A partire dall’immediato dopoguerra il gruppo dirigente comunista organizzò in modo sempre più articolato la comunicazione politica e la propaganda ideologica

I classici studi sul ruolo della comunicazione nell’identificazione politica agli inizi dell’Italia repubblicana hanno mostrato un interesse quasi esclusivo alla contrapposizione tra le centrali propagandistiche del PCI e DC <34. Un’analisi più attenta dei principali canali attraverso i quali la comunicazione politica veniva prodotta, delle forme che essa assunse, e degli aspetti tecnici e culturali che condizionavano l’elaborazione dei linguaggi, può offrire un quadro più complesso. L’elevata polarizzazione del confronto costituiva un elemento di primo piano nel modo in cui gli italiani vivevano e concepivano la politica; ma soprattutto nel campo accomunato dall’ostilità al comunismo ci si trovava di fronte a una pluralità di voci, non sempre intonate tra loro e spesso non direttamente controllate da attori politici.
Nelle pagine che seguono, si traccerà il panorama delle principali forme di comunicazione politica nell’Italia dell’immediato dopoguerra, e ci si soffermerà soprattutto su quei sistemi considerati (anche da molti contemporanei) arretrati e «rudimentali», ma mostratisi abbastanza “penetranti” da gettare le basi per solidi riferimenti identitari – 35.
La Sezione nazionale Stampa e propaganda del PCI
Già alla fine degli anni Sessanta, i risultati della ricerca condotta dall’Istituto “Carlo Cattaneo” sulla presenza sociale del PCI e della DC mostravano l’efficienza organizzativa del Partito comunista, fulcro attorno a cui ruotavano le associazioni che raccoglievano militanti e simpatizzanti – 36. Un ambito in cui risalta il ruolo centrale che le strutture partitiche rivestivano nel mondo comunista è proprio quello della produzione e della diffusione di un sistema di riferimenti linguistici ed ideologici. In questo il PCI imitava le strutture che si erano formate nell’URSS negli anni successivi alla Rivoluzione d’ottobre, e che gli altri partiti d’ispirazione comunista avevano avuto modo di fare proprie tra le due guerre, quando il partito italiano sopravviveva nell’illegalità – 37.
A partire dall’immediato dopoguerra il gruppo dirigente comunista organizzò in modo sempre più articolato la comunicazione politica e la propaganda ideologica. Senza contare la produzione di filmine di carattere documentario-propagandistico o celebrativo, non determinante nella formazione di un linguaggio politico – 38, il messaggio offerto dai prodotti di sintesi, propri della comunicazione elettorale, trovò punti d’appoggio e possibilità di sviluppo nelle iniziative delle case editrici Rinascita, L’Unità, Edizioni di cultura sociale, Cultura nuova: dapprima, il loro lavoro si limitò alla pubblicazione di libri sull’Unione sovietica, di prontuari per il miglioramento della preparazione ideologica dei militanti – 39, e di alcuni testi classici della tradizione marxista-leninista prima non accessibili in italiano; poi a ciò si affiancò la distribuzione a prezzi popolari di alcuni testi di riferimento della cultura politica e della letteratura europea, nella collana Universale economica della Cooperativa del libro popolare aperta nel 1949 con il “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire <40.
La distribuzione e la gestione di tutto questo materiale, come quella di manifesti, volantini ed opuscoli e dei periodici di partito, era demandata alla Sezione nazionale stampa e propaganda, articolata in uffici e sezioni locali nelle varie federazioni provinciali, e guidata centralmente dall’apposita commissione, interna alla direzione del PCI. Già nelle campagne elettorali del 1946 e soprattutto del 1948, i meccanismi di gestione dell’attività propagandistica apparivano abbastanza rodati, ma le decisioni della Commissione stampa e propaganda passavano al vaglio del plenum della Direzione ed erano lì ampiamente discusse: si trattava, anche, di una certa diffidenza verso quella che era definita «un‘impostazione puramente propagandistica della campagna elettorale», e dell‘esigenza di vigilare affinché «la propaganda […] orientasse le masse in movimento verso i fini generali della lotta» <41. Nel periodo successivo la Commissione, sotto la guida di Gian Carlo Pajetta, acquisì maggiore autonomia; a giudicare dai verbali, le direttive per la campagna elettorale del 1953 furono elaborate direttamente da Pajetta e dai suoi collaboratori, senza rilevanti interventi esterni <42.
Gli anni tra la sconfitta elettorale del 1948 ed il recupero nella campagna contro la “legge truffa” furono insomma decisivi per definire le attività che avrebbero svolto, in ambito comunista, le strutture destinate alla gestione della comunicazione politica. Esse non si limitarono all’atto più “pratico” di produrre manifesti e volantini e di coniare parole d‘ordine e slogan, che illustrassero chiaramente la linea del partito e nello stesso tempo risultassero efficaci e facilmente comprensibili. Compito direttamente affidato alla Sezione stampa e propaganda era poi quello, forse ancora più delicato, di preparare gli attivisti. Essi costituivano l’elemento nevralgico per il lavoro di organizzazione delle forze sociali su cui il partito poteva contare, e per la diffusione di una “visione del mondo” che caratterizzasse la presenza comunista nella società italiana <43: dovevano sapere come e dove distribuire i manifesti, come creare opuscoli o giornali murali originali che trattassero dei problemi locali in una chiave nazionale ed internazionale, dove cercare le informazioni e le notizie di cui avevano bisogno nella loro attività; dovevano essere in grado di elaborare un discorso chiaro, che rappresentasse con semplicità le posizioni comuniste, e soprattutto dovevano sapersi difendere in un pubblico dibattito, organizzato o improvvisato, con gli avversari <44.
Diverse pubblicazioni periodiche curate dalla Sezione stampa e propaganda erano destinate ad istruire gli attivisti e a fornire ad essi materiale interessante per la preparazione delle loro campagne propagandistiche. Il primo foglio di tal genere fu il Quaderno dell’Attivista (nei primi numeri Quaderno del Propagandista), pubblicato tra 1946 e 1958 <45. Il Quaderno, oltre a diffondere documenti ufficiali, presentava articoli vertenti su aspetti pratici e organizzativi del lavoro degli attivisti, spesso precisi fin nei minimi dettagli: si davano consigli su come attaccare discorso nei locali pubblici o in conversazioni occasionali, su quali opuscoli e volantini consegnare a diverse persone secondo interessi ed inclinazioni, su come organizzare la distribuzione dell’Unità o l’attacchinaggio dei manifesti, ecc.
Alla fine del 1947, quando si era nel pieno della campagna elettorale per il 18 aprile, si sentì il bisogno di un altro sussidio per i propagandisti impegnati a sostenere il Fronte, un foglio che presentasse, già organizzata a grandi linee con la struttura di un discorso compiuto, la posizione del partito sui temi politici e sociali della campagna elettorale. Nacque così, a dicembre, il quindicinale Propaganda <46, destinato ad accompagnare gli attivisti del PCI fino agli anni Sessanta. Nei suoi articoli si trovava il materiale su cui gli attivisti avrebbero potuto lavorare per produrre i giornali murali, per scrivere gli articoli dei periodici di federazione e di sezione, per elaborare discorsi. Le informazioni e le statistiche garantivano che il contenuto apparisse attendibile, le parole d’ordine e gli slogan proposti avrebbero dovuto fare sì che l’esposizione fosse colorita ed efficace; in alcuni numeri, per garantire l’uniformità nella circolazione delle informazioni, si forniva un giornale murale già pronto a centro pagina, e qualche volta si trovavano le vignette da pubblicare su giornali o fogli “volanti”. Dalla fine del 1948, Propaganda iniziò ad uscire in numeri monografici, dedicati al problema “dell’ora”, e spesso più curati nell’impostazione grafica: da un lato, i propagandisti sarebbero stati in grado di conoscere a fondo i temi fondamentali su cui concentrare i loro sforzi; dall’altro, essi avrebbero potuto usare alcune pagine o intere copie del loro periodico per la diffusione diretta, a mo’ di opuscoli o volantini.
Fin dai primi numeri, i redattori di Propaganda prestarono attenzione a quella che essi definivano la “propaganda spicciola”, ovvero quella delle conversazioni improvvisate, tra familiari e amici, lontana dai comizi e dalle sedi “ufficiali” della comunicazione politica. Quasi ogni numero conteneva uno Schema di conversazione su un importante tema politico, in cui gli argomenti a difesa delle posizioni comuniste e le critiche al governo guidato dalla DC erano strutturate in un discorso completo, ma semplice e lineare. Spesso veniva presentata una breve sezione di Domande e risposte, in cui si offrivano risposte concise alle più principali critiche degli avversari o alle semplici curiosità sul mondo comunista. Dall’estate del 1949, nel pieno della campagna contro la ratifica del Patto atlantico e all’indomani della scomunica, queste sezioni vennero raccolte in un supplemento di periodicità irregolare, un foglio a quattro pagine intitolato Il Propagandista, che gli attivisti avrebbero potuto portare sempre con sé per usarlo come prontuario. A partire dall’ottobre del 1951, Il Propagandista iniziò una nuova serie autonoma, sempre a periodicità irregolare, più intensa (anche due volte a settimana) quando le circostanze lo richiedevano. Il foglio era arricchito da nuove rubriche, come Idee correnti, che esponeva sinteticamente e sfatava le posizioni degli avversari sul PCI, e quella dal significativo titolo Per la strada… in tram… al caffè…: essa offriva una serie di spunti per attaccare discorso, e infine presentare la proposta politica comunista, ad estranei di differenti opinioni politiche <47.
Il Propagandista dovette rivelarsi uno strumento di grande importanza per gli attivisti del PCI; un anno dopo, nell’ottobre del 1952, ebbe inizio la pubblicazione di una nuova serie denominata “Taccuino del Propagandista”, prodotta da una redazione autonoma da quella di Propaganda, sotto la direzione del giovane Luigi Pintor. Il formato era effettivamente quello di un taccuino tascabile, ad apertura verticale, che coniugava la praticità delle piccole dimensioni con la possibilità di rendere ogni numero più corposo rispetto al solito formato a quattro pagine. Il Taccuino usciva a cadenza quindicinale, con taglio monografico. Tra i primi, spiccarono quelli dedicati al XIX Congresso del PCUS e all’amicizia italo-sovietica, ma da novembre si iniziò soprattutto a trattare dei grandi temi della campagna elettorale del 7 giugno 1953, soprattutto della lotta contro la “legge truffa” e per la difesa della Costituzione. Ogni numero del Taccuino conteneva le note sezioni con gli schemi di conversazione e le serie di domande e risposte sul tema trattato, ed era completato da una sezione denominata “Documentazione”: in essa erano presentati, a seconda dei casi, estratti di documenti ufficiali del partito o di discorsi dei leader, parti dei discorsi parlamentari che si susseguirono nel corso delle lunghissime sedute per l’approvazione della legge elettorale, o i risultati di inchieste e statistiche. La redazione del quindicinale raccomandava di usare il materiale presentato come documentazione, sia come riferimento sicuro ed esatto per corroborare le proprie asserzioni, sia nella creazione di volantini, manifesti e giornali murali a carattere locale.
[NOTE]
34 Questi studi, che hanno in gen. fatto propria la prospettiva di G. Galli, Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia, Bologna, Il Mulino, 1966, sono spec. A. Ventrone, La cittadinanza repubblicana cit., G. Miccoli, “Cattolici e comunisti nel secondo dopoguerra. Memoria storica, ideologia e lotta politica”, in Id., G. Neppi Modona, P. Pombeni (a cura di), La grande cesura. La memoria della guerra e della resistenza nella vita europea del dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 31-87, e G. Vecchio, “Il conflitto tra cattolici e comunisti…” cit.
35 Cfr., ad es., i giudizi di R.A. Ventresca, From Fascism to Democracy. Culture and Politics in the Italian Election of 1948, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 2004, p. 198.
36 Cfr. Istituto di studi e ricerche “C. Cattaneo”, La presenza sociale del PCI e della DC, a cura di A. Manoukian, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 329 e ss.
37 Nell’ormai ricca bibliografia sull’argomento, utili riferimenti rimangono G.S. Jowett, V. O’Donnell, Propaganda and Persuasion cit., pp. 133-135, e M. Ebon, The Soviet Propaganda Machine, New York, McGraw Hill, 1987.
38 Su questo argomento cfr. D.W. Ellwood, “The 1948 Elections in Italy. A Cold War Propaganda Battle”, Historical Journal of Film, Radio and Television, XIII, 1, 1993, pp. 29 e ss., e M. Argentieri, “The Italian Communist Party in Propaganda Films of the Early Post-war Period”, in L Cheles, L. Sponza (eds.), The Art of Persuasion. Political Communication in Italy from 1945 to 1990s, Manchester, Manchester University Press, 2001, pp. 74-86.
39 L’es. più significativo in questo senso è G. Trevisani, Piccola enciclopedia del socialismo e del comunismo, Milano, Cultura Nuova Editrice; pubblicata per la prima volta nel 1948 ebbe numerose edizioni negli anni Cinquanta (quella a cui si farà riferimento in questa sede è la terza, 1951).
40 Gli autori che, nell’ambito di trattazioni più generali, si sono occupati di questo tema (su tutti G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito Comunista italiano, vol. VII, Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, Torino, Einaudi, 1998, pp. 469 e ss.) trovano il loro punto di riferimento nella ricerca di D. Betti, “Il partito editore. Libri e lettori nella propaganda culturale del PCI”, Italia Contemporanea, 175, 1989, pp. 53-74.
41 Documento sulla campagna elettorale, discusso in Direzione il 21/I/1948, cit. in R. Martinelli, Storia del Partito Comunista Italiano, vol. VI, Il “partito nuovo” dalla Liberazione al 18 Aprile, Torino, Einaudi, 1995, p. 337 e ss.
42 Mi riferisco alle circolari inviate da Pajetta alle commissioni locali nei mesi di aprile e maggio 1953, e soprattutto alla sua relazione “Problemi della propaganda nella preparazione della lotta elettorale”, pronunciata alla Commissione stampa e propaganda il 13/II/1953, in APC, archivio M, p. 13, b. 73, n. 6a, parzialmente pubblicata in appendice a G. Quagliariello, La legge elettorale del 1953 cit., pp. 534-548.
43 Cfr. Istituto di studi e ricerche “C. Cattaneo”, L’attivista di partito. Una indagine sui militanti di base nel PCI e nella DC, a cura di F. Alberoni, Bologna, Il Mulino, 1967, ma cfr. anche S. Bellassai, La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del PCI (1947-1956), Roma, Carocci, 2000, pp. 51 e ss.
44 Il ruolo dei sussidi prodotti dalla Sezione stampa e propaganda nella formazione dei propagandisti è ricordato da G.C. Marino, Autoritratto del PCI staliniano cit., pp. 41 e ss.
45 Tale foglio è oggi noto soprattutto grazie all’antologia curata da M. Flores, Il Quaderno dell’Attivista. Ideologia, organizzazione e propaganda nel PCI degli anni ’50, Milano, G. Mazzotta, 1976.
46 Cfr. alcuni cenni in A. Ventrone, “Forme e strumenti della propaganda di massa nella nascita e nel consolidamento della Repubblica”, in M. Ridolfi (a cura di), Propaganda e comunicazione politica. Storia e trasformazioni nell’età contemporanea, Milano, B. Mondadori, 2004, passim.
47 La necessità di un sussidio del genere, per le conversazioni occasionali con gli sconosciuti, era stata espressa già in Il Propagandista, III, 1, 27/II/1951, n. spec. Guida per la propaganda capillare, spec. pp. 12 e ss.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore – Pisa, 2006

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Pensionato di Bordighera (IM)
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