I comunisti romani giocano un ruolo di primo piano nell’associare la messa in scena di una kermesse spettacolare al contrasto delle pulsioni disgreganti della città

Nel dispiegarsi dell’esperienza storica del ’77 un ruolo centrale lo gioca il contesto urbano. Spezzando la propria «tradizione isolazionista» <337, la capitale scopre un’inedita centralità all’intersezione fra la crisi degli anni settanta, una feroce conflittualità politica e la frantumazione di una realtà territoriale che produce vistosi fenomeni di isolamento sociale.
Da un punto di vista urbanistico, osserva Italo Insolera, da «città abusiva» Roma assume le forme di una «metropoli condonata» <338, presentandosi all’appuntamento con il riacutizzarsi delle lotte sociali come una città fortemente terziarizzata, dominata da un ceto amministrativo e dei servizi espressione di una media borghesia parassitaria legata al mattone e dipendente dai palazzi della politica che ne alimentano la legittimità.
Efficacemente denunciata da numerosi saggi e inchieste coeve, la crisi degli anni settanta si riflette su quella della città. Ne emerge un quadro urbanistico dominato dallo sviluppo “separato” (sul quale aveva cercato di intervenire il discusso piano regolatore del 1962 <339) in quattro aree distinte ma allo stesso tempo coesistenti <340, con il fiorire delle borgate ad Est.
Una «capitale inventata» <341 dove il conflitto si manifesta in forme originali e trova il proprio fondamento materiale nell’ineguale distribuzione sul territorio di gruppi e risorse <342. Le lotte per la casa <343 nei quartieri Magliana e San Basilio, l’alienante vita delle periferie, la mancanza di accesso ad acqua ed elettricità nelle borgate <344 riportano a galla il sommerso di una città assimilabile, da un punto di vista geo-sociale, alle realtà delle megalopoli dei paesi in via di sviluppo, che trova adesso una rappresentazione plastica nell’emergere di nuove soggettività conflittuali. L’estrema eterogeneità del tessuto urbano produce, infatti, un sottoproletariato diffuso che si caratterizza per l’assunzione di immaginari di lotta assai distanti da quelli della «classe operaia organizzata» <345 ed associa, a rivendicazioni strettamente politiche, istanze e pulsioni esistenziali. I problemi urbanistici accompagnano e favoriscono inoltre una difficile situazione sociale: la diffusione della droga, il salto di qualità della malavita organizzata e drammatici episodi di cronaca nera (su tutti, l’atroce e misterioso delitto Pasolini, la tragedia del Circeo e la clamorosa fuga di Kappler dal Celio) insieme con l’eversione neofascista e il terrorismo di sinistra generano la sensazione di una città sotto assedio, “una nuova Beirut”, amplificata «dall’alleanza, inconsapevole, fra terroristi e media» <346. All’interno di un panorama sociale segnato da «cifre crudeli» <347 si animano i combattivi comitati dei Volsci <348, espressione della federazione di movimenti che articola il variegato arcipelago dell’autonomia operaia, capaci di rilanciare la capitale sul panorama della conflittualità italiana, problematizzandone gli esiti. Saldandosi attorno alle rivendicazioni di natura territoriale, essi mirano ad «alimentare una continuativa illegalità di massa» che conduca «alla riaggregazione delle composite classi lavoratrici romane attorno al soddisfacimento coatto dei bisogni primari, o divenuti tali nella società del consumo» <349. Il risultato è una guerriglia urbana con le forze dell’ordine <350 che nel giro di pochi mesi produce molti degli episodi più iconici di quella stagione. Il 2 febbraio militanti della sinistra extraparlamentare assaltano la sede del Fronte della gioventù; il 21 aprile è ucciso l’agente di pubblica sicurezza Settimio Passamonti; il 12 maggio le forze dell’ordine uccidono la manifestante Giorgiana Masi mentre in autunno tocca al giovane militante di Lotta Continua Walter Rossi <351.
Appare chiaro che le drammatiche problematiche che affliggono la capitale non possano essere pienamente assorbite, né tantomeno risolte, dalla new wave culturale promossa dalla giunta rossa. Ma non per questo si deve trascurare il forte valore simbolico rivestito dalle oasi di spensieratezza dove ritrovarsi e trascorrere il tempo di non lavoro, ribadito peraltro dalla stampa internazionale <352. Mentre la violenza delle P38 pone questioni di ordine pubblico e una reazione dello stato spesso apertamente repressiva <353, tradotta nella logica del coprifuoco e della militarizzazione delle aree urbane anche nelle città-simbolo dell’amministrazione comunista, Massenzio invita ad uscire la sera e vivere la metropoli in forme festose e scanzonate, dentro una complessiva estensione del diritto della città, per accantonare momentaneamente appartenenze politiche e di classe e (ri)affermare un insopprimibile desiderio di divertimento e cultura. Nel riflettere vent’anni dopo sulla violenza del settantasette romano, Renato Nicolini avrebbe ricordato: «anziché tendere a dare per chiuso il circolo ’77-autonomia-terrorismo, Metropoli-Br, e assumere di conseguenza atteggiamenti sostanzialmente difensivi, tesi a salvaguardare l’identità politico-culturale della “parte sana” della città e della nazione, l’Estate romana accettava il rischio del contagio» <354. Un terreno neutro di incontro modellato attorno al loisir e al tempo libero lascia a ciascuno, anche ai militanti, la riappropriazione della città attraverso un’«occupazione democratica di un territorio fisico» capace di cristallizzare «l’immagine di una cittadinanza democratica plurale» <355.
Se la rappresentazione memorialistica sulle Estati romane ha spesso enfatizzato l’effetto calmante di Massenzio sulle agitazioni sociali, non di rado amplificandolo <356, certamente è riuscita a cogliere la portata di una scelta coraggiosa ed inedita nel crescendo di violenza che solo l’anno successivo si sarebbe data nella clamorosa e drammatica uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro e del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana.
Con la sensibilità letteraria che gli è propria, lo scrittore Pier Vittorio Tondelli avrebbe messo a nudo il cortocircuito emotivo provocato dalla convivenza di due fenomeni agli antipodi – terrorismo ed effimero – e nelle sue cronache postmoderne avrebbe parlato di un «sapore schizoide» davanti alla scelta del comune di non fermare gli spettacoli a fronte della brutale uccisione di una ragazza da parte di tre vigili urbani: «Quello che lascia perplessi, oltre all’efferatezza dell’esecuzione, è che dalla stessa giunta arrivino, nel medesimo tempo, segnali di gaiezza, convivialità e divertimento, mischiati a segnali di repressione, intimidazione e morte. In quelle sere, partecipando ai vari riti dell’Estate Romana, avevamo in pieno questo sapore schizoide in bocca» <357. In una sorta di “show must go on” ante litteram il centro storico di Roma recupera una fisionomia aggregante e il mondo della canzone ne traduce la passione («Si muove la città» avrebbe cantato Lucio Dalla). Ai colpi di mitra brigatisti si sostituisce progressivamente il chiasso popolare che dopo «decenni di noia» <358, paura e sacrifici, torna finalmente protagonista.
La stampa politica non manca di evidenziare la rinnovata dimensione partecipativa: “La gente, rimasta chiusa in casa per troppo tempo, fin dall’epoca dell’austerity, ha sfatato il luogo comune terroristico secondo cui dopo il tramonto non si poteva più uscire e, in massa, si è riversata nelle strade. Mai vista tanta «partecipazione». Chi esce per le vie della città, in questi giorni, lo constata coi propri occhi. Le strade e le piazze destinate a queste attività spettacolari, divengono per l’occasione isole pedonali, luoghi d’incontro di persone uscite di casa senza essere divorate dall’ansia della programmazione del tempo libero, senza l’assillante interrogativo di «cosa fare e dove andare <359.
I comunisti romani giocano un ruolo di primo piano nell’associare la messa in scena di una kermesse spettacolare al contrasto delle pulsioni disgreganti della città. Ai richiami nicoliniani per la vivacizzazione degli spazi storico-archeologici («altrimenti, rimangono […] le pietre: non testimonianze di cultura, ma memoria archeologica» <360) e a un uso della festa come contrasto alla droga («in una città sfasciata e zeppa di morti di droga – afferma l’assessore – dobbiamo produrre qualcosa che catturi i gusti del pubblico, qualcosa che sia anche catturata dai gusti del pubblico» <361) soggiace la concezione della cultura in ottica trasformativa, capace di favorire il cambiamento nei rapporti sociali. A chiarirlo è Corrado Morgia, responsabile dei problemi culturali della federazione romana del Pci, quando sottolinea l’importanza dei bisogni espressivi ed esistenziali dell’uomo, insieme e oltre quelli politici, e considera quello culturale più in generale come un problema: “non solo di crescita del sapere, ma anche di qualità della vita, di recupero della dimensione sociale dell’esistere, di scambio di esperienze, di incontro. E questa è anche una sfida lanciata al terrorismo, alla disperazione, al desiderio di morte che è sotteso a tante storie giovanili quanto più certi meccanismi della moderna società industriale spingono all’isolamento, all’atomizzazione, alla guerra di tutti contro tutti tanto più occorre rispondere con il rilancio della vita comunitaria, con l’allargamento della politica, della democrazia, della cultura, della partecipazione. Al progetto di città truculento, sanguinario, totalitario, «a una dimensione», del terrorismo brigatista e fascista, rispondiamo con una idea di città a misura d’uomo, in cui possano essere risolti i problemi del lavoro e dell’esistenza materiale, ma anche quelli dell’espressione e della crescita critica. Vogliamo un uomo sviluppato da tutti i lati, vogliamo una esaltazione dei bisogni, della fantasia, dell’arte, dell’esistenza” <362.
Il comitato romano formato da assessorato alla cultura e cineclub indipendenti lancia quindi per l’estate del 1979 la rassegna dal titolo “Visioni” <363, l’ultima realizzata a Massenzio, in un clima collettivo ancora pesantemente segnato dalla violenza politica e lontano da quella definitiva uscita dell’emergenza, interpretata da Monica Galfrè come il «punto di intersezione tra due decenni che hanno costruito la propria identità l’uno in contrapposizione all’altro» <364. Per sollecitare il desiderio, il cinema si fa «rito ludico, gioiosa festa dell’immaginario collettivo» <365 e nell’ambito della programmazione quotidiana ogni spettatore riceve un gioco dell’oca stampato a colori sul retro della locandina <366. L’obiettivo è quello di richiamare il pubblico a intraprendere un preciso tracciato cinematografico coinvolgendolo in un gioco d’immagini, “Visioni”, per l’appunto <367. La manifestazione prosegue su binari collaudati e accompagna il passaggio da una «fruizione collettiva ridotta», quella tradizionale dell’esperienza cinematografica, verso una «fruizione collettiva allargata», spinta dall’«emergere di forme di consumo giovanili che non trovano riscontro nella produzione culturale più istituzionale» <368. Capace di resistere alla pioggia <369, la rassegna del ’79 mette in scena la fantascienza di “Godzilla” (1954) e “Guerre Stellari” (1977), «veri e propri film-giocattolo», che la critica non esita a definire «trucchi del colonialismo americano e giapponese» <370.
L’arretramento del Pci in occasione delle elezioni politiche del 1979 annuncia «un’inversione di marcia definitiva e robusta» <371 ma non rallenta l’effimero, che anzi prosegue spedito e continua ad incrementare il successo in termini di pubblico, nonostante proprio il voto giovanile provochi al partito «un balzo all’indietro di due decenni» <372. I ventimila spettatori, ad appena una settimana dall’inizio della kermesse, evidenziano una controtendenza, colta da «Rinascita»: “[…] il fatto più curioso è che in questa città dove pure perdiamo il sei per cento dell’elettorato, i giovani – quella parte di società che meno comprendiamo – e tra questi anche i più ostili al Pci, i reduci del ’77 o quei singolari diciottenni che qualcuno immagina fedelissimi di Wojtyla siano i primi a entusiasmarsi per le iniziative di un assessore comunista. Soltanto una questione di feeling?” <373.
Le edizioni successive si sarebbero incaricate di chiarire l’interrogativo avanzato dall’autore, evidenziando come i temi del divertimento, al netto dei percorsi individuali della militanza politica, avrebbero intercettato le fasce giovanili in un processo di progressivo sdoganamento di pratiche simboliche, linguaggi estetici e codici culturali.
[NOTE]
337 D. Guzzo, Roma. La chimera insurrezionale e la fine dell’illegalità di massa, in M. Galfrè, S. Neri Serneri (a cura di), Il movimento del ’77, cit., p. 202.
338 I. Insolera, Roma moderna, cit., p. 279.
339 Molto duro il giudizio di Insolera sulle vicende del Piano regolatore del 1962: «Al dibattito politico-amministrativo, sempre più confuso, dovrebbe adesso affiancarsi una precisa indicazione culturale: di fronte al piano della classe dirigente – economica e politica – si avverte l’inesistenza di una cultura popolare che dia sostanza e argomento alla lotta politica, che indichi nuovi obiettivi al di là dell’ottica borghese e radicale, che dimostri le contraddizioni della società romana. Al momento in cui i politici avrebbero dovuto passare la mano agli urbanisti, gli architetti, ci si accorse che non erano questi gli intellettuali elaboratori di una nuova cultura della città; anzi ci si accorse che non esistevano nemmeno, e quei pochi a cui in passato era toccato il compito di affiancare i politici, si chiudono adesso, a scanso di equivoci, nei loro studi professionali da cui usciranno solo, tra qualche anno, per mostrare meravigliosi plastici di lussuose utopie»., in Ivi, p. 252.
340 La città storica, quella consolidata negli anni ‘50, nucleo centrale e compatto dell’agglomerazione che contiene al suo interno le due città capitale, civile e religiosa. La città speculativa, edificata sostanzialmente tra gli anni Cinquanta e Settanta sotto l’impulso del mercato e dell’imprenditorialità privata. La città pubblica, cioè la «nebulosa» dei quartieri di edilizia sovvenzionata ed agevolata della legge 167, disposta a pioggia con uno sbilanciamento verso Est ed infine la città abusiva, disposta con le stesse caratteristiche della città pubblica ma cresciuta in maniera non regolamentata. P. e R. Della Seta, I suoli di Roma. Uso e abuso del territorio nei cento anni della capitale, Roma, Editori Riuniti, 1988, pp. 240-241.
341 B. Tobia, Roma da città a metropoli. Gli ardui percorsi di una capitale inventata, in «Studi storici», 44, 2003, pp. 273-294.
342 G. Congi, L’altra Roma. Classe operaia e sviluppo industriale nella Capitale, Bari, De Donato, 1997.
343 B. Bonomo, Le lotte per la casa alla Magliana negli anni Settanta, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», I, 2005, pp. 176-180; L. Villani, «Neanche le otto lire». Lotte territoriali a Roma (1972-1975), in «Zapruder», XXXII, 2013, pp. 23-39; Id., The Struggle for Housing in Rome. Contexts, Protagonists and Practices of a Social Urban Conflict, in M. Baumeister, B. Bonomo, D. Schott (a cura di), Cities Contested, cit., pp. 321-345.
344 Cfr. G. Berlinguer, P. Della Seta, Borgate di Roma, Roma, Editori Riuniti, 1975; A. Portelli, B. Bonomo, A. Sotgia, U. Viccaro, Città di parole. Storia orale da una periferia romana, Donzelli, Roma, 2006; M. Farina, L. Villani, Borgate romane. Storia e forma urbana, Melfi, Libria, 2017.
345 A. Asor Rosa, Le due società. Ipotesi sulla crisi italiana, Torino, Einaudi, 1977, p. 64.
346 E. Fachinelli, Al cuore delle cose. Scritti politici (1967-1989), Roma, DeriveApprodi, 2016, p. 86. Più in generale, il ruolo dei media nell’alimentare una rappresentazione sul crescendo di violenza politica e risposta delle istituzioni risulta decisivo nel sedimentare nella cultura diffusa la sensazione di paura. Su questi argomenti si vedano Terrorismo e Tv. Italia, Gran Bretagna, Germania occidentale, Torino, Rai-Eri-Utet, 1982 e M. Dondi (a cura di), I neri e i rossi. Terrorismo, violenza e informazione negli anni settanta, Nardò, Controluce, 2008.
347 Cfr. M. Galleni, Rapporto sul terrorismo, Milano, Rizzoli, 1981, pp. 119-128 e D. Della Porta, M. Rossi, Cifre crudeli: bilancio dei terrorismi italiani, Bologna, Istituto Carlo Cattaneo, 1984, pp. 16-17; 22-26, 34-36. Non è possibile in questa sede riassumere la ricca bibliografia sul tema. Si rimanda dunque, a titolo di esempio, a G. De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Milano, Feltrinelli, 2009; G.
Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta 1966-1975, Einaudi, Torino, 2009; A. Ventrone (a cura di), I dannati della rivoluzione. Violenza politica e storia d’Italia negli anni Sessanta e Settanta, Macerata, EUM, 2010; S. Neri Serneri (a cura di), La politica della violenza nella sinistra radicale degli anni Settanta, il Mulino, Bologna, 2012; G. Gozzini, C. Fumian (a cura di), I terrorismi italiani degli anni ’70 e ’80, in «Passato e presente», 97, 2015. Sul rapporto fra terrorismo e opinione pubblica si veda M. Tolomelli, Terrorismo e società. Il pubblico dibattito sul terrorismo in Italia e in Germania negli anni Settanta, il Mulino, Bologna, 2007. La parabola finale del terrorismo e i relativi problemi legislativi sono affrontati in M. Galfrè, La guerra è finita: L’Italia e l’uscita dal terrorismo 1980-1987, Roma-Bari, Laterza 2014. Per uno sguardo transazionale: C. Cornelißen, B. Mantelli, P. Terhoeven (a cura di), Il decennio rosso. Contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in Italia negli anni Sessanta e Settanta, Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Quaderni, LXXXV, Bologna, il Mulino, 2012.
348 Sulla vicenda dei Volsci nell’ «intermezzo» del ’77 si veda in particolare G. Ferrari, G. M. D’Ubaldo, (a cura di), Gli autonomi. L’autonomia operaia romana Vol. 4, Roma, DeriveApprodi, 2017, pp. 91-107.
349 D. Guzzo, Roma. La chimera insurrezionale e la fine dell’illegalità di massa, cit. p. 203.
350 Un’analisi sui movimenti politici a Roma è presente in M. Grispigni, Generazione, politica e violenza: il Sessantotto a Roma, in «Italia contemporanea», 175, 1989, pp. 97-101. Sulle lotte per la casa e il movimento del ‘77 a Roma si veda inoltre M. Heigl, Rom in Aufruhr: Soziale Bewegungen im Italiender 1970er Jahre, Bielefeld, Transcript Verlag, 2015.
351 C. Vecchio, Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano, Milano, Feltrinelli, 2017.
352 Se l’annotazione dell’«International Daily News» – «Low-priced culture for masses is way to civil peace in Italy» – suonava sicuramente altisonante e semplificatoria, l’espressione coglieva tuttavia il ruolo giocato dalle Estati romane nel rapportarsi al fenomeno del terrorismo. H. Werba, Low-Priced Culture For Masses Is Way To CivilPeace In Italy, in «International Daily News», 31 agosto 1978.
353 Andrea Baravelli ha individuato tre fasi nella risposta dello Stato alla spirale della violenza politicamente motivata, l’ultima delle quali, segnata da un deciso inasprimento delle misure repressive, si apriva proprio all’indomani della vicenda Moro. Cfr A. Baravelli, Istituzioni e terrorismo negli anni settanta. Dinamiche nazionali e contesto padovano, Roma, Viella, 2016, pp. 21-34.
354 R. Nicolini, Un ricordo dell’Estate romana, in Millenovecentosettantasette, cit., p. 122.
355 G. Panvini, O. Nicolini, L’Estate romana contro il terrorismo, cit.
356 Bisogna infatti ricordare che la stagione di violenza a Roma sarebbe continuata fino ai primi anni ottanta. Ancora nel marzo del 1980 il «Corriere della Sera» parla di una «spietata “guerra di quartiere”» nella capitale. Le tappe di una spietata «guerra di quartiere», in «Corriere della Sera», 13 marzo 1980 [ediz. romana]
357 L’autore prosegue lasciando emergere una nota polemica: «alla faccia dei volantinaggi dei giovani proletari che chiedevano non mondanità ma blocco degli sfratti, degli autonomi che chiedevano la libertà di Oreste Scalzone, gravissimo in carcere, dei creativi che chiedevano più soldi per le loro iniziative e più distribuzione dei finanziamenti comunali ai gruppi autogestiti, dei radicali che stigmatizzavano la gita in barca sul Tevere come viaggio nelle fogne». P. V. Tondelli, Un Weekend postmoderno, cit. p. 37.
358 Che Roma stia diventando divertente?, in «Il Messaggero», 20 luglio 1979.
359 G. Di Donna, “Roma città viva”. Slogan e realtà, in «Avanti!», 14 luglio 1979.
360 R. Nicolini, È anche un fatto culturale, in «Paese Sera», 31 dicembre 1977.
361 G. Gaspari, Roma Babilonia e i vizi dell’assessore rosso, in «il Manifesto», 3 luglio 1979
362 C. Morgia, Fantasia e intelligenza rendono «vivibile» anche Roma, in «l’Unità», 25 novembre 1979.
363 Dal 18 agosto all’ 8 settembre.
364 M. Galfrè, La guerra è finita, cit., p. 6.
365 M. Pepoli, Cineclub per cinquemila, in «Il Messaggero», 17 agosto 1979.
366 Un percorso ludico a vortice, con una numerazione da 1 a 90, in cui ogni casella invece di contenere i numeri-disegni del lotto, presentava un’immagine cinematografica legata ai film della rassegna.
367 Cinemaratona a Massenzio con oltre sessanta film, in «Corriere della Sera», 3 agosto 1979.
368 G. Pescatore, La cultura popolare negli anni Settanta tra cinema, televisione, radio e fumetto, in A. De Bernardi, V. Romitelli, C. Cretella, Gli anni Settanta, cit., p. 160.
369 Piove a dirotto ma Massenzio va avanti, in «Paese Sera», 20 agosto 1979.
70 Sogni nello spazio, incubi sulla terra, in «Corriere della Sera», 20 agosto 1979.
371 G. Crainz, Il Paese mancato, cit., p. 581.
372 Ibidem.
373 F. Petrone, Tutta la città ne parla, in «Rinascita», XXVII, 1979, p. 16
Marco Gualtieri, La città immaginata. Le Estati romane e la “stagione dell’effimero” (1976-1985), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, Anno Accademico 2019-2020

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