Inizia così l’inserimento di Pistoletto nel mercato internazionale, anche se associato alla Pop Art e a un dominio culturale che l’artista rifiuta in quanto limite alla libertà creativa

Dalle esperienze nate nella seconda metà degli anni Sessanta in seno alle gallerie e agli spazi non deputati d’ambito romano e torinese emergono le figure di Eliseo Mattiacci e Michelangelo Pistoletto, artisti assunti come casi di studio per analizzare il fenomeno dello sconfinamento dell’arte italiana negli spazi aperti della città.
Alla fine degli anni Sessanta nella produzione di entrambi è evidente il passaggio alla dimensione architettonica e urbana. Fenomeno per cui, come constata Celant nel recensire la rassegna folignate “Lo spazio dell’immagine” <197, “l’artista-progettista non si accontenta più di un fare che ‘comunichi’, ma esige ‘agire’ direttamente sul comportamento dello spettatore o del pubblico”. <198

Figg. 68-69. Michelangelo Pistoletto, Pozzi, 1967, mostra Lo spazio dell’immagine, Foligno, Palazzo Trinci, 1967. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra
Fig. 74. Eliseo Mattiacci, Tubo, 1967, mostra Lo spazio dell’immagine, Foligno, Palazzo Trinci, 1967. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra

Sia Pistoletto che Mattiacci partecipano alla mostra che ha luogo tra luglio e ottobre del 1967 nei locali dello storico Palazzo Trinci di Foligno. Il primo presenta cinque “Pozzi” con un fondo riflettente che restituiscono l’immagine dello spettatore insieme a quella degli affreschi trecenteschi del palazzo (figg. 68-69); il secondo occupa invece lo spazio espositivo con il “Tubo” presentato nel mese di marzo alla galleria La Tartaruga (fig. 74).
Entrambi sono così annoverati da Celant fra i rappresentanti di un’arte oggettuale che “modifica l’azione sullo spettatore”, ne stimola “una partecipazione libera”. <199

Figg. 7-8. Eliseo Mattiacci, azione con il Tubo in occasione della mostra alla Galleria La Tartaruga, 1967. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra

Nello stesso 1967, in seguito all’esperienza condivisa a Foligno, Pistoletto e Mattiacci cominciano a confrontarsi anche con la dimensione urbana ed il suo pubblico eterogeneo. Infatti, mentre a marzo il “Tubo” di Mattiacci irrompe con forza plastica nelle strade della capitale (figg. 7-8), a fine anno

Fig. 22. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra

Pistoletto fa rotolare la “Sfera di giornali” fra le vie che collegano le tre gallerie torinesi Sperone, Il Punto e Stein (fig. 22).
In questa sede si illustrerà l’evoluzione delle ricerche artistiche di entrambi dagli anni della formazione agli sconfinamenti degli anni Sessanta.
Michelangelo Pistoletto, nato a Biella nel 1933, comincia la sua formazione artistica nello studio del padre, pittore e restauratore, per frequentare poi la scuola di grafica pubblicitaria diretta da Armando Testa. Nel 1955 inizia a esporre i risultati della sua ricerca pittorica sull’autoritratto e, dalle tele giovanili, la sua produzione comincia ad orientarsi verso un continuo approfondimento dello spazio della rappresentazione. Il passaggio successivo sarà infatti quello dei “Quadri specchianti”, seguiti dagli “Oggetti in meno” e infine dalle esperienze teatrali in spazi non deputati.
Del 1958 è l’incontro con Tommaso Trini, insieme al quale si dedica ai primi esperimenti cinematografici, avvalendosi anche della collaborazione della poetessa Piera Opezzo e del fotografo Renato Rinaldi. <200
La prima personale di Pistoletto, tenuta a Torino presso la Galleria Galatea di Mario Tazzoli, è datata 1960 e l’anno successivo l’artista approda alla realizzazione dei “Quadri specchianti”. Questo genere di produzioni prevede inizialmente l’utilizzo della tela come supporto, abbandonata nel 1962 a favore della lastra di acciaio inox lucidata a specchio, sulla quale è applicata una carta velina che riporta fotografie dipinte di figure a grandezza naturale. <201 Così realizzati, i “Quadri specchianti” includono direttamente nell’opera la presenza dello spettatore, che vi si riflette accanto a figure immobili. Di conseguenza essi sono pervasi anche dalla dimensione reale del tempo, determinando un intreccio fra reale e virtuale.
Poiché i “Quadri specchianti” implicano un coinvolgimento spaziale, mentale e temporale, è lecito leggervi l’inizio dell’esplorazione di Pistoletto sui confini dell’arte. Bruno Corà li ha infatti interpretati come lavori che portano “a conseguenze inedite tutto il processo dinamico-plastico e quello stesso degli “Stati d’animo” di Boccioni e poi quello dello spazio-ambientale di Fontana”. <202
Pistoletto espone per la prima volta i “Quadri specchianti” nel marzo del 1963 alla Galleria Galatea, ma la delusione per il loro mancato apprezzamento da parte di Mario Tazzoli lo porta a compiere un viaggio a Parigi, dove presso la Galerie Sonnabend può apprezzare le opere di Rauschenberg, Johns e Liechtenstein. Contrariamente a Tazzoli, Ileana e Michael Sonnabend rimangono a tal punto colpiti dai “Quadri specchianti” mostrati da Pistoletto attraverso il catalogo dell’esposizione alla Galleria Galatea da acquistare tutte le opere della mostra torinese e organizzare nel 1964 presso il loro spazio espositivo una personale dell’artista, presentata da Tommaso Trini, da Alain Jouffroy e dallo stesso Michael Sonnabend. Inizia così l’inserimento di Pistoletto nel mercato internazionale, anche se associato alla Pop Art e a un dominio culturale che l’artista rifiuta in quanto limite alla libertà creativa. <203 “Ero felicissimo di aver trovato una dimensione internazionale, introvabile a Torino – confessa a Celant, con cui in quegli anni intrattiene una frequentazione assidua – tuttavia si poneva il problema di un fraintendimento: l’essere considerato tra i pittori americani. Essendo l’unico europeo, l’idea di essere inserito in una prospettiva pop era un’ambiguità artistica che non amavo molto. Anche se i pop non fossero esistiti, il mio lavoro sarebbe stato uguale, sarebbe esistito in connessione con le mie matrici italiane”. <204

Fig. 29. Michelangelo Pistoletto, Oggetti in meno, 1965-1966, Torino, studio dell’artista. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra

Per questa via, tra il 1965 e il 1966, la tappa successiva della ricerca di Pistoletto è rappresentata dagli “Oggetti in meno”, opere eterogenee nella forma e nei materiali che sfuggono al dogma dell’uniformità dello stile riconoscibile come un marchio commerciale standardizzato. La loro caratteristica principale risiede nella capacità di connettere lo spazio della rappresentazione a quello della vita e perciò sono considerate da Celant fondamentali per la nascita dell’Arte Povera (figg. 29).

Fig. 20. Veduta della mostra Arte Abitabile, Torino, Galleria Sperone, 1966. Fig. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra
Fig. 30. Michelangelo Pistoletto, Pozzi, Torino, Galleria Sperone, 1966. Fig. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra

Ne sono esempi i lavori presentati alla mostra “Arte Abitabile” (fig. 20) presso la Galleria Sperone nel giugno del 1966 (Statua lignea, Semisfera decorativa e Lampada a mercurio), i “Pozzi” esposti ancora nel 1966 da Sperone (fig. 30) e nel 1967 a “Lo spazio dell’immagine” di Foligno (figg. 68-69) – che, come scrive Celant, “intrinsecamente offrono con la loro specularità una dimensione spaziale” <205 – e la “Sfera di giornali” fatta rotolare fra le vie di Torino per “Con temp l’azione sempre” nel 1967 (figg. 22-23) e poi riproposta ad Amalfi, dentro una struttura metallica, per “Arte povera più azioni povere” del 1968 (fig. 94).

Fig. 94. Michelangelo Pistoletto, Monumentino, Capitello e stracci, Sarcofago e stracci, Mappamondo, Candele, mostra Arte povera più azioni povere, Amalfi, Arsenali della Repubblica, 1968. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra

Sul catalogo della mostra “Con temp l’azione” Daniela Palazzoli osserva che i nuovi lavori di Pistoletto non hanno in comune con la realtà una “relazione di raffigurazione”, bensì “una forma logica di funzionamento”. Essi “non invitano più a compiere operazioni: sono e propongono esperienze”, si fanno produttori di luoghi “costruiti con metalli o cemento, plexiglass o carta”. <206
A questa ricerca, che proietta Pistoletto nello spazio della vita, si associa, dalla primavera dal 1967, il ricorso alle azioni, con le quali l’artista supera la natura oggettuale dell’opera.

Fig. 31. Michelangelo Pistoletto, La fine di Pistoletto, Torino, Piper Pluriclub, 6 marzo 1967. Fonte: Alessia Mammino, Op. cit. infra

La prima azione pubblica è, come accennato, “La fine di Pistoletto”, realizzata il 6 marzo al Piper Pluriclub di Torino (fig. 31). In essa si intrecciano danza, musica e dimensione visuale e il pubblico è attivamente coinvolto: attraverso l’uso di lastre d’acciaio riflettenti e l’installazione nel locale dei “Quadri specchianti” lo spazio e le azioni si moltiplicano; i partecipanti indossano una maschera che riproduce il volto di Pistoletto, la cui “fine”,
dichiarata nel titolo della performance, è rappresentata dalla nascita di una nuova visione di sé.
Tommaso Trini sulle pagine di “Bit” descrive così l’azione: “Le lastre hanno vibrato, schioccato, sternutito tra le vaste pareti alluminizzate del tempio torinese beat […] Pistoletto ha impostato l’esecuzione secondo i due livelli fruitivi presenti nei suoi quadri, quello diretto e quello riflesso. All’esecuzione diretta, affidata alla generosità del pubblico, è stata alternata quella della registrazione”. <207
“La fine di Pistoletto” si tiene dunque in uno degli spazi alternativi della città. Fra questi va annoverato anche lo stesso studio dell’artista, che a dicembre, in occasione di una sua personale alla Galleria Sperone, viene svuotato del tutto per vedere annunciata una nuova apertura. Il manifesto d’inaugurazione riporta la volontà di accogliere coloro che “vogliono presentare il loro lavoro, fare delle cose, trovarsi”. Così lo studio diventa un luogo di incontri e creazione, è frequentato da pittori, scultori, attori, musicisti, poeti, filmmaker, che danno vita a mostre spontanee, performance musicali, reading, opere teatrali e proiezioni di film sperimentali. <208
La diretta conseguenza dell’“apertura” del quadro allo spazio è dunque per Pistoletto l’“apertura” di uno spazio fisico: “Il fatto di aprire – ha ricordato – non era tanto di lasciare entrare la baraonda, ma di trovarmi in condizione energetica e stimolante senza dover pensare sempre ed esclusivamente all’oggetto o avere quasi solo rapporti con esso. L’azione creativa con gli altri è una cosa che va oltre l’oggetto. Il rapporto con le persone diventa dinamico. L’incontro con gli altri non è solo rappresentato, ma è diretto”. <209
Una nuova occasione di inter-azione con il pubblico si verifica nel febbraio del 1968, quando, nel corso della già ricordata personale a L’Attico di Roma, l’artista installa nello spazio espositivo “Quadri specchianti”, arredi e costumi affittati a Cinecittà. In catalogo Argan definisce quella di Pistoletto una “poetica della Soglia”, nella quale si realizza una convergenza fra arte e spettacolo. <210 Negli ultimi giorni della mostra vengono proiettati in galleria i cortometraggi sperimentali realizzati dall’artista nel suo studio in collaborazione con alcuni filmmaker. Lo sconfinamento nel medium filmico rafforza il nesso arte-vita sul quale Pistoletto si è ormai orientato. Sulle pagine di “Momento Sera”, infatti, Lorenza Trucchi, oltre a constatare la rivoluzione tecnica dei filmati, attesta che essi mostrano “Pistoletto che dipinge, che guida, che passeggia, che fa il bagno, che crea oggetti, che si rade, che si veste, che si spoglia” e che, così facendo, porta “l’arte alla vita”. <211
Seguono le esposizioni insieme al gruppo poverista presso la Galleria De’ Foscherari di Bologna, il Centro Arte Viva Feltrinelli di Trieste e la Galleria Arco d’Alibert di Roma, dove, durante l’apertura della mostra “Il percorso”, Pistoletto compie un’azione consistente nell’impilamento di sacchi di cemento per realizzare una “Trincea”.
[NOTE]
197 Cfr. Capitolo II, paragrafo 2. 3. 1.
198 Germano Celant, A Foligno lo spazio dell’immagine, “D’Ars”, a. VIII, n. 36-37, Milano, giugno-ottobre
1967.
199 Ibidem.
200 Marco Di Capua, Intervista a Tommaso Trini, in Maurizio Calvesi, Rosella Siligato (a cura di), Roma anni ‘60. Al di là della pittura, cit., p. 376.
201 Fino alla fine degli anni Sessanta le fotografie utilizzate per i Quadri specchianti sono realizzate, sotto la direzione dell’artista, nello studio del fotografo Paolo Bressano.
202 Bruno Corà, Pistoletto. Lo spazio della riflessione nell’arte, Ravenna, Edizioni Essegi, 1986, p. 40.
203 Tra il 1966 e il 1967 i Quadri specchianti, sempre più apprezzati dalla critica, vengono esposti in prestigiosi musei d’Europa e degli Stati Uniti. Sono ad esempio presentati alle personali dell’artista al Walker Art Center di Minneapolis (1966) e al Palais des Beaux Arts di Bruxelles (1967). Nel 1967 Pistoletto riceve il premio della critica belga e quello della Biennale di San Paolo.
204 Germano Celant, Intervista a Pistoletto, in Germano Celant (a cura di), Pistoletto, catalogo della mostra (Firenze, Forte di Belvedere, 24 marzo-27 maggio 1984), Milano, Electa, 1984, pp. 29-32.
205 Germano Celant, A Foligno lo spazio dell’immagine, “D’Ars”, a. VIII, n. 36-37, Milano, giugno-ottobre 1967.
206 Daniela Palazzoli, L’atto reale non è l’elemento complementare di una poetica, è la struttura di un’esperienza, in Daniela Palazzoli (a cura di), Con temp l’azione, cit.
207 Tommaso Trini, Michelangelo Pistoletto (Piper Club Torino), “Bit”, a I, n. I, Milano, marzo 1967, p. 29
208 Lo studio ospita anche i componenti del Living Theatre, che nel marzo del 1967 avevano messo in scena Mysteries… and Smaller Pieces al Piper Pluriclub di Torino.
209 Michelangelo Pistoletto, in Mirella Bandini (a cura di), Torino 1960/1973, “NAC”, n. 3, marzo 1973, p. 13.
210 “La mostra – scrive Argan – è il solo genere artistico che, nel nostro tempo, sia stato distinto con qualche chiarezza; e poiché tra l’altro realizza la convergenza, per più vie cercata, di arte e spettacolo, va praticato senza falsi pudori. Come fa Pistoletto che non espone quadri, anzi li annulla facendoli di specchio e disponendoli in modo che si riflettano l’uno nell’altro; ed invece monta trappole per il pubblico mettendosi sulla soglia di persona, lui e la sua ragazza, per far vedere che si vive in almeno due spazi, forse in più, e che, dovunque si stia o si creda di stare, si è sempre sulla soglia, né di qua né di là. La dimensione in cui costringe i visitatori mondani ad aggirarsi per quel quarto d’ora è naturalmente la dimensione dell’arte, ma anche qui la parola va intesa nel senso letterale, demistificato, di artificio […] La poetica di Pistoletto è la poetica della Soglia. Non cerca nemmeno di fissarsi in un’opera, perché dove la collocherebbe, di qua o di là? Così si esibisce allo stato fluido, poetica della Soglia in una Mostra tutta fatta di soglie”. La presentazione di Argan è in parte riprodotta in Maurizio Calvesi, Rosella Siligato (a cura di), Roma anni ‘60. Al di là della pittura, cit., p. 438.
211 Lorenza Trucchi, Pistoletto all’Attico, “Momento Sera”, Roma, 16 marzo 1968.
Alessia Mammino, Arte contemporanea e centri storici nell’Italia degli anni ’60 e ’70. Un ventennio di esperienze oltre i luoghi deputati, Tesi di dottorato, Università degli studi della Tuscia – Viterbo, Anno Accademico 2016-2017

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Pensionato di Bordighera (IM)
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