In questa maniera il fenomeno criminale prende ben presto il posto del terrorismo

La magistratura acquista grande prestigio, viceversa, con l’impulso significativo al contrasto alla criminalità mafiosa che caratterizza la seconda metà degli anni Ottanta. Dopo gli assassini “eccellenti” tra la fine degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo (il questore Boris Giuliano ed il giudice ed ex deputato indipendente di sinistra Cesare Terranova nel 79; Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile ed il magistrato Gaetano Costa nel 1980; Pio Latorre e il gen. Alberto dalla Chiesa nel 1982), l’opinione pubblica e parte della classe politica si sensibilizzano sempre più; anche perché il dilagare della criminalità mafiosa si manifesta in maniera particolarmente violenta in virtù dello scontro interno tra corleonesi ed i vecchi boss della mafia tradizionale. In questa maniera il fenomeno criminale prende ben presto il posto del terrorismo, che appare sempre meno minaccioso, come emergenza nazionale del momento. Il Parlamento approva la legge Rognoni-Latorre nel settembre 1982, che introduce un nuovo reato concepito appositamente per la criminalità di tipo mafioso (attraverso l’aggiunta, nel codice penale, dell’art. 416 bis) e diverse misure circa i sequestri di beni accumulati dai criminali. In seguito la repressione della criminalità organizzata fa notevoli passi avanti, grazie all’azione di Rocco Chinnici, che costituisce il primo pool antimafia, anch’egli assassinato nel 1983, di colui che ne segue le orme, Antonino Caponetto, oltre a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che istruiscono il cosiddetto maxiprocesso, cominciato nel 1986, che permetterà di includere in una visione d’assieme i maggiori delitti e l’attività della mafia negli anni precedenti e che porterà alle prime condanne nel 1987 con oltre trecento colpevoli individuati. Nello sviluppo dell’inchiesta ha un’importanza fondamentale la collaborazione dei primi “pentiti” di rango: Tommaso Buscetta, catturato nel 1982 e Totuccio Contorno, che comincia a fare rivelazioni nel 1984.
Ma le inchieste sulla mafia, oltre a incontrare scarso favore in alcuni settori della politica, trova anche notevoli ostacoli all’interno della stessa magistratura, come testimonia, presso gli uffici giudiziari di Palermo, l’episodio del “corvo”, cioè di un magistrato, poi identificato in Alberto di Pisa <24 che divulga documenti anonimi che attaccano e diffamano il collega Falcone. Molto più insidiosa per il contrasto alla criminalità mafiosa, sembra essere l’operato del giudice di Cassazione Corrado Carnevale, le cui sentenze, nel corso degli anni Ottanta, concludono con assoluzioni non sempre cristalline diversi iter processuali ai boss mafiosi; l’attività giurisdizionale di Carnevale attira anche l’attenzione dei politici ed in particolare del Pci che rivolge diverse interrogazioni parlamentari con il fine di indurre il Csm a compiere esami accurati circa l’attività giurisdizionale dell’alto magistrato. Da parte sua l’organo
di autogoverno, dopo aver sottoposto Carnevale a diverse inchieste <25, finisce per esaminare l’opportunità di stabilire criteri per la ripartizione dei casi anche in Cassazione, al fine di evitare che tutti i processi di mafia finissero allo stesso magistrato (criteri poi attuati, ma solo a partire dal 1994).
Il 1992 è l’anno in cui comincia la fine di quella che viene oggi denominata la prima Repubblica; vi sono infatti almeno tre nodi che si sciolgono proprio nel corso di quell’anno, rendendo evidente il precedente lento accumularsi di problemi irrisolti. Due di questi nodi riguardano da vicino la magistratura, mentre il terzo, costituito dalla gravissima crisi economico-finanziaria dell’autunno, manifesta i limiti di uno stile di governo (o assenza di esso <26) che in un decennio ha quasi raddoppiato il debito pubblico mettendo a grave rischio la capacità dello Stato di continuare a finanziarsi e compromettendo la stabilità della valuta nazionale ed il benessere delle future generazioni. Si tratta di uno stile di amministrazione che consiste essenzialmente nel cercare il consenso attraverso microprovvedimenti che soddisfano le esigenze di gruppi specifici nel panorama economico nazionale ma, necessariamente, senza un disegno di lungo periodo. Una delle poche significative eccezioni che caratterizzano l’esperienza governativa di Bettino Craxi, presidente del consiglio tra il 1983 ed il 1987, è quella del decreto detto “di San Valentino”, che attenua il meccanismo dell’adeguamento dei salari al tasso d’inflazione e quindi contribuisce a ridurre il problema del differenziale di aumento dei prezzi in Italia rispetto agli altri paesi. Esso però, se ha notevole significato simbolico e politico, anche in virtù della successiva sconfitta della politica del Pci che, contro la posizione del governo, promuove un referendum abrogativo, ha una portata economica decisamente limitata. Mentre sortiscono effetti, ma non solo in ambito economico, i numerosi provvedimenti di condoni, sia fiscali che edilizi, che, uniti all’assenza di seri tentativi di contrastare l’evasione fiscale, contribuiscono a erodere la certezza del diritto ed il principio di comunità.
D’altra parte si tratta di un periodo caratterizzato da una crescita economica che, se non è quella del boom economico a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, è pur sempre superiore a quella di molti altri paesi europei. Ad essa, in qualche misura, contribuisce probabilmente la diffusione di una cultura e di valori nuovi e diversi rispetto al decennio precedente, caratterizzati da un riscoperta ed un’affermazione della sfera individuale rispetto a quella sociale, e quindi, ad esempio, dall’aspirazione all’arricchimento personale e al consumo; si tratta di valori maggiormente favorevoli all’affermazione della piccola imprenditoria che si afferma proprio in questo decennio <27.
All’inizio degli anni Novanta però questa crescita apparirà effimera, indotta in buona misura dall’ingente indebitamento dello Stato che farà apparire gli anni Ottanta come il decennio delle “cicale”. La mancanza di parsimonia si riferisce però solo alla ricchezza pubblica perché, per quanto riguarda quella privata, gli italiani si confermano notevoli risparmiatori e grandi “formiche”. Non si può dire che tale situazione si dovesse unicamente alle forze politiche, le quali, in qualche misura, non possono che essere espressione della società che le esprime. Del resto lo si era visto già in occasione delle elezioni del 1983, quando una Democrazia cristiana, fortemente rinnovata, almeno nella maniera di proporsi ai suoi elettori e con un De Mita protagonista di una campagna elettorale non più basata sullo spauracchio dei comunisti ma sull’esigenza di un nuovo tipo di amministrazione pubblica, caratterizzata da maggior efficienza e maggior rigore otteneva uno dei risultati più deludenti della sua storia e la gran maggioranza dei dirigenti locali attribuiva la sconfitta, primariamente, a questo rigore, che era pur giusto, riconoscevano, ma che l’elettorato democristiano, o almeno buona parte di esso, non capiva o, forse, non accettava <28.
Se quello economico è forse il nodo più importante che giunge a scioglimento nel 1992 e si manifesta in particolare in autunno, già da diversi mesi si era palesato, in tutta la sua gravità, l’estendersi del fenomeno della corruzione legata ai partiti politici, fenomeno che costituisce il secondo dei tre nodi che si sciolgono in quel fatidico anno. Nel mese di maggio il socialista Mario Chiesa, già tratto in arresto a febbraio su ordine della procura di Milano per corruzione, sentendosi evidentemente abbandonato dai dirigenti del suo partito (lo stesso segretario, forse a causa delle imminenti elezioni, lo aveva definito «un mariuolo» <29) decide di collaborare con la magistratura ed contribuisce con le sue rivelazioni all’emergere di quella che viene poi chiamata “Tangentopoli”. Le vicende che seguono attribuiscono alle inchieste penali della magistratura una tale portata politica da non avere uguali, probabilmente, in nessun altro paese; se vi sono più precedenti di capi di stato e capi di governo costretti a lasciare gli incarichi a causa delle notizie divulgate in seguito all’iniziativa di magistrati, questa è forse la prima volta che i processi sembrano mettere fine ad un’intera classe politica. Perché, per usare un’efficace immagine di Paolo Mieli, «il tappo è saltato» <30 solo nel 1992 e non prima? A questo proposito una prima spiegazione generalmente proposta è costituita dal fenomeno di portata storica, verificatosi poco prima, relativo al crollo dei regimi del “socialismo reale”, che rende meno “minaccioso”, per una parte dell’elettorato, il ruolo del Partito comunista italiano (che nel frattempo si è ribattezzato Partito democratico della sinistra), e quindi rende assai più probabile che si verifichi l’alternanza al governo; circostanza che, a sua volta, rende accettabile l’attribuzione, con tutte le conseguenze del caso, delle responsabilità politiche dei partiti di governo. Una certa disaffezione tra opinione pubblica e partiti, sempre latente dalla fine degli anni Settanta, se non prima, era sembrata intensificarsi negli ultimi anni, ad esempio in occasione del referendum sulla preferenza unica, tenutosi nel 1991 ed in occasione del quale Craxi aveva invitato i cittadini ad «andare al mare»; essi, al contrario, non avevano fatto mancare il necessario quorum, evidenziando una perdita di contatto tra Craxi e gli umori del momento; nel frattempo avanzavano le leghe, a cui una porzione sempre più significativa di elettori del Nord dava la preferenza nelle urne. Qualcuno, anche sul piano storiografico ha sottolineato la «latitanza» della magistratura prima del 1992 <31; eppure il giudizio non sembra confermato dai fatti: nel corso del decennio, ai non pochi scandali con risonanza nazionale si possono aggiungere innumerevoli inchieste che hanno per oggetto amministratori locali. Si tratta di una circostanza certamente nota alla direzione del partito socialista, come testimonia un documento di 114 pagine che contiene una lista, impressionante per la sua lunghezza, di inchieste penali a carico di amministratori (in gran maggioranza democristiani e socialisti) conclusasi con sentenze emesse tra il 1983 e il 1986 <32 (anno in cui viene preparato il documento) o con sentenza ancora pendente; la maggior parte delle accuse sono quelle tipiche di Tangentopoli: concussione, corruzione, truffa, abuso d’ufficio, finanziamento illecito.
[NOTE]
24 Le vicende vengono narrate da uno dei protagonisti in C. Bonini, F. Misiani, La toga rossa. Cit. Pag. 107s.
25 Anche legate alle sue attività extragiudiziarie. Vedere R. Canosa, Storia della magistratura in Italia. Cit. Pag. 213
26 S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Cit. Pag. 452
27 Punti di vista sui valori diffusi negli anni Ottanta, per certi versi opposti, sono quelli di G. Crainz, Il Paese reale. Cit. e di M. Gervasoni, Storia d’Italia degli anni Ottanta. Cit
28 Vedere A. Levi, La Dc nell’Italia che cambia, Laterza, Bari, 1984
29 S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago. Cit. Pag. 259
30 L’espressione viene usata da Mieli nel corso della trasmissione Anno zero del 19 maggio 2011, riferendosi a tutt’altra situazione; eppure essa appare particolarmente appropriata per gli avvenimenti che generano le inchieste legate a Tangentopoli
31 P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992. Cit. Pag. 542
32 Vedere Fondazione Bettino Craxi, Fondo Bettino Craxi, Sezione I, Attività di partito; Serie 2, vita interna del Psi; sottoserie 4, elaborazione della linea politica; sottosottoserie 4, materiale informativo; UA 7, Situazione processuale di amministratori locali.
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013

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Pensionato di Bordighera (IM)
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