della brigata San Faustino (cfr. A. Tacchini, Il fascismo a Città di Castello, op. cit., pp. 148-149).
38 Comunicazione di G. Robimarga all’Autore. Sul battaglione-scuola “Orvieto” – composto da 380 allievi, in parte significativa provenienti dall’Umbria – si rinvia ad E. Cavaterra, 4000 studenti alla guerra. Storia delle Scuole Allievi Ufficiali della G. N. R. nella Repubblica Sociale Italiana, Dino, Roma, 1987, pp. 121-133. Dal gennaio all’ottobre 1944, nell’intento di mettere circa 4.000 giovani in condizione di «addestrare altri italiani», vengono organizzati nove corsi per allievi ufficiali della Gnr. Uno di questi si tiene ad Orvieto. La città umbra viene scelta «per una serie di motivi, non ultimo dei quali quello relativo alla fama che s’era acquistata l’Accademia femminile della Gil». L’attività del battaglione-scuola inizia ufficialmente il 1° marzo 1944. L’organico viene diviso in quattro compagnie: “Tigre”, “Ariete”, “Leonessa” e “Vampa”. Già il 13 marzo, cinque plotoni di allievi partecipano ad un’azione di rastrellamento sulle montagne di Foligno, nella zona di Colfiorito. L’operazione si conclude con 29 “rastrellati”, fra i quali un montenegrino ed un francese. Di lì a poco, iniziano i bombardamenti su Orvieto: il battaglione-scuola è costretto – non senza difficoltà – a trasferirsi a Como. Il corso termina l’8 settembre 1944.
39 T. Biganti, La Repubblica sociale italiana in provincia di Perugia: aspetti politici, amministrativi e militari, in L. Brunelli e G. Canali (a cura di), L’Umbria dalla guerra alla resistenza, op. cit., p. 196. Tra i motivi di disaccordo gli scarsi rifornimenti di armi da parte dei tedeschi ai fascisti.
40 Nonostante la produzione agricola umbra – e della provincia di Perugia in particolare – venga in parte sfruttata dalla Wehrmacht e in parte inviata a Roma e a Rieti per soddisfare le esigenze della popolazione dell’alto Lazio, la situazione alimentare è meno drammatica che altrove. L’elevata produzione locale di generi di consumo legati soprattutto al settore primario permette «a gran parte della popolazione di mantenersi nel corso dell’occupazione anche a livelli superiori alla semplice sopravvivenza». Qualche difficoltà in più si registra per i rifornimenti dei maggiori centri abitati, come Perugia, ma si tratta generalmente di problemi legati ai trasporti (cfr. P.P. Battistelli, L’amministrazione militare tedesca, in L. Brunelli e G. Canali [a cura di], L’Umbria dalla guerra alla resistenza, op. cit., pp. 186-190). Notevole ovunque la penuria di vestiario e calzature.
41 La politica degli ammassi, inaugurata a partire dal 1940 sia per il settore zootecnico che per le derrate agricole, provoca sin dal suo esordio diffuse resistenze e in qualche caso agitazioni, generalmente “tollerate” dalle autorità fasciste (si veda, ad esempio, la vicenda dei coloni dell’amministrazione Rossi Scotti descritta in ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 38, fascicolo 3).
42 ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 90. Relazione prefettizia dell’8 dicembre 1943.
43 Luciana Brunelli, ad esempio, parla di razzie solo in riferimento alle ruberie dei tedeschi, preferendo l’uso – improprio – del termine «requisizioni», per i furti delle bande antifasciste (cfr. L. Brunelli e G. Pellegrini, Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944, Il Mulino, Bologna, 2005, pp. 69, 87-89).
44 ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 90. Relazione prefettizia dell’8 dicembre 1943.
45 Stando ad una relazione del 17 dicembre 1943, risulta, ad esempio, che la 103a legione della Gnr, di stanza a Foligno, dispone complessivamente di 521 uomini, 655 tra fucili e moschetti, una sola pistola (!), 15 mitragliatrici di vario tipo, un cannone, 5 mortai e 31 autoveicoli (ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 43).
46 Il fenomeno assume proporzioni assolutamente notevoli. Se fino all’aprile 1943 gli sfollati sono 3.000 in tutta la regione, nei primi mesi del 1944 la cifra balza a 43.000, quasi tutti in provincia di Perugia (42.000). Sul sostegno offerto dagli umbri agli sfollati si veda, ad esempio, A. Caligiana, Vi racconto, op. cit., pp. 69-71.
47 Durante i 10 mesi della Rsi, la presidenza del comitato perugino dell’Onmi è affidata prima all’ex podestà Giulio Agostini e poi (marzo 1944) al prof. Pio Luciani.
48 Il 23 ottobre 1943, La Riscossa celebra l’apertura della colonia “B. Mussolini”, destinata ad accogliere «tutti i minori appartenenti a famiglie sfollate», nonché «orfani di guerra, figli di invalidi e mutilati di guerra, figli dei prigionieri e dei dispersi in guerra». Pochi giorni dopo inizia l’attività del “centro di assistenza fascista per gli sfollati”.
49 A proposito di assistenza. Unifichiamo le iniziative per gli sfollati, in La Riscossa, n. 13, 18 novembre 1943.
50 Relazione del parroco padre Giovanni Ciscato all’arcivescovo di Perugia in ADP, Carte Vianello. Nella protezione e nella tutela degli ebrei si distinguono, in particolare, due sacerdoti umbri: padre Aldo Brunacci, sacerdote di S. Rufino e stretto collaboratore del vescovo di Assisi, Giuseppe Nicolini; e don Federico Vincenti, parroco di S. Andrea a Porta Susanna (Perugia). Entrambi ottengono il significativo riconoscimento di “Giusti fra le Nazioni” (cfr. I. Gutman e B. Rivlin [a cura di], edizione italiana di L. Picciotto [a cura di], I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945, A. Mondadori, Milano, 2006, pp. 68-69, 237-238). Nell’azione di copertura e difesa degli ebrei promossa ad Assisi si adopera anche il noto campione del ciclismo Gino Bartali (cfr. P. Alberati, Gino Bartali. Mille diavoli in corpo, Giunti, Firenze, 2006).
51 Per un quadro complessivo delle distruzioni provocate dai bombardamenti sull’Umbria si rinvia ad A. Bitti e S. De Cenzo, Distruzioni belliche e ricostruzione economica in Umbria 1943-48, Crace, Perugia, 2005. Sui danni subiti dalla linea Foligno-Terontola, in particolare, si veda anche A. Cioci, Due ferrovie, una storia, op. cit., pp. 80-83. Per quanto riguarda, invece, le stime degli umbri morti e dispersi tra la guerra e la Liberazione, sia militari che civili, si rinvia ad Istat, Morti e dispersi per cause belliche 1940-45, Roma, 1957, pp. 42-43, 46-47, 50-71. I dati si riferiscono al luogo di nascita e al luogo di residenza di morti e dispersi, suddivisi per provincia. In base a tali statistiche, i nati in Umbria deceduti nel periodo 1940-45 sarebbero 5.366 (3.719 della provincia di Perugia e 1.647 di quella di Terni), i dispersi 1.447 (rispettivamente 1.000 e 447).
52 «Una volta», ricorda don Remo Bistoni, «i seminaristi videro abbattere un aereo inglese: alcuni di loro applaudirono, altri invitarono alle preghiere. Questo particolare rilevò, e rileva ancora, il conflitto spirituale degli italiani in quel momento» (R. Bistoni, Una Chiesa presente. Passaggio del fronte nel territorio della diocesi perugina (1943-44), Volumnia, Perugia, 2000). Altre indicazioni delle divisioni interne al clero, almeno nel periodo iniziale della Rsi, vengono da una lettera aperta, comparsa su La Riscossa del 29 novembre 1943, in cui don Ferdinando Merli, sacerdote di Foligno, prende le distanze da quella parte di Chiesa che sembra augurarsi una vittoria angloamericana, sottolineando i benefici, anche economici, apportati dal fascismo alla religione cattolica, ai suoi valori e ai suoi servitori. L’organo del fascismo repubblicano, cercando di attirare le simpatie dei cattolici verso la Rsi, riporta spesso – con chiari fini strumentali – interventi di questo tipo. Quanto a Merli, «fervente fascista», muore di morte violenta nel febbraio 1944. Ad ucciderlo, stando alla relazione dell’ispettore regionale della Gnr, sarebbero stati alcuni «ribelli» (ASP, Gabinetto della Prefettura, b. 91). In provincia di Terni, si segnala come strenuo sostenitore della Rsi don Tullio Calcagno. Alla fine del 1944, il sacerdote ternano si trasferisce al nord. Qui, poco prima di essere ucciso dai partigiani, viene raggiunto dalla scomunica del Sant’Uffizio (T. Pulcini, Presenza civile e religiosa della Chiesa ternana, in L. Brunelli e G. Canali [a cura di], L’Umbria dalla guerra alla resistenza, op. cit., pp. 140-141).
53 Già vicario generale dell’arcivescovo mons. Rosa, Mario Vianello prende possesso della diocesi perugina il 29 giugno 1943, esattamente otto mesi dopo la morte del suo predecessore.
54 M. Vianello, Alla Sacra Congregazione Concistoriale. Risposte al questionario inviato in data 10 agosto 1944 (ADP, Carte Vianello).
Leonardo Varasano, La prima regione fascista d’Italia: l’Umbria e il fascismo (1919-1944), Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2007

All’indomani dell’8 settembre i tedeschi, approfittando dello sbandamento e del disfacimento dell’esercito regio, riuscirono a raggiungere il completo controllo militare dell’Umbria, fornendo il supporto indispensabile alla nascita della repubblica fascista. I drastici ordini emanati dall’alto comando della Wermacht nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943, finalizzati all’occupazione e alla salvaguardia dei passi alpini e al disarmo delle forze armate italiane, trovarono quindi una efficiente e immediata applicazione anche in Umbria. In pochi giorni i principali centri della regione furono raggiunti dai reparti della Wehrmacht (tra l’11 e il 14 settembre 1943 furono occupate Perugia, Foligno, Spoleto e Terni) senza che le unità italiane presenti opponessero alcun tipo di resistenza. I tentativi promossi, soprattutto a Perugia e Terni, da parte dei partiti antifascisti di organizzare forme di resistenza armata coinvolgendo i militari non raggiunsero alcun risultato concreto visto il rifiuto, opposto dalla maggior parte degli ufficiali superiori, di fornire armi ai civili.
All’occupazione dell’esercito tedesco seguì l’insediamento delle strutture amministrative.
[…] Appena insediate e dopo aver consolidato le strutture amministrative e militari di occupazione, le autorità tedesche anche in Umbria diedero un contributo rilevante alla nascita del Rsi. In tal senso, sin da subito agli occhi dei tedeschi acquistarono un ruolo fondamentale le prefetture, considerate intermediarie essenziali tra gli interessi tedeschi e quelli italiani, in quanto massime rappresentanti del governo fascista repubblicano in ambito locale e, al tempo stesso, depositarie di competenze a livello amministrativo e burocratico ritenute indispensabili per l’organizzazione del nuovo stato fascista e per la tutela e il soddisfacimento degli interessi tedeschi. Così, già all’indomani dell’insediamento della Militärkommandantur 1018, i capi delle due province umbre, insieme a quelli di Rieti, Grosseto e Viterbo furono convocati dal colonnello Müller, responsabile di tale struttura, il quale indicò loro quali erano le linee guida a cui le autorità fasciste repubblicane si sarebbero dovute conformare in Umbria, come nel resto d’Italia, al fine di assicurare, in primo luogo, il mantenimento di una situazione di “calma” e “ordine”. Tutto ciò era reputato essenziale dalle autorità tedesche al fine di disporre di retrovie sicure e procedere così all’acquisizione di quelle risorse, materiali e umane, necessarie all’economia bellica tedesca. La presenza sempre più soffocante esercitata dai tedeschi e la sostanziale rispondenza alle linee di condotta da questi fissate, dei provvedimenti adottati dagli organi politici e amministrativi della Rsi, non impedirono tuttavia che anche in Umbria si verificassero, come vedremo in seguito, momenti di tensione, contrasti, situazioni di conflitto, più o meno latente, tra i diversi organi e funzionari statali italiani e tedeschi che, però, non inficiarono mai la natura dei rapporti tra le autorità tedesche e quelle saloine e, soprattutto, quella che era la gerarchia degli stessi.
[…] A Perugia, sin dalla fine del settembre 1943, a seguito di un accordo tra la prefettura, l’autorità militare italiana e il locale comando tedesco, nacque il comando forze di polizia provinciale, il quale aveva lo scopo di individuare e catturare antifascisti, partigiani e prigionieri di guerra fuggiti all’indomani dell’armistizio dai campi di concentramento della provincia. Sorsero anche in Umbria, a partire dal novembre 1943, squadre di polizia federale e ausiliare alle dirette dipende dei capi della provincia, le quali le utilizzarono nella lotta contro il movimento partigiano e nell’espletamento di compiti delicati, spesso al di fuori delle stesse leggi della Rsi.
Anche la Mvsn, ricostituita da Mussolini con decreto del 16 settembre 1943 fu in Umbria riorganizzata: nacquero tra l’altro, gli uffici politici investigativi impegnati nel perseguimento dei reati politici. A partire dall’8 dicembre 1943 in Umbria, così come nel resto del territorio sotto la sovranità della Rsi, fu creata la Gnr. Competente per le due province di Perugia e Terni era il X° ispettorato regionale: ispettorati provinciali e comandi locali di raggruppamento furono costituiti laddove sorgevano le compagnie locali dei carabinieri, mentre, tra il dicembre 1943 e il gennaio 1944, entrarono in vigore una serie di provvedimenti volti a meglio definire competenze e prerogative del nuovo corpo.
Tra il gennaio e il giugno 1944 in Umbria i reparti della Gnr furono impiegati essenzialmente contro le formazioni partigiane: in questo ambito si resero protagonisti di fucilazioni, rastrellamenti, razzie, della cattura di renitenti al servizio militare e prigionieri di guerra, in collaborazione con alcuni reparti dell’esercito della Rsi e delle forze armate tedesche, senza però che tale impegno ottenesse significativi risultati dal punto di vista strategico e militare. D’altra parte, le frequenti richieste rivolte alle autorità fasciste e tedesche finalizzate all’ottenimento di un adeguamento delle risorse umane e materiali, considerato indispensabile per assicurare un migliore assolvimento dei compiti assegnati alla Gnr in Umbria, rimasero il più delle volte disattese. Un analogo destino ebbe l’organizzazione dell’esercito della Rsi, inizialmente costituito potendo contare su quegli ufficiali del regio esercito che avevano aderito alla neonata repubblica fascista. Il 5 novembre 1943 venne costituito il Comando militare regionale Umbria e Marche con sede a Perugia, e ne fu nominato comandante il generale di divisione Luigi Renzoni, già comandante di zona. L’11 novembre 1943, per ordine del Comando militare regionale, fu costituito in provincia di Perugia il Comando militare provinciale, posto al comando del colonnello Raffaele Delogu, da cui dipendevano una serie di caserme, laboratori e depositi militari presenti nel territorio provinciale e alcuni reparti dell’esercito, solo in minima parte destinati al combattimento. A Terni invece il 22 settembre 1943 il comando militare per la provincia di Terni fu assunto dal colonnello Giunio Faustini, fratello del prefetto Pietro Faustini, il quale dovette ricostituire e organizzare le forze armate della Rsi in un contesto estremamente difficile, contrassegnato da una significativa presenza partigiana e dalle devastazioni provocate dai bombardamenti aerei alleati in molta parte del territorio provinciale. Nonostante la presenza in Umbria di reparti militari speciali, per organizzazione e politicizzazione (paracadutisti, SS italiane, battaglioni M), l’attivismo e gli sforzi fatti dalle autorità locali della Rsi volti a costituire gli organici e le strutture logistiche necessarie al nuovo esercito dovettero scontrarsi con le croniche carenze nei rifornimenti e nell’organizzazione oltre che, in misura non trascurabile, con una certa ostilità delle autorità tedesche.
Angelo Bitti, La Guerra ai Civili in Umbria (1943-1944). Per un Atlante delle stragi naziste, Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, 2007

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