
Monumento ai Caduti della ‘Brigata Calvi’ – Calalzo di Cadore (BL) […] Le lapidi sulle pareti raccolgono i nominativi dei 37 partigiani, mentre quelle sul basamento identificano la sepoltura dei partigiani che lì sono stati inumati. Infine, sul lato destro, a fianco della lapide maggiore, si trova una piccola targa di marmo in memoria del Capitano Steve Hall, ucciso nel carcere di Bolzano dopo essere stato torturato nell’aprile del 1945. Fonte: pietredellamemoria.it
In questi giorni piuttosto concitati la Calvi entrò in contatto con il capitano Steve Hall, pedina di fondamentale importanza per la missione [OSS] Mercury, che si era paracadutato in Carnia il primo agosto 1944, con il compito di programmare aviolanci e di preparare atti di sabotaggio della ritirata tedesca che si sperava imminente. Il 22 agosto, in Val Visdende, egli incontrò per la prima volta «Garbin» e lo mise a conoscenza del sicuro sfondamento della «Linea Gotica» da parte dell’esercito alleato. Il capitano Hall suggerì inoltre di colpire alcuni punti strategici come il ponte sul Molinà, il Ponte Nuovo nei pressi di Lozzo di Cadore e la strada della Cavallera per rallentare le manovre tedesche e a tal scopo fornì una gran quantità di esplosivi e la sua preziosa consulenza tecnica <130.
A partire dal 20 agosto 1944 i tedeschi chiusero le valli del Cadore in una gigantesca morsa e le azioni dei partigiani furono piuttosto limitate. Il 28 del mese venne scelto Cesare Bertoia, originario di Longarone <131, in qualità di nuovo vicecomandante per la Brigata Cadore e nei giorni successivi essa si unì alla «Oberdan» e si spostò sull’altopiano di «Pian Dei Buoi» sopra Lozzo di Cadore <132. Alla fine di agosto gli alleati inviarono tra i partigiani due tenenti dell’esercito inglese, Simon Mac Cabe e «Teddy», affinché stabilissero assieme ad Alessandro Gallo il da farsi in vista del termine della guerra. Così si decretò di affidare ad ogni Brigata una missione specifica da attuarsi in una precisa zona di competenza.
[…] Nei primi giorni di febbraio 1945, il Capitano Steve Hall, che aveva passato l’inverno in Comelico per coordinare gli aviolanci in Valvisdende, si spostò nella zona di Cortina, per dirigere i lavori di distruzione delle strade fondamentali per il passaggio dei mezzi nazisti, con l’aiuto di alcuni prigionieri inglesi da lui liberati. Il 2 marzo, durante la messa in atto dell’operazione venne però catturato e torturato così brutalmente da perdere la vita due giorni dopo <152.
[NOTE]
130 Ibidem, pp. 150-151 e pp. 160-161.
131 Il nome di battaglia di Cesare Bertoia era «Katiuska», egli apportò alla Brigata Cadore la sua grande esperienza di combattente, poiché era un veterano del Distaccamento «Bepi Stris». Si veda Ferruccio Vendramini (a cura di) Occupazione tedesca e guerra partigiana nel longaronese, 1943-1945, Belluno, Istituto storico bellunese della Resistenza e dell’età contemporanea, 2005, p. 34.
132 Il nuovo quartier generale della Brigata divenne la vecchia «Caserma di Sora Crepa». Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, pp. 175-176.
152 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, pp. 354-355.
Vittorio Lora, Terenzio Baldovin e Lozzo di Cadore. Public history e stratificazioni della memoria in una comunità di montagna, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2011/2012
Sono rimasto fermo nel convincimento di aver incontrato il Capitano Hall (Roderick Stephen Goodspeed chiamato Steve) la prima volta a Vedorcia quando ebbe un abboccamento con Garbin. Con chi sia venuto non so ma certamente fu accompagnato. Per venirci sicuramente aveva valicato la Forcella Scodavacca e per la stessa via avrà fatto ritorno per recarsi quindi nella Val Visdende, ove soggiornò parecchio tempo, come racconta Fischio nella sua intervista data a Giovanni De Donà a Costa (17 luglio 1996). La sua visita a Vedorcia dovrebbe risalire ad un giorno posto fra i primi giorni di agosto, <14 cioè dopo essere stato paracadutato in Carnia alla fine di luglio od il primo agosto, ed il 12 agosto, quando, come si legge, giunse in Cadore per starci sino alla sua cattura. Quando fu a Vedorcia per noi compagni fu una sensazione, quasi una apparizione miracolosa, una specie di fata Morgana: un Americano in una splendida uniforme e con tanto di insegna di stars and strips (stelle e strisce) ben in mostra sulla giacca. Mi domandai che impressione avrà avuto quell’ufficiale di carriera a trovarsi fra noi vestiti dimessamente ed a vedere i fazzolettoni rossi attorno ai nostri colli. Dei sentimenti anticomunisti diffusi in certi ambienti americani noi non avevamo la pur minima idea. In fin dei conti quella volta Sovietici ed Americani erano grandi alleati e combattevano per la stessa causa. Così hanno propagandato. Che ogni tanto qualche compagno gridasse con entusiasmo ”viva Stalin” non faceva impressione. Anzi, era quasi naturale per chi aveva voglia di manifestare liberamente i suoi sentimenti. Mi ricordo vagamente di aver tradotto per Garbin alcuni convenevoli. L’inglese lo capivo e parlavo già discretamente avendolo appreso nel liceo scientifico. Fra i due fu un colloquio breve, poi se ne andarono assieme. Io tornai dai compagni per continuare le esercitazioni. Della persona Hall mi ricordo di un uomo robusto, un tipo atletico. Il classico ufficiale USA di professione. Facendo in più parte di una unità speciale quale era l’OSS (Office of Strategic Services) la sua carriera era assicurata. Ma voleva fare qualche cosa di particolare e partì volontariamente affrontando un’avventura assai rischiosa. Di lui, del suo amor patrio, del suo valore ed attaccamento al dovere di soldato, sono stati scritti libri e fatti discorsi. Forse come lui desiderava. È stato onorato ed altamente decorato. Posso solo rivolgere a lui il mio deferente omaggio per aver sacrificato la vita per la libertà tanto lontano dai suoi. Avrò da scrivere di lui ancora quando lo incontrai per la seconda volta, più brevemente che a Vedorcia, stavolta con volto stravolto e molto dimesso, quasi irriconoscibile, quando noi tre, Tell, Fosco, Ludi, da prigionieri fummo messi a confronto per pochi minuti a Cortina d’Ampezzo.
[NOTE]
14 R.S.G. HALL venne paracadutato, con altri 4 militari, nella notte fra il 1° e il 2 agosto 1944 nei pressi di Enemonzo, fra Ampezzo Carnico e Tolmezzo. La sua area di operazione doveva essere il Cadore. Dal 12 agosto si fermò nel Comelico (Val Visdende) con la Brigata Calvi. Indi si trasferì (30 settembre) nellAgordino stabilendo la base operativa ad Andrich presso Cencenighe. Rimase in contatto con la Brigata Valcordevole sino alla sua cattura il 26 gennaio 1945, mentre tentava una azione di guerra isolata presso Cortina d’Ampezzo. Fu portato a Cortina, quindi a Verona, ed alla fine a Bolzano ove dopo atroci torture fu impiccato il 19 febbraio 1945. I 4 ufficiali tedeschi accusati della sua morte, davanti alla Military Commission in Napoli dal 9 al 15 gennaio 1946, furono condannati: 3 al capestro ed 1 all’ergastolo. Hall ottenne la promozione a Capitano il 7 dicembre 1944 ed altre onorificenze post mortem. È sepolto ad Anzio.
(a cura di) Giovanni De Donà e Giorgio Mezzalira, Ludwig Karl Ratschiller, Il compagno “Ludi”, autobiografia di un partigiano, Circolo Culturale ANPI di Bolzano, Quaderni della Memoria 3/04
La Valsugana era un crocevia di spie e infiltrati utilizzati sia per individuare i partigiani diretti verso la Val di Fiemme attraverso la Val Calamento e la Val Cadino, sia, in seguito, per la presenza del “Gherlenda”.
“Primula” e “Ila”, partigiani del Gherlenda dei quali si conoscono solo i nomi di battaglia, di ritorno ai primi di ottobre 1944 da Valfloriana dove avevano prelevato 23 mila lire alla locale Cassa Rurale, stavano per cadere in un tranello. All’albergo “Calamento” trovarono quattro sconosciuti che si facevano passare per patrioti: uno di costoro diede loro appuntamento asserendo di poter portare dinamite, armi automatiche, documenti e denaro.
I due, prese informazioni tramite “Falco”, scoprirono che si trattava di spie tra le quali c’era l’onnipresente Fiore Lutterotti. Quest’ultimo aveva tentato di farsi passare addirittura per il comandante “Bruno”, ma fu presto smascherato perché riconosciuto da alcuni partigiani.
C’è da chiedersi come mai in Val Calamento non si conoscesse l’attività di spia di Lutterotti. Vittorio Gozzer cercò più volte di venirne a capo parlando con Rosina Franzoi, senza alcun risultato. Negli iltimi mesi prima della fine della guerra, Lutterotti era di stanza al comando delle SS di Strigno.
Pio Fantoma, ex sergente Cst, affermò che le spie locali regolarmente pagate erano dodici, numerate da 59 a 70. Veniva però tenuto all’oscuro su chi si nascondeva sotto quei numeri, perché Hegenbart preferiva quale interprete Maria Marchetto. Fantoma diede i nomi di tre spie, tra le quali quello di Aldo Boso di Castello Tesino, che con la sua delazione causò la morte dei due fratelli Mascarello.
“Dalle deposizioni di prigionieri interrogati abbiamo potuto ricostruire il sistema con cui lavoravano le SS per colpirci alle spalle”: è l’inizio della relazione “Spie e delatori” depositata al Museo Storico di Trento a firma del commissario del “Gherlenda”. Dei vari collaborazionisti locali, Nazario Sordo, sergente del Cst di Castello Tesino, fu l’unico a pagare il suo debito con la giustizia.
Due donne di Castello Tesino furono accusate dai loro stessi amici del Cst. Se una spia veniva individuata doveva essere eliminata. A questo generalmente provvedevano i Gap. Per le donne ci si limitava al taglio dei capelli.
“Oggi si fa presto a dire: potevate farè così o colà. Ma allora, quando si trattava di una spia che poteva causare la morte di molti partigiani, non c’era molta scelta” (dall’intervista a Luigi Doriguzzi “Momi”, 1968).
I due fratelli Tarcisio e Danilo Ballerin morirono a Mauthausen per la delazione di un loro compaesano di Castello Tesino. Non avevano mai avuto a che fare con il “Gherlenda” e furono consegnati al carnefice per rancori personali. Danilo frequentava il terzo anno di teologia al seminario di Trento. Il ricordo di don Remo Zottele, suo compagno di studi: “Sui collaborazionisti a vario livello manca una ricerca che potrebbe ora giovarsi di testimonianze e documenti d’archivio. Poche spie o collaborazionisti furono condannati nel dopoguerra: molti trovarono giudici che avevano vinto i concorsi sotto il fascismo e pretendevano testimonianze impossibili o rifiutavano quelle a disposizione”.
Le spie venivano premiate secondo l’importanza delle delazioni fornire: per la segnalazione di un “bandito” o di un deposito di armi, nel Bellunese il premio era di cinquemila lire e cinque chilogrammi di sale; per la cattura di un “capobanda” o per la segnalazione di un importante deposito di armi ed esplosivi c’erano diecimila lire e dieci chilogrammi di sale.
[…] A supporto della lotta di liberazione venivano paracadutate o s’infiltravano attraverso le linee le cosiddette “Missioni militari” con il compito di collegare le varie formazioni partigiane ai Comandi alleati. Comunicavano con la ricetrasmittente direttamente con Brindisi per segnalare necessità di rifornimenti, che avvenivano tramite aviolanci di armi, esplosivi, equipaggiamento e viveri.
Potevano segnalare anche obiettivi da colpire. I loro componenti indossavano sempre la divisa militare sperando, in caso di cattura, di ricevere un trattamento da prigionieri di guerra secondo la Convenzione di Ginevra. Sull’Altopiano di Asiago, proveniente da Monopoli, nell’agosto del 1944 arrivò la missione “Simia” comandata dal maggiore inglese Harold William Tilman, il primo, nel 1936, a scalare un ottomila, il Nanda Devi.
Con lui c’erano il tenente John H. Ross, il tenente Vittorio Gozzer “Gatti”, quale interprete, e il radiotelegrafista Antonio Carrisi “Marino Marini”. Dovettero ritornare a Monopoli per ben due volte causa la nebbia. Alla fine furono lanciati nelle stesse condizioni, col risultato che Tilman cadde su uno spuntone di roccia e rimase inattivo per una settimana, mentre il radiotelegrafista si slogò una caviglia e fu sostituito da Benito Quaquarelli “Pallino”, distaccato dalla missione “Sim” di Antonio Ferrazza.
Il solo rimasto indenne fu “Gatti”, che lasciò testimonianza anche delle avventure successive. La Missione, dopo aver contattato John Wilkinson della Missione “Freccia” che operava sull’Altopiano di Asiago, doveva dirigersi su Cansiglio in appoggio ai circa tremila partigiani della divisione “Nino Nannetti”.
Attraversato il Monte Grappa, dovette trattenersi sulle Vette Feltrine perché era in corso un rastrellamento e fu ospite in Pietena della brigata “Gramsci”, alla quale procurò qualche lancio. Questo invece non fu possibile per il “Gherlenda” data la conformazione del terreno e il limitato numero di combattenti da assistere.
Oltre a quelle militari, venivano inviate tramite aviolanci o sbarcate da sottomarini, passando poi la linea del fronte, anche “missioni informative”, vere e proprie “missioni di intelligence”, formate da personale italiano reclutato tramite il Sim (servizio informazioni militari) e l’Ori (organizzazione della resistenza italiana, creata e diretta da Raimondo Craveri).
Con la radio ricetrasmittente fornivano informazioni di tipo militare, politico, industriale ed economico-sociale. Non essendo ufficialmente militari, i componenti di queste missioni non indossavano divise e in caso di cattura potevano essere passati per le armi. Non che, comunque, i tedeschi abbiano sempre rispettato i diritti dei missionari in uniforme.
Il capitano Steve Hall della Missione “Eagle”, per esempio, arrivato alla fine del 1944 nel Cadore, fu catturato dai tedeschi a Cortina d’Ampezzo, portato a Verona, poi a Bolzano, duramente torturato e quindi impiccato.
Metà delle missioni dipendevano dalla Soe (Special Operations Executive), il Servizio speciale inglese in attività oltre le linee che in Italia corrispondeva alla “Special Force N. 1”, il cui scopo era di incrementare l’opposizione ai nazisti nei paesi europei. L’altra metà dipendeva dall’Oss (Office of Strategic Services) americano, da cui alla fine della guerra ebbe origine la Cia. Responsabile dell’Oss per l’alta Italia era Albert Materazzi. Ovviamente le missioni venivano inviate dove c’era una vasta organizzazione partigiana.
(a cura di) Cornelio Galas, La Resistenza in Trentino – 10, Tele Vignole, 4 aprile 2016

…siamo nel 1944 – estratto che riguarda il nostro Comelico…
Capitano R. S. G. Hall, paracadutato in Carnia …
…..atterraggio per un aviolancio alleato, atteso proprio a “Pramarino”.
In quei giorni egli ebbe effettivamente accanto anche Sergio Kratter, allora diciassettenne, che così racconta di quello straordinario incontro:
“Ricordo che a Candide, presso la casa dell’avv. Pietro Gera, nell’estate del ’44 c’era un ascolto continuo e clandestino, notte e giorno, di “Radio Londra” e “Radio Italia Libera”. Anche i figli dell’avvocato collaboravano con la Resistenza ed un giorno venne a S. Stefano il più vecchio di questi, Francesco, per abboccarsi con mio fratello maggiore, Alfonso. Disse che dovevamo recarci in Val Visdende, a “Prà della Fratta”, e solo strada facendo seppi che andavamo a trovare il Capitano Hall, già noto al Gera. Saranno stati i primi giorni di agosto, o prima, non ricordo. Dopo un lungo colloquio, l’americano mi annunciò che dovevo rimanere con lui. Io avevo 17 anni e parlavo abbastanza bene l’inglese e il francese, ma non ne volevo sapere di restare lì. Mi convinsero però a fermarmi per un giorno o due ed ebbi modo di conoscere bene quell’uomo, che si trovava da noi in attesa di un aviolancio di rifornimenti alleati da effettuarsi a “Pramarino”. Doveva inoltre organizzare e coadiuvare le formazioni partigiane cadorine, in particolare il Battaglione “Oberdan”, che era dislocato in una malga più in alto, a circa due ore di cammino dai “Piani di Visdende” e che comprendeva circa 80 uomini, tra i quali pure mio fratello Alfonso.
Dai colloqui avuti con lui venni a sapere che egli era lì in virtù di una sua radicata convinzione, certamente condivisa dai suoi comandi superiori, che la guerra si sarebbe fermata sui vecchi confini, tanto contesi nella Grande Guerra, e che fosse perciò necessario organizzare la lotta in Cadore, ancora assai lontano dalla struttura già attivata in Carnia, dove i rifornimenti alleati erano già funzionanti ed efficaci. Il lancio in Val Visdende era appunto atteso con grande ansia ed eccitazione proprio per ravvivare gli sforzi cadorini e ricordo che il messaggio atteso in codice era “Il mulo ha quattro zampe”.
Dopo tre giorni si unirono a noi due partigiani, Cesare De Mattia e Mario De Candido, ed io facevo da interprete. Essi facevano la guardia all’esterno e noi potevamo dormire tranquilli all’interno del fienile, con una coperta sul fieno. Eravamo puntualmente riforniti di viveri, sia dagli uomini dell’Oberdan”, sempre curiosi ed attenti ai giudizi del Capitano, sia dall’aw. Gera, che veniva qui personalmente da Candide. Il lancio però non avveniva mai, ma Hall mi diceva che esso poteva venir effettuato anche senza preavviso, per cui era necessario tener sempre pronto il campo di lancio con delle cataste disposte a “L”, mentre alcuni partigiani deir’Oberdan”, appostati sui monti circostanti, dovevano star pronti a scendere e a dar man forte.
Hall ci faceva così preparare la legna per i falò sul pianoro, di circa metri 200 x 200, in leggera salita tra “Pramarino” e “Prà della Fratta”. Una sera, improvvisamente, sentimmo il rumore di due aerei ed il capitano ci gridò “Leight/”. Accendemmo immediatamente i fuochi, ma gli aerei passarono senza lanciare alcunché. Ci urlò allora di spegnere subito tutto, perché poteva trattarsi di ricognitori tedeschi e il giorno seguente era deciso a mutare la sede. Avrei voluto accompagnarlo, stare ancora con lui, ma volle a tutti i costi che ritornassi a casa. Io gli ho obbedito e venni a sapere in seguito che il lancio atteso in Val Visdende fu poi fatto in Carnia. Ricordo perfettamente quella volta che dalla vicina Carnia giunsero in Val Visdende, accompagnati dai partigiani, due ufficiali inglesi a trovare Hall. Era di sera e rimasero per parecchio tempo insieme a parlare: portavano al Capitano la posta personale (mi ricorderò sempre questo particolare!), tanto che lui mi fece poi vedere una cartolina di auguri per il suo compleanno (12 agosto), inviatagli da suo fratello che combatteva nel Pacifico: nel giro di 6-7 giorni era arrivata in Val Visdende! Quando ci lasciammo ci salutammo cordialmente ed io gli diedi il mio indirizzo, naturalmente solo a voce, perché Hall non teneva niente per iscritto: “Se domani mi prendono – diceva – io non devo saper niente”. Dopo un mese circa, forse in ottobre, mi mandò ancora a chiamare e lo trovai a Campolongo, solo in una casa del centro. Qui tirò subito fuori da una grossa valigia molte carte geografiche e mi incaricò d’indagare le montagne circostanti tra il Comelico e l’Austria, onde verificare se i vecchi sentieri e mulattiere della Grande Guerra riportati sulle carte fossero ancora esistenti e in che grado percorribili da contingenti armati. Mi ribadì il suo pensiero che la guerra si sarebbe fermata sui vecchi confini e tirò fuori pure del denaro e me lo diede affinché contattassi degli uomini fidati per questo lavoro ritenuto da lui oltremodo utile in prospettiva futura. In quell’occasione potei constatare come la valigia fosse piena zeppa di denaro. Mi fornì pure degli schemi da compilare, segnalando su di esse tutte le variazioni intervenute sulle strade e sui sentieri. Io con Hall sarò stato un mesetto. Egli era ingegnere ed avrà avuto 35-38 anni. Mi fece una grande impressione: mi pareva molto esperto, quadrato, equilibrato, un uomo che non rideva mai, con un continuo, maniacale timore delle spie e dei delatori, tanto che non si allontanava mai dalla baita per più di dieci minuti. Doveva essere uscito da una scuola per agenti segreti molto seria, capace di forgiarlo a dovere e di renderlo tra l’altro attento a non coinvolgere alcun estraneo nella sua vicenda. Portava al fianco una pistola vistosa, tipo “Far West”, e girava sempre in divisa perché diceva che in tal modo, se lo avessero preso, avrebbero dovuto adottare nei suoi confronti le clausole della “Convenzione di Ginevra”. Io feci il lavoro assegnatomi, ma poi di Hall non seppi più niente. Nel mese di ottobre ripresi gli studi al Liceo di Vittorio Veneto e alla fine della guerra venni a sapere che i familiari di Hall erano stati a Candide per parlare con l’avv. Gera.”
Redazione, Pillole di storia tratte dal libro “Guerra e Resistenza in Cadore” di Walter Musizza e Giovanni De Donà, Costalissoio di Cadore

Per l’uccisione di Steve Hall in seguito una corte militare americana, insediata in Napoli, condannò a morte tre ufficiali nazisti e all’ergastolo un gendarme, anche questi della Gestapo. I tedeschi in questione erano stati diretti responsabili degli omicidi di altri americani.
Adriano Maini