
La brigata partigiana Stella Rossa nasce come una banda del mondo di montagna, ma è altresì una formazione che ben incarna lo spirito della Resistenza ponendosi in una forma aperta, mutevole e scarsamente adattabile a precisi modelli.
Si tratta inoltre della prima brigata, sorta in Emilia Romagna dopo l’8 settembre 1943, che con la sua presenza sembra sfidare la sancita impossibilità – stabilita dai politici antifascisti – di potere condurre la guerriglia partigiana nella zona bolognese dell’Appennino tosco-emiliano.
Altri gruppi erano sorti nella montagna bolognese sciogliendosi poco dopo nell’impossibilità di riuscire a dare una struttura stabile al loro insediamento. La storia di questa brigata presenta diversi aspetti in controtendenza rispetto al tipo di sviluppo assunto dal movimento di Resistenza nel bolognese che ha visto i suoi i primi partigiani provenire in prevalenza dalla città o dalla campagna dellapianura.
Molto spesso e limitatamente a questo periodo è però preferibile alla definizione di «primi partigiani» quella di «clandestini» considerando che alla scelta della macchia non corrisponde da subito e per tutti la possibilità di entrare in una brigata.
Inizialmente, nel periodo di gestazione della brigata Stella Rossa che va dal settembre 1943 al novembre dello stesso anno, compongono la formazione una ventina di uomini, tutti residenti nelle frazioni dei comuni di Monzuno e Marzabotto.
Sin dal suo nascere la formazione getta le premesse per ricevere il sostegno attivo e continuato della popolazione grazie a diversi uomini che immediatamente svolgono un ruolo di collegamento essenziale tra civili e partigiani. Il rapporto con la popolazione tende così ad essere pianificato ancora prima che la brigata cominci la sua attività.
Il ruolo di raccordo è svolto da uomini stimati all’interno della comunità e un risalto particolare va dato ai vadesi Umberto Crisalidi, Giorgio Ugolini, ma anche Giorgio Fanti e Antonio Nanni per limitarsi ai nomi più ricorrenti. Un’analoga funzione di collegamento è svolta da Guido Musolesi, fratello maggiore di Mario Musolesi «Lupo» che diventerà il comandante della brigata Stella Rossa, la formazione che opera prevalentemente in questa parte della montagna.
Crisalidi è un antifascista di vecchia data, già capolega prima dell’avvento del fascismo, consigliere comunale socialista nel 1920, poi perseguitato dal regime. Prima che Mussolini giungesse al potere, Crisalidi riscuoteva molta considerazione nel paese e questa stima non è venuta meno nel corso del tempo. E’ inoltre Crisalidi – che le testi monianze indicano come comunista – l’uomo che per primo pensa a una opposizione armata ai nazifascisti.
Già prima del luglio 1943 Crisalidi era in contatto con Giorgio Ugolini, il giovane che dopo l’8 settembre lo aiuta a raccogliere le armi che i soldati di passaggio dai paesi e dalla linea ferroviaria direttissima Bologna-Firenze abbandonano. Ugolini è uno studente liceale cattolico che riesce a coinvolgere per le riunioni preparatorie della brigata il parroco di Vado, don Eolo Cattani.
Il lavoro di pianificazione, accuratamente svolto dai responsabili della Stella Rossa, riguarda gli uomini e le strutture. Alla fine del 1943 si pensa anche a un arruolamento programmato evitando di includere da subito diversi uomini disponibili dirottandoli verso il più «sicuro» lavoro nella Todt.
Con la primavera del 1944 queste forze vengono poi inserite nella brigata e il lavoro con la Todt viene sabotato cercando soprattutto di convincere gli uomini che vi lavoravano a entrare nella brigata. Come un vero esercito, la Stella Rossa dispone di una rete di informatori posta a diversi livelli.
Nel Pfr locale Giulio Scappatori, Bruno Maestrami, Giorgio Fanti e Giorgio Conti sono il centro di una rete di uomini in grado di portare notizie sui movimenti dei nazifascisti e sui rastrellamenti. Con il contatto con gli uffici di Bologna le notizie potevano essere anche su un largo raggio. Quante informazioni siano state trasmesse alla Stella Rossa non è possibile stabilirlo. L’impressione è che giungesse ai comandi partigiani soltanto una parte di notizie.
Un’importante attività informativa viene svolta in tutte le formazioni dalle staffette, altro essenziale punto di appoggio della brigata nella società civile. Sono altrettanto vitali le concessioni ottenute dai contadini del luogo per adibire a deposito di armi, già dall’autunno del 1943, stalle e fienili.
Ritornato a casa Mario Musolesi (intorno al 23 settembre 1943) è contattato da Crisalidi che gli propone di intraprendere la lotta armata contro il nazifascismo.
Questo incontro (preludio a una stretta collaborazione), se è eccessivo vederlo come un’informale passaggio di consegne della leadership della comunità tra il cinquantunenne Umberto e il ventinovenne «Lupo», costituisce però un’importante legittimazione. Tanto Crisalidi quanto Musolesi, pur appartenendo a generazioni diverse, erano stati discriminati dal fascismo, le loro biografie li portano a un comune sentire, ciò che Crisalidi propone era già un preciso intendimento di Musolesi.
A quel punto è Musolesi che prende in mano la situazione e Crisalidi continua a lavorare per rendere operativo il progetto. La scelta di Crisalidi, persona estremamente oculata, di investire Musolesi, decidendo di mettersi al suo servizio, non è stata casuale, ma legata all’istintivo antifascismo di «Lupo» e al suo carattere determinato.
La necessità del momento era quella di trovare «alcuni giovani particolarmente coraggiosi capaci cioè di dare il primo esempio» con l’azione. Va inoltre considerato che il prestigio di Mano Musolesi nella zona era precedente la guerra partigiana, sebbene non sia mancato chi nutrisse antipatia nei confronti di «Lupo» sia prima che durante la guerra.
Musolesi era un uomo temuto dagli stessi fascisti con i quali si era concesso il privilegio di discutere. Uno dei più potenti uomini del Pfr di Bologna, Renato Tartarotti, arrivò persino ad offrirgli la reggenza del fascio repubblicano di Vado, carica che «Lupo» rifiutò con decisione di accettare.
La Stella Rossa, nascendo come banda locale, raccoglie il tacito pronunciamento della comunità (o per lo meno di una sua larga parte) che vede nel «Lupo» un comandante naturale in quel momento eccezionale. Non soltanto le doti militari mostrate in guerra e un’indubbia attitudine al comando resero «Lupo» una figura idonea al ruolo di capo, ma anche la sua capacità di parlare bene in italiano e la sua indubbia intelligenza erano altri elementi che attribuivano rilievo alla sua persona.
Ci fu chi come Olindo Sammarchi detto «Cagnone», grande amico d’infanzia e di gioventù di «Lupo» non accettò, per ambizione personale, il predestinato ruolo di comandante attribuito a Musolesi nella riunione della sacrestia di Vado nel novembre 1943. La riunione nella sacrestia è importante perché di fatto (nonostante l’opposizione di Sammarchi e il temporeggiamento mediatore di don Cattani) attesta il comando di Musolesi.
Sammarchi, ventottenne nel ‘43 e di un anno più giovane di Musolesi, aspirava a sua volta a diventare il capo della brigata in via di costituzione, ma i tentativi da lui fatti di conquistarsi il comando non ebbero successo. Probabilmente intravide nel gruppo armato la possibilità di conseguire vantaggi finanziari tanto che Crisalidi ricorda in più conversazioni l’insistenza di Sammarchi sul denaro, quasi agognasse un arricchimento a scopo personale.
Viceversa Mario Musolesi, con il contributo dei suoi familiari, investe per la costituzione della brigata duecentocinquantamila lire: è il capitale iniziale indispensabile per avviare l’organizzazione. Il denaro serve, fra le altre cose, per l’acquisto di alimentari, del vestiario, di medicinali e di ferri chirurgici Il cospicuo investimento spinge Musolesi a inserire il suo nome alla denominazione ufficiale della brigata che diventa «Stella Rossa – Lupo».
Un’elezione democratica del comandante – come aveva proposto don Cattani per acquietare Sammarchi – non ci sarà all’interno della brigata dove la potestà di Musolesi era indiscussa e la sua presenza carismatica. Tanti altri comandanti di brigate partigiane non sono stati eletti, ma hanno caratterizzato il loro ruolo con la qualità della visione strategica e con la capacità di motivare i combattenti, aspetti senz’altro presenti nel rapporto tra capo e Stella Rossa.
Un altro aspetto importante, nel rapporto tra comandante e plotone, è l’età. Chi comanda, di solito, deve avere un’età maggiore di chi è sottoposto e questo requisito è in larga parte rispettato nella Stella Rossa, dove il 65,8% degli uomini appartiene a classi di età inferiore a quella di «Lupo» e il 15% circa ha soltanto pochi anni di differenza, in più o in meno, rispetto al comandante.
Una brigata autoctona e stanziale
Il primo tratto è quello di una brigata autoctona tenuta assieme dai vincoli di vicinato e dal richiamo del luogo di nascita.
Sui dati campione di 334 partigiani della Stella Rossa (rapportati all’insieme degli effettivi che vi appartennero) risulta che il 54,3% è residente nelle zone montane delle operazioni della Stella Rossa o limitrofe a questa.
Riferendo invece il dato complessivo ai comuni di nascita dei partigiani appartenenti alla Stella Rossa, la percentuale delle zone dell’area montana sale al 65,4% sintomo di un’emigrazione dalla città verso i luoghi d’origine. I comuni e le frazioni considerati sono: Marzabotto, Monzuno, San Benedetto Val di Sambro, Castiglione dei Pepoli, Grizzana, Vado, Vergato, Camugnano, Sasso Marconi, Monte San Pietro. Castiglione dei Pepoli, uno dei comuni all’estremo sud dell’area montana considerata, porta alla Stella Rossa una significativa percentuale di uomini: il 9,3% dei residenti che sale all’11,4% considerando i nativi del comune.
La forte tradizione antifascista di questo paese esercita indubbiamente il suo peso. Marzabotto amministrato dal medico socialista – poi divenuto comunista – Amedeo Nerozzi è stata una delle quattro amministrazioni comuniste dell’Emilia Romagna prefascista cosicché i fascisti dovettero conquistare con la forza anche questo comune.
Ben il 18,3% degli uomini della brigata erano residenti a Marzabotto. La montagna, di solito considerata indifferente e in ritardo nel processo di politicizzazione che aveva investito le campagne della pianura, aveva registrato in queste aree significative presenze socialiste prima che il regime fascista si affermasse.
La costruzione della ferrovia direttissima Bologna-Firenze, la cartiera di Marzabotto e altri insediamenti industriali, come il canapificio di Pioppe, avevano contribuito, almeno in parte, a cambiare la fisionomia di quest’area montana.
Su questo dato incide la forte componente operaia giunta da Bologna, ma anche la mutata struttura economica della zona contribuisce ad alzare la presenza operaia.
E’ significativa inoltre l’alta percentuale di coltivatori diretti mentre uno dei dati più bassi in assoluto si riferisce alla componente impiegatizia. Aspetto unico fra tutte le brigate partigiane, la presenza di religiosi che viene a completare il riferimento sociale legato alla zona. Tutta l’area di azione della Stella Rossa si caratterizza per l’appoggio dei religiosi alla brigata.
Alcuni religiosi offrono un conforto morale, altri si impegnano più direttamente nel sostegno dell’attività partigiana, fra questi senz’altro don Giovanni Fornasini che il 25 luglio 1943 aveva fatto suonare a festa le campane per la caduta del fascismo. Don Fornasini svolgeva compiti di informazione a favore della Stella Rossa e fu riconosciuto come partigiano combattente.
In don Fornasini come in don Ubaldo Marchioni c’è l’esplicito riconoscimento che i partigiani rappresentano la comunità. I parroci esprimono questa considerazione nel loro linguaggio – «Anche i partigiani sono dei battezzati, come i miei parrocchiani; se loro non scendono, io salgo» – e nella loro opera. Don Fernando Casagrande si colloca sulla stessa linea di impegno degli altri parroci e il suo nome risulta iscritto dal 2 febbraio 1944 negli elenchi del Cvl.
Tutti e tre questi parroci, ancora giovanissimi, furono uccisi nei giorni della strage. Un appoggio al movimento di Resistenza fu offerto anche da don Eolo Cattani e da don Luigi Tommasini anche lui al centro di una rete informativa tra i civili e la brigata. Alla base di questo incontro si deve riconoscere un forte sentimento religioso delle popolazioni montanare.
La figura del parroco è rispettata come vengono sempre salvaguardate le sue funzioni (sono i partigiani a costruire una baracca per officiare le messe al parroco di Vado dopo la distruzione della chiesa), d’altro canto diversi partigiani erano stati buoni parrocchiani e il diffuso sentimento antinazifascista di larga parte della popolazione porta gli stessi sacerdoti a cogliere, seguire e ad approvare gli orientamenti della popolazione.
Sin dagli esordi la brigata riceve l’appoggio dei parroci forse perché risulta evidente la trasformazione da paesano a una figura che nei primi momenti non era ancora definita come partigiano, ma che si poneva in una condizione di disubbidienza di fronte alle risorte istituzioni del fascismo repubblicano.
Uno degli iniziali punti di forza della brigata è proprio la sua caratterizzazione autoctona, che conferisce tutt’altra solidità rispetto ai gruppi occasionali di soldati sbandati che si formano dopo l’8 settembre nell’Italia centrale e del nord.
Queste prime bande furono quasi sempre soggette a scomparire o a rimodellarsi profondamente. Anche la Stella Rossa subisce profonde e continue trasformazioni, ma non muta, se non in misura minima, la sua spina dorsale originaria.
Guardando al periodo di arruolamento, si può osservare come, al termine del dicembre 1943, la percentuale di uomini del posto o delle zone limitrofe raggiunga l’80,7%. Il nucleo dei locali non ha un’appartenenza di classe omogenea, ma si compatta e si riconosce nella figura del comandante Musolesi ed è questo uno dei riscontri più importanti che mostrano il carattere autoctono della brigata.
I primi fondatori (Mario Musolesi, Giovanni Rossi, Alfonso Ventura, Cleto Comellini, Guido Tordi), ricoprendo sempre, ad eccezione di Tordi, incarichi di vertice con un buon ascendente sugli uomini, avranno un ruolo decisivo per respingere proposte o ipotesi di trasferimento della brigata.
Nei ruoli chiave Musolesi inserì persone di sua fiducia, quasi sempre appartenenti all’area montana. Accade così che nessuno dei fondatori e montanari del luogo accolga l’idea di trasferimento a Montefiorino portata avanti da Sugano Melchiorri e difatti solo 85 uomini, di cui 40 disarmati, seguono Sugano.
Ci sarebbe stato uno spostamento ben più cospicuo se uomini come Rossi, Ventura o Celso Menini avessero accolto la proposta, ma né loro nè altri del luogo avrebbero mai voluto lasciare il loro territorio che consideravano il più sicuro e quello dove avrebbero potuto sopravvivere avendo a disposizione le strutture ausiliarie garantite dall’appoggio della popolazione.
Buona parte del primo nucleo di uomini che dà vita alla Stella Rossa è reduce dalla guerra nell’esercito fascista e torna nella propria terra con il fermo desiderio di rimanere.
In quel momento di grande difficoltà, il ritorno a casa era stato per tutti faticoso e denso d’insidie, una conquista che attribuiva al ritorno a casa un valore che avrebbe orientato il prosieguo della guerra.
Era come se la giusta ragione risedesse nel combattere a casa dopo che, per altre poco avvertite ragioni, si era combattuto lontano. Questo aspetto si ripercuote sul carattere di forte stanzialità del nucleo originario della brigata, una stanzialità che progressivamente va assumendo tinte ideologiche e strategiche.
Sul carattere ideologico della stanzialità, oltre all’idea della comunità da difendere, Musolesi per motivare i suoi uomini diceva: «Non dimenticate, compagni, quando sparerete colle vostre mitragliette contro il nemico, che la terra su cui combattete è vostra».
Per Musolesi ideologia e strategia sono tutt’uno, la forte riluttanza ad abbandonare le vecchie e natie aree d’azione si inquadra indubbiamente su un’osmosi tra popolazione e molti uomini della brigata che significa inoltre sicurezza delle basi, possibilità di foraggiamento, favore della popolazione e conoscenza del territorio.
Considerando i 334 giorni di vita della formazione (1 novembre 1943-29 settembre 1944) la brigata trascorre ben 269 giorni nella sua area d’origine individuabile nel perimetro Monte Caprara, Monte Venere, Monte Tennine, Monte Salvaro, Monte Caprara.
La predilezione verso la stanzialità è difficilmente perseguibile con l’accrescimento della brigata. La stanzialità diventa così espressione della cultura – anche bellica – dei responsabili della Stella Rossa che appaiono sostanzialmente chiusi di fronte a proposte di trasferimento o di una maggiore mobilità su un ampio raggio.
E’ un aspetto che segna uno dei limiti strategici più evidenti di Musolesi e dei suoi uomini più fidati. La scissione dalla Stella Rossa del battaglione di Sugano Melchiorri, avvenuta nei primi giorni del luglio 1944, trova proprio sulla questione mobilità/stanzialità una delle ragioni più forti, riflesso di un contrasto non nuovo.
Melchiorri non considerava più sicura la zona di Monte Sole e desiderava raggiungere il distaccamento partigiano attestato nella zona di Montefiorino, altro luogo non facilmente difendibile. Una tensione tutta particolare tra mobilità e stanzialità la vive il partigiano Carlo Venturi, «Ming», il quale riconosce le buone ragioni di Melchiorri, ma preferisce rimanere con «Lupo» per non allontanarsi ulteriormente da casa, analoga scelta viene fatta da diversi partigiani della zona.
Dalle testimonianze di Tommaso Ballotta e Leopoldo Bonfiglioli, due partigiani che hanno seguito Sugano Melchiorri nel modenese, i motivi del rifiuto di Musolesi a spostarsi vengono ad arricchirsi. Per Ballotta «Lupo non sarebbe stato comandante di niente e non conosceva la montagna nel modenese».
Per Bonfiglioli, testimone oculare della disputa Musolesi-Melchiorri, l’area di Monte Sole era vista dal comandante della Stella Rossa come una postazione privilegiata: «Il Lupo disse: voglio essere il primo ad arrivare a Liberare Bologna».
Per Amedeo Mengoli «Lupo invece voleva restare in quella che era la sua terra, anche perché credeva che fosse il luogo utile per ricevere dei lanci di armi dagli alleati».
Al di là della perentorietà dell’affermazione di Ballotta, è plausibile che per Musolesi la stanzialità (o un movimento limitato) significasse sicurezza del comando. In un terreno sconosciuto Musolesi temeva probabilmente di perdere l’ascendente sugli uomini e di conseguenza indebolire le sue prerogative di comando.
Risulta inoltre che al di fuori dell’area di origine si siano accresciute le difficoltà di mantenimento della brigata, tant’è che, anche nei periodi di stazionamento nelle aree esterne di Pietramala o di Monte Pastore, la zona originaria di Monte Sole ha continuato a funzionare come appoggio, deposito, vettovagliamento, finanziamento.
E lo stesso vicecomandante della brigata, Giovanni Rossi, ad ammetterlo quando afferma che «la zona non cambiò mai».
Già in seguito al grande attacco tedesco del 28 maggio 1944, concluso con la vittoria partigiana, si pone il problema di sganciare la brigata dalla zona di Monte Sole.
La questione non viene decisa dal solo Musolesi, ma da un nucleo allargato ai comandanti di compagnia. «Lupo» viene messo in minoranza e la brigata che effettivamente non poteva sostenere a lungo una battaglia di posizione, si dirige verso sud – est a ridosso del confine con la Toscana.
La nuova zona è scarsamente abitata (sono dunque poche le opportunità di contare sull’appoggio dei civili) e per giunta ben presidiata dai tedeschi, così che viene abbandonata dalla brigata dopo qualche giorno. I partigiani tornano indietro attestandosi a Monte Pastore nell’area limitrofa alla zona originaria.
Gli spostamenti si impongono perché non potevano stazionare oltre mille uomini in un’area non sufficientemente ampia per occultarli tutti. Ormai la Stella rossa non è più la brigata partigiana composta da qualche decina di uomini che può fare della rapidità di spostamento e occultamento la sua forza.
La gestione di un migliaio di persone toglie ogni elasticità e richiede un apparato d’appoggio che solo un esercito ben organizzato può garantire. D’altro canto la zona di Monte Sole garantiva agli uomini i viveri, ma armamenti e munizioni erano del tutto insufficienti.
Inesistenti le armi pesanti che avrebbero potuto garantire un difesa più sicura delle postazioni. Non tutti possedevano i mitragliatori, la maggioranza usava moschetti da 14 colpi. Poteva anche capitare che si usassero munizioni non adatte al tipo d’arma posseduto.
Gli ultimi mesi della vita della Stella Rossa (in particolare dall’inizio di giugno) sono caratterizzati dalla ricerca di sicurezza che vede nello spostamento, lungo o breve, l’unica via di uscita. Ci si muove però sempre con l’obiettivo di ritornare nella zona d’origine non appena ristabilita la calma.
Effettivamente i trasferimenti sembrano diventare una valvola di sfogo non soltanto per alleggerire la pressione militare sulla brigata e sulla popolazione, ma anche per stemperare tensioni interne.
Il lungo trasferimento nella zona di Pietramala viene preparato in anticipo dallo «stato maggiore» della Stella Rossa. Due tra gli uomini più fidati di Musolesi, Celso Menini e Cleto Comellini, erano stati inviati nella zona per preparare lo spostamento e si era cercato di prendere contatti con la 36.a brigata Garibaldi che operava nelle vicinanze.
Le ragioni di questo ultimo spostamento – che per la Stella Rossa è da considerarsi lungo per tragitto e durata – sono legate alla constatazione del comandante della difficoltà a trovare alloggi sicuri per gli uomini nella zona d’origine, con molti degli effettivi ridotti in uno stato di evidente stanchezza.
D’altro canto, Musolesi era preoccupato dell’aumento delle rappresaglie sulla popolazione e dell’impossibilità della Stella Rossa di evitarle.
La marcia di trasferimento fu impervia perché l’azione nazista stava intensificandosi. Per la prima volta «Lupo» mostrò agli uomini il suo scoraggiamento e, mutando le regole in vigore sino a quel momento, lasciò liberi di andarsene coloro che volevano lasciare la formazione e difatti ci furono alcuni abbandoni.
Verso la fine dell’agosto la brigata torna in marcia dirigendosi nuovamente nella zona d’origine di Monte Sole.
Sui motivi di questo rientro non si hanno notizie.
E’ molto probabile, conoscendo l’inclinazione dei responsabili della brigata, che il trasferimento a Pietramala [Frazione di Firenzuola (FI)] sia stato progettato come uno spostamento temporaneo.
I problemi che avevano indotto all’abbandono della zona di Monte Sole rimanevano. Era invece cambiato il quadro generale. Gli alleati avevano liberato Firenze e stavano avviandosi a ridosso dell’Emilia Romagna. La brigata a Pietramala, oltre a sostenere scontri con i fascisti, aveva avuto modo di ricompattarsi e risollevarsi sul piano morale, grazie anche alla nuova collaborazione con i commissari politici che avevano contribuito a meglio motivare gli uomini […]
(riassunto del saggio: Marzabotto, la Stella Rossa, la strage, la memoria di Mirco Dondi edito in “La montagna e la guerra, l’appennino bolognese fra Savena e Reno 1940-1945” di Brunella Dalla Casa, Alberto Preti Edizioni Aspasia)
Redazione, Storia della Brigata Partigiana Stella Rossa, ANPI Pianoro