Leggendo gli articoli di Noi Donne, si nota che si riferiscono alle donne di una regione specifica: donne piemontesi, donne milanesi, donne di Forlì, di Modena, di Firenze, ecc. All’inizio, potrebbe sembrare che le distinzioni regionali tra i gruppi tolgano l’efficacia del loro messaggio, ossia di una forza comune fatta di donne in ogni dove, di ogni ceto sociale, età e posizione. Però, la studiosa Jomarie Alano sottolinea che gli articoli che facevano appello alle donne di una zona distinta e che affrontavano i loro bisogni specifici diedero in realtà un “punto di riferimento” che orientava la lotta contro il nazifascismo. Alano accentua che le donne indicate non avrebbero potuto probabilmente identificarsi con tutte le italiane, però sostiene che gli avvisi, che evidenziavano i successi e gli eventi dolorosi nelle diverse regioni italiane, rafforzavano l’idea che tante donne e le loro famiglie erano infatti colpite duramente dalla guerra. <219 Fondamentalmente, nonostante la loro specificità regionale, il senso dell’italianità venne rinforzata nei testi che misero insieme tutte le notizie da ogni parte del paese, dove il popolo affrontava gli stessi avversari.
Notevole è anche il linguaggio utilizzato da Noi Donne per descrivere quei nemici, i tedeschi e i fascisti, che sono quasi esclusivamente menzionati insieme nei testi. Però, diversamente dai “tedeschi,” il termine “fascista” è spesso accompagnato da un aggettivo critico: “i fascisti odiati,” “gli sgherri fascisti,” “i furfanti fascisti,” “i servi di Hitler,” tutti vengono ripetuti negli articoli. <220 Sembra che le autrici disprezzassero i fascisti più dell’invasore tedesco, un possibile risultato del disdegno verso la Repubblica Sociale italiana e la sua stretta alleanza con la Germania nazista. La Rsi è considerata il frutto di un tradimento e la causa della drammatica guerra, un conflitto che -come ha sottolineato Claudio Pavone – ha anche il carattere di una guerra civile. <221
Tanti antifascisti vedevano la deposizione di Mussolini il 25 luglio 1943 come un passo falso perché il dittatore evitò un castigo più severo. Per dirla in breve, Giuseppe Lopresti, un socialista, in una riunione a Roma circondato dai responsabili del settore militare Appio-Tuscolano-Prenestino sostenne che “i fascisti sono ritornati perché il 25 luglio sangue fascista non è stato sparso.” <222 Perciò, in un’edizione emiliana-romagnola di Noi Donne pubblicava l’affermazione che le italiane dovevano essere pronte “alla chiamata a portare il nostro contribuito per la cacciata dei tedeschi e l’annientamento dei traditori fascisti.” <223 Per garantire che non riusciranno a ritornare di nuovo, i fascisti, che tradivano il loro paese, dovevano essere debellati e non catturati. È molto interessante, però, che nelle edizioni di Noi Donne trovate nell’Archivio Storico non vengano descritti come italiani i fascisti, chiamati “i traditori.” Un traditore è una persona che ha infranto una fedeltà, che una volta faceva parte del gruppo ma che, data la natura emotiva della slealtà, ha ancora un legame con i traditi. Non solo i soldati, ma anche i prefetti, i sindaci e alti ufficiali erano traditori che collaboravano con il nemico; erano i cittadini infidi che condannavano a morte il loro proprio popolo, <224 che contribuivano alla carestia e pertanto alla fame del loro paese.225 È possibile che l’identità italiana dei fascisti, quello che rendeva così disonorevole il tradimento dei cittadini, fosse allo stesso tempo quello che le autrici di Noi Donne non concedevano al nemico, in quanto c’era la mancanza del gesto semplice di fare cenno alla loro nazionalità.
Inoltre, la questione di nazionalità e italianità non tratta solo di gruppi ideologici, ma concerne anche come si vede la seconda guerra mondiale in Italia, ossia solleva la questione se la si consideri o meno interna allo stato. Nel 1991, Claudio Pavone ha pubblicato la sua opera famosa e influente, Una guerra civile: Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, per risolvere il dibattito in merito al coinvolgimento in una guerra civile della lotta resistenziale. Nel dopoguerra solo i neofascisti consideravano il periodo tra settembre 1943 e aprile 1945 come una guerra civile, mentre quelli di sinistra, soprattutto i comunisti, lo riconoscevano principalmente come una liberazione nazionale. Consideravano l’esercito tedesco come la minaccia per l’esistenza stessa del Paese e svalutavano il ruolo dei “repubblichini” – coloro che giurarono fedeltà alla Repubblica di Salò dopo l’occupazione nazista.
Con la sua significativa opera Pavone ha messo in discussione lo status quo, Pavone, partigiano e liberale azionista oltreché storico, afferma che durante la Resistenza solo qualche volta gli antifascisti e i partigiani si rifiutarono di riconoscere la lotta come una guerra civile. <226 Curiosamente, la retorica di Noi Donne ricorda quella degli storici di sinistra che, dopo la fine della guerra, hanno sostenuto la tesi della lotta per la liberazione nazionale. Sono ripetute frasi come “lottate per la liberazione della patria,” per “la libertà e l’indipendenza nazionale,” combattete “fino alla fine della guerra di liberazione,” <227 e si trovano articoli incoraggianti che informavano le italiane del loro diritto di prendere “parte attiva alla guerra di liberazione nazionale.” <228 Inoltre, alcune pubblicazioni tolgono completamente i fascisti dalla guerra, chiamandola la guerra “hitleriana” <229 oppure sottolineando solamente il loro controllo estremo della vita italiana. Per esempio, nell’edizione di giugno 1944 è dichiarato apertamente che “ormai” donne dei Gruppi hanno capito che le cause della loro difficoltà “sono la guerra tedesca e l’oppressione fascista.” <230
Per di più, è difficile definire con precisione la mancanza di una discussione sulla guerra civile tra i fascisti e gli antifascisti italiani, poiché, secondo Pavone, la frase “guerra civile” dovrebbe essere trovata in Noi Donne per motivi politici. Ossia, molto evidente è l’influenza comunista sui Gruppi di difesa e su Noi Donne. Fin dal principio il Programma d’azione dei Gdd viene promosso dal Partito Comunista Italiano nelle proprie Direttive per il lavoro tra le masse femminili del 28 novembre 1943, <231 e, dato che tra le sue fondatrici troviamo alcune comuniste e che il partito comunista era uno dei più organizzati, tale pubblicazione congiunta non è inaspettata. In questo modo, il Pci ha iniziato a consolidare il suo posto dentro l’organizzazione, attraverso il quale convinse le maestranze femminili nelle fabbriche dei vantaggi di attività sindacali e ribelli, creando anche i nuovi nuclei ed estendendo il loro territorio e la loro influenza. Infatti, si sarebbe potuto trovare l’autorità forte del Pci sui Gruppi in certe zone come quella di Pistoia, dove la militanza di entrambi coincideva quasi completamente e l’appoggio del partito locale era indispensabile per le azioni dei Gdd. <232 Entro il 12 settembre 1944, fu creata una nuova organizzazione, L’Unione donne italiane, fondata da varie esponenti del partito comunista, socialista, azionista e della sinistra cristiana, a causa del predominio delle comuniste nei Gruppi di difesa della donna, che col tempo aumentava lo scontento politico. <233 L’obiettivo era ancora di unire tutte le italiane e di proteggere i bisogni specifici delle donne, e la sua influenza si trova anche sulle pagine di Noi Donne, soprattutto quelle edizioni non clandestine.
[NOTE]
219 Jomarie Alano, “Armed with a Yellow Mimosa: Women’s Defense and Assistance Groups in Italy, 1943-45,” Journal of Contemporary History 38, no. 4 (2003): 620. http://www.jstor.org/stable/3180712.
220 Per esempio, “Gli assassini dei vostri figli sono i traditori fascisti, i servi di Hitler, che fanno continuare la guerra sul nostro territorio solo a beneficio degli occupanti nazisti! MORTE AI TEDESCHI ED AI FASCISTI TRADITORI” (“A fianco dei combattenti,” Noi Donne.).
221 Claudio Pavone, Una guerra civile: Saggio storico sulla moralità nella Resistenza (Torino: Bollati Boringhieri, 1991).
222 Pavone, Una guerra civile, p. 255.
223 “Prepariamoci alle imminenti e decisive battaglie,” Noi Donne.
224 Si veda “Il nostro governo,” Noi Donne (Emilia Romagna, Italia), maggio 1944. http://www.noidonnearchiviostorico.org/scheda-rivista.php?pubblicazione=000084&pag=2.
225 Alano, “Armed with a Yellow Mimosa,” p. 621.
226 Pavone, Una guerra civile, p. 248.
227 Si veda per esempio “Il nostro governo,” Noi Donne.
228 “Lottare – attuale premessa ai compiti futuri,” Noi Donne (Lombardia, Italia), marzo 1945. http://www.noidonnearchiviostorico.org/scheda-rivista.php?pubblicazione=000075.
229 “Non la resa, ma la lotta per la vittoria,” Noi Donne (Emilia Romagna, Italia), maggio 1944. http://www.noidonnearchiviostorico.org/scheda-rivista.php?pubblicazione=000084&pag=3.
230 “Impiegate ed operaie unite per la lotta di liberazione nazionale,” Noi Donne (luogo sconosciuto), 1 giungo 1944. http://www.noidonnearchiviostorico.org/scheda-rivista.php?pubblicazione=000066&pag=4.
231 Orlandini, La democrazia della donna, p. 12.
232 Orlandini, La democrazia della donna, p. 24.
233 Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa: l’Unione donne italiane e la costruzione politica della memoria, 1944-1955 (Italia: Donzelli, 2005), p. 3.
Jordan Lin Brewer, Salvare la nazione: la coscienza femminile della seconda guerra mondiale, Tesi di dottorato, Georgetown University, 2021
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