Gli Stati Uniti attribuivano all’Italia esclusivamente un ruolo di sicurezza anti-sovietica

Il processo decisionale che portò all’adesione al Patto atlantico fu lungo e complicato. La discussione parlamentaresi protrasse per diversi giorni e avvenne in un contesto caratterizzato da forti resistenze sia in aula che all’esterno, con manifestazioni di piazza e scontri in diverse città italiane <381. Durante il dibattito furono affrontati temi apparentemente molto distanti tra loro, ma strettamente collegati alla scelta atlantica. Si discusse infatti “delle previsioni e dei timori della guerra, del ruolo dell’Europa, della portata della garanzia atlantica, dell’indipendenza del paese, delle ripercussioni della situazione internazionale sull’opinione pubblica o, in definitiva, della fisionomia e dei caratteri della nuova politica estera italiana” <382. Vi era poi l’esigenza di convincere l’opinione pubblica ad accettare una nuova alleanza militare, in un paese ancora profondamente segnato dalla guerra e influenzato dalla propaganda comunista <383. In ultima istanza, bisognava fronteggiare la resistenza opposta da larghi settori delle istituzioni, a partire dal Vaticano, contrario al progetto atlantico e favorevole ad una scelta di neutralità, soprattutto per il carattere protestante della maggioranza dei membri originari del Patto <384. Ostili all’annessione atlantica erano anche il Fronte Popolare, parte della Dc, fautrice di una linea basata sui valori cattolici del pacifismo e convinta che l’annessione al Patto atlantico avrebbe spostato a destra il baricentro del governo e, infine, i partiti di destra, notoriamente antiatlantisti e antiamericanisti. Tutte queste forze furono a lungo sbilanciate tra la necessità di adottare una linea neutrale e di non allineamento, e quella di stabilire un’alleanza difensiva di tipo politico e militare <385. La decisione italiana fu infine presa come conseguenza di alcuni avvenimenti che decretarono lo scioglimento di ogni dubbio da parte delle forze politiche italiane e il superamento di tutte le obiezioni a livello atlantico <386. In primo luogo, le pressioni del Ministro degli esteri francese Robert Schuman, che invitò Sforza a presentare la candidatura italiana in quanto sarebbe stata apertamente sostenuta dalla Francia <387. A queste si aggiunsero quelle dell’ambasciatore francese a Washington, Georges Bonnet, che pose la questione dell’annessione dell’Italia quale condizione per la partecipazione della Francia stessa <388. Con l’Esortazione Pontificia del 12 febbraio, che faceva seguito alla crescente repressione sovietica in Est Europa, arrivò anche l’appoggio del Vaticano <389.All’accettazione dell’Italia tra i membri originari del Patto contribuì infine la necessità di porre fine alle trattative ed avviare le attività dell’Alleanza atlantica <390.
Una delle principali conseguenze dell’inclusione dell’Italia nel sistema occidentale fu la “riacquisizione di parte di quella sovranità statuale perduta con la Seconda guerra mondiale a patto però di una cessione della medesima sovranità” <391. L’alleanza atlantica giovò infatti allo sviluppo economico e politico del paese, alla sua sicurezza interna ed internazionale, e comportò l’inclusione e la parità formale dell’Italia all’interno del sistema internazionale, l’immissione nel sistema di scambi creato a Bretton Woods, e l’inclusione nell’ambito della nascente integrazione europea, seppure in un contesto di forti limitazioni all’esercizio del proprio peso internazionale: un peso che, con molta probabilità, sarebbe stato del tutto assente all’esterno della cornice atlantica <392. Con l’inclusione italiana al Patto atlantico, tuttavia,gli interessi dell’Italia furono soddisfatti soltanto in maniera parziale. L’obiettivo di ottenere lo status di media potenza regionale non fu completamente raggiunto. L’Italia ricoprì un ruolo di scarso rilievo politico all’interno delle strutture del Patto atlantico: non fu ammessa allo Standing Group e poté entrare nei gruppi strategici regionali solo in qualità di osservatore <393. Inoltre, il rapporto bilaterale tra Stati Uniti e Italia nell’ambito della Nato, che nell’ottica delle classi dirigenti italiane era considerato “speciale”, per le autorità americane non aveva molto di diverso rispetto a quello che si era venuto a stabilire con gli altri stati <394. In quest’ottica, gli Stati Uniti attribuivano all’Italia esclusivamente un ruolo di sicurezza anti-sovietica, ed erano pertanto portati a considerare di secondo ordine tutti gli interessi specifici italiani che non rientrassero in tale funzione <395. Allo stesso modo, le rivendicazioni italiane più specificatamente legate al Trattato di pace non trovarono una sistemazione automatica con l’ingresso al Patto atlantico, quanto invece in seguito ad alcune modifiche del contesto internazionale maturate negli anni successivi. Le clausole militari più restrittive del Trattato decaddero nel 1951, quando l’inclusione della penisola nella Nato e la guerra in Corea resero necessario un coinvolgimento italiano nei programmi di riarmo occidentali e un rafforzamento delle linee difensive d’Occidente <396. Per quanto riguarda invece la questione di Trieste, un accomodamento parziale fu raggiunto soltanto con il compromesso del 1954, che stabilì la fine del Tlt e la spartizione definitiva della città nelle zone A e B, assegnate rispettivamente a Italia e Jugoslavia <397. Anche la richiesta italiana relativa all’annessione all’Onu non fu pienamente risolta, in quanto fu bloccata dal veto dell’Unione sovietica fino al 1955. Anche la questione delle colonie fu risolta in maniera svantaggiosa per l’Italia, che vide sfumare il mito del “ritorno nelle colonie” ottenendo esclusivamente l’amministrazione fiduciaria della Somalia <398. Più che la soddisfazione alle sue ambizioni di potenza, per l’Italia l’adesione alla Nato comportò l’accettazione di vincoli alla propria sovranità. In storiografia esistono numerose ipotesi, talora contrastanti, relativamente al fatto se la scelta atlantica significò una reale o presunta perdita di sovranità. Alcuni ritengono infatti che “l’ancoraggio all’Occidente” non abbia creato, di per sé, una cessione di sovranità, che era invece già implicita nella sconfitta in guerra e nell’armistizio dell’8 settembre, a partire dal quale l’ingerenza delle potenze occupanti negli affari interni italiani era già operante <399. Al contrario, il Patto atlantico comportò “una delega della responsabilità ultima per la propria sicurezza nazionale all’alleato principale in un quadro di multilateralismo vincolante”, fungendo allo stesso tempo da traino per la stabilizzazione democratica del paese, la sua crescita economica e industriale, e per il miglioramento delle condizioni di vita del paese <400. Altri ritengono invece che la scelta atlantica comportò costi molto gravosi per l’Italia, “che possono essere riassunti nella fortissima perdita di autonomia internazionale del paese, ben al di là dei limiti in cui ciò sarebbe stato necessario dal radicamento dell’Italia nella sfera d’influenza americana” e che furono per lo più causati da una sorta di “auto mistificazione” o “autoinganno” nei confronti della reale forza del Pci, di cui furono vittime sia le classi dirigenti italiane che le istituzioni americane <401. Molti hanno scorso segnali evidenti della perdita di sovranità italiana e di subordinazione agli Stati Uniti nella riorganizzazione che investì i servizi segreti italiani contemporaneamente all’annessione all’alleanza atlantica. Infatti, il 1° agosto 1949 il parlamento italiano ratificò l’adesione italiana al Patto atlantico, e il 1° settembre venne attivato il Servizio informazioni forze armate (Sifar). Il Sifar nacque in forza di una circolare interna del ministro, non in seguito ad un dibattito parlamentare, e fu posto sotto la diretta dipendenza del Capo di Stato maggiore della Difesa <402. Il Sifar era strettamente collegato al Servizio segreto americano, cui l’agenzia di informazioni dipendeva per mezzo di protocolli segreti annessi al Patto atlantico che prevedevano anche lo scambio di informazioni, una strategia di operazioni congiunte, l’armonizzazione dei sistemi di addestramento del personale, e la supervisione americana per la concessione di nulla osta di massima segretezza agli ufficiali destinati agli incarichi Nato e ai servizi di sicurezza <403. Per altri la creazione del Sifar fu invece, come nel caso del successivo riarmo, parte di un “processo di riassunzione di sovranità permesso dall’inclusione nella comunità atlantica e reso indispensabile per poter ottemperare agli obblighi derivanti dal farvi parte” <404.
Infine, è necessario ricordare che in storiografia si alternano spesso letture della scelta atlantica come “sceltà di civiltà”, e letture che invece si focalizzano sull’Alleanza atlantica come unica opzione percorribile e adottabile. Effettivamente, alle origini della scelta atlantica vi fu la consapevolezza, da parte del governo italiano, di trovarsi in una condizione di debolezza internazionale e di grande precarietà democratica. Allo stesso tempo, non fu una scelta “obbligata o inevitabile”, come hanno sostenuto alcuni <405. Si trattò piuttosto della capacità delle istituzioni italiane di utilizzare “la condizione di molteplice dipendenza” per costruire “una sapiente linea di reintegro del paese, di affermazione dei suoi primari interessi nazionali e, insieme, di consolidamento interno”, sulla base di una “strategia della dipendenza” volta ad esasperare le condizioni italiane per ottenere l’attenzione degli Usa <406. Si verificò, in altre parole, quel meccanismo tipico nella storia dell’Italia repubblicana, e cioè la tendenza a compensare la fragilità interna grazie al sostegno di un alleato internazionale <407.
[NOTE]
381 M. Toscano, Appunti sui negoziati per la partecipazione dell’Italia al Patto atlantico, in “Storia e Politica”, 1, 1 e 2 (1962): pp. 1-37; 196-231; A. Canavero, Identità europea e Alleanza atlantica: gli europeisti di fronte al Patto atlantico, in A. Giovagnoli, L. Tosi, Un ponte sull’Atlantico, cit. pp. 271-288; A. Breccia, Sicurezza ed equilibrio nella politica internazionale: dal concerto europeo all’Unione Europea, Roma, Nuova Cultura, 2008, p. 260
382 B. Vigezzi, La politica estera italiana e le premesse della scelta atlantica. Governo, in Id. (a cura di), La dimensione atlantica e le relazioni internazionali del dopoguerra (1947-1949), cit. p. 23.
383 Frus 1948, vol. III, The Ambassador in Italy (Dunn) to the Secretary of State, top secret, Washington, 25 settembre, 1948, pp, 252-253, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1948v03/pg_252. Su questo si veda anche: C. M. Santoro, La politica estera di una media potenza. L’Italia dall’Unità ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 196.
384 G. Formigoni, La Democrazia cristiana e l’Alleanza occidentale (1943-1953), Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 216-217, 295-314.
385 C. M. Santoro, La politica estera di una media potenza, cit. p. 196.
386 Sui passaggi conclusivi dell’adesione italiana al Patto atlantico, e sull’episodio della consegna a Washington di due documenti distinti che sfrondavano dei passaggi più polemici e negativi il Memorandum preparato a Roma, e che contenevano una esplicita richiesta di annessione all’alleanza (elemento del tutto assente nel documento originale), si faccia riferimento a: P. Pastorelli, L’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, cit. pp. 1027 e ss; R. Quartararo, Italia e Stati Uniti, cit. pp. 299 e ss.
387 A. Varsori, L’Italia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, cit. p. 71.
388 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, cit. p. 744.
389 G. Formigoni, La Democrazia cristiana e l’Alleanza occidentale, cit. p. XY.
390 Frus, 1949, vol. IV, Minutes of the Sixteenth Meeting of the Washington Explanatory Talks on Security, Washington, 7 marzo, 1949, pp. 166-174, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1949v04/pg_166.
391 M. Del Pero, L’Alleato scomodo. Gli Usa e la Dc negli anni del centrismo, Roma, Carocci, 2001, p. 64.
392 L. Sebesta, L’Europa indifesa, cit. p. 113-127; E. Di Nolfo, Italia e Usa, cit. p. 24.
393 Lo Standing Group, con sede a Washington, era composto dai Capi di Stato Maggiore di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, e aveva il compito di coordinare tutta la strategia atlantica e i piani strategici elaborati dai Comandi regionali in previsione di possibili aggressioni esterne.
394 A. Varsori, Scelta atlantica e scelta europea nella politica estera italiana, in A. Giovagnoli, L. Tosi (a cura di), Un ponte sull’atlantico, cit., pp. 253-269.
395 M. De Leonardis, Guerra fredda e interessi nazionali, cit. p. 223.
396 G. Vedovato, La revisione del Trattato di Pace con l’Italia, in “Rivista di Studi Politici Internazionali”, 41, 3 (1974): pp. 375-444. Il testo della Dichiarazione tripartita con cui Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna si impegnavano a considerare decadute le clausole militari e a rinnovare ogni sforzo per ottenere che l’Italia fosse ammessa all’Onu: Frus, 1951, vol. IV, Declaration by the United States, France, and the United Kingdom on the Italian Peace Treaty, Washington, 26 Settembre, 1951, disponibile al link: https://history.state.gov/historicaldocuments/Frus1951v04p1/d317. .
397 M. De Leonardis, La “diplomazia atlantica” e la soluzione del problema di Trieste (1952-1954), Napoli, Esi, 1992; G. Valdevit, Il dilemma Trieste: guerra e dopoguerra in uno scenario europeo, Gorizia, Casa editrice goriziana, 1999.
398 Nel 1949, l’Onu decise infatti che la Libia avrebbe riconquistato l’indipendenza nel giro di un paio di anni e stabilì che il futuro dell’Eritrea fosse deciso dall’Assemblea Generale tenendo in considerazione gli interessi di Addis Abeba.
399 C. Pinzani, L’Italia nel mondo bipolare, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, La trasformazione dell’Italia: sviluppo e squilibri, t. I, Politica, economia, società, Torino, Einaudi, 1994, pp. 7-191.
400 F. Romero, A. Varsori (a cura di), Nazione, interdipendenza, integrazione, cit., p. 158.
401 C. Pinzani, L’Italia nel mondo bipolare, cit. pp. 50-51.
402 G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1984, p. 38; E. Cerquetti, Le forze armate italiane dal 1945 al 1975. Struttura e dottrine, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 84-87.
403 M. Sassano, Sid e partito americano, Padova, Marsilio, 1975, pp. 16; 47.
404 M. Del Pero, L’Alleato scomodo, cit. p. 94. Le linee programmatiche del riarmo europeo erano state fissate dal Consiglio atlantico di Lisbona, nel febbraio 1952.A. Brogi, L’Italia e l’egemonia americana nel Mediterraneo, Firenze, La Nuova Italia, 1996, pp. 56 e ss.
405 Tra questi: G. Kolko, The Limits of American Power, cit. pp. 186 e ss; E. Di Nolfo, Problemi della politica estera italia, 1943-1945, cit. p. 307; A. Giovagnoli, Le premesse della ricostruzione, Milano, 1982, pp. 218, 256, 329.
406 F. Romero, Gli Stati Uniti in Italia: il Piano Marshall e il Patto Atlantico, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, vol. I, La costruzione della democrazia. Dalla caduta del fascismo agli anni Cinquanta, Torino, Einaudi, 1994, pp. 231-89; F. Romero, A. Varsori (a cura di), Nazione, interdipendenza, integrazione. Le relazioni internazionali dell’Italia (1917-1989), vol. I, Roma, Carocci, 2005, p. 156.
407 E. Di Nolfo, Italia e Usa, cit. p. 10; E. Di Nolfo, Sistema internazionale e sistema politico italiano: interazione e compatibilità, in L. Graziosi, S. Tarrow (a cura di), La crisi italiana, Torino, Einaudi, 1979.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

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