Alla maniera di Nizza e Morbelli…

Il Feroce Saladino – Fonte: Giorgio Perlini art. cit. infra

[…] La rivista radiofonica I 4 moschettieri realizzata da Angelo Nizza e Riccardo Morbelli – due piemontesi non ancora trentenni – si configura come caso esemplare di cosa poté provocare un prodotto spettacolare alle origini della cultura di massa. La trasmissione andò in onda dal 1934 al 1938 suscitando una vera e propria moschettierimania, che non manca di essere ricordata ancora oggi in occasione di anniversari e di revival, ma rimane in fin dei conti poco studiata. Tornare a quegli anni e a quella trasmissione è perciò calarsi nella Storia del nostro paese, in particolare vuol dire osservare uno dei primi esempi del passaggio cruciale da cultura popolare a cultura di massa, ai tempi della letterale “esplosione” del mezzo radiofonico.
Negli stessi anni il giovane Orson Welles ordisce uno scherzo radiofonico “diabolico” con la messa in onda di La guerra dei mondi. Facendo leva sull’effetto di realtà suscitato dalla radio – una trasmissione viene interrotta per un annuncio straordinario – e sull’ancestrale paura del diverso, del nemico invasore, venuto da lontano (addirittura i marziani), il radiodramma provoca un terrore incredibile tra gli ascoltatori, tanto che in molti scendono per strada, si rifugiano nelle chiese, con tafferugli, scontri, addirittura dei morti, almeno secondo le cronache ormai leggendarie di quegli anni. In Italia la forza ipnotica della radio esplode invece con un programma di intrattenimento, collegato a un concorso a premi: non la paura dunque, ma l’umorismo, le canzoni, il fascino del gioco, la speranza per il premio e soprattutto la forza, e la voglia, dell’illusione sono gli ingredienti principali di una trasmissione che si rivelò anche una enorme e collettiva valvola di sfogo.
[…] Il punto di partenza è sempre I 4 moschettieri di Nizza e Morbelli, la prima “rivista radiofonica”, cioè la prima trasmissione che recuperò l’allora viva tradizione del teatro di rivista, traducendola in linguaggio sonoro. Andò in onda dieci anni dopo l’inizio ufficiale delle trasmissioni in Italia e si avvaleva di un ricco repertorio di canzoni e canzonette dell’epoca, delle quali venivano riscritti buona parte dei testi, adattandoli alle storie raccontate o a fatti di cronaca e di attualità, ricercando sempre effetti umoristici e ironici, tramite giochi di parole, associazioni strampalate, paradossi e parodie. Oltre a essere il primo vero grande successo della radio italiana I 4 moschettieri può vantare molti primati, a partire dalla sua natura seriale: sostanzialmente la prima trasmissione “a puntate”, ibridando il romanzo d’appendice, con il riferimento parodiato all’opera di Dumas, alle modalità proprie di molti fumetti, in particolare quelli ruotanti attorno alle avventure di uno specifico eroe (il debutto di Nizza e Morbelli alla radio fu in effetti con Le avventure di Topolino). Primo programma ad avere uno sponsor privato, la Buitoni-Perugina, e ad essere intimamente connesso alle logiche della pubblicità e del commercio, con la promozione della cioccolata italiana e dello stesso mezzo radiofonico (in soli quattro anni gli abbonati passeranno da 480.000 a più di 800.000). Lo sponsor darà vita a una campagna pubblicitaria “d’autore” con l’indizione del primo concorso legato a una raccolta di figurine. Il disegnatore Angelo Bioletto (poi tra i disegnatori di La rosa di Bagdad e nel dopoguerra anche coinvolto, solo per qualche anno, nella Disney – suo L’inferno di Topolino, parodia dell’Inferno dantesco) realizza cento figurine, inserite nei pacchetti di caramelle e cioccolata della Perugina. Il concorso, inizialmente pensato per ragazzini, ha un successo straordinario e inaspettato, coinvolgendo tutte le fasce d’età. Il mix tra cioccolata, radio, spettacolo è esplosivo; nel 1935 i quattro moschettieri arrivano in mongolfiera alla Fiera di Milano, li attende una folla esultante di diecimila persone, come fossero i Beatles.
Con la consegna dell’album completo di figurine si riceve in premio il libro illustrato da Bioletto, che raccoglie le avventure della rivista radiofonica (ne verranno stampate centomila copie). Centocinquanta album completi danno diritto alla tanto desiderata Topolino (ne verranno distribuite più di centino). Il Feroce Saladino è la figurina introvabile, che innesca la nascita di vere e proprie borse nere, tipografie illegali, smerci clandestini… con sdegno del regime che bloccherà tutto nel 1938. La leggenda dice che perfino le partite di calcio di serie A furono spostate di mezz’ora per permettere l’ascolto completo della trasmissione. Nel film Il Feroce Saladino (1936) di Mario Bonnard un illusionista, cacciato dalla sua compagnia di teatro di varietà, si ricicla, durante gli spettacoli, come venditore ambulante di caramelle Perugina, con allegate le famose figurine. Per una sorta di suggestione collettiva, l’illusionista riesce a far credere a tutto il pubblico presente nella sala teatrale di trovarsi tra le mani l’agognata figurina, con l’effetto di urla, grida e varie escandescenze. È una testimonianza diretta, e anche sottile, di quello che fu la moschettierimania e dell’impressionante potenza di manipolazione della radio, ancora giovanissima. Il successo favorì la produzione di gadget di vario tipo, che contribuirono a una narrazione diffusa e capillare: tra i primissimi esempi di avventura multimediale e, direbbero oggi i sociologi, di crossmedialità.
A distanza di ottant’anni mettersi sulle tracce di I 4 moschettieri vuol dire perciò osservare l’origine di molti processi entrati prepotentemente in uso, compiere uno scavo da archeologia dei media, rintracciare un episodio nel quale tecnologia, narrazione e ricerca di un pubblico di massa trovano una combinazione felice e rappresentano una sorta di centrifuga, dove ottocento e novecento si incontrano e si scontrano, con un’accelerazione rapida della Storia, prima del precipizio della guerra. Insomma già Dumas a metà ottocento aveva scelto i quattro eroi, catapultandoli nel seicento del Cardinale Richelieu, per raccontare passaggi e cambiamenti d’epoca. Nizza e Morbelli li recuperano, cambiando completamente lo scenario circostante e affiancando loro un incongruente Arlecchino, servitore fedele, deus ex machina, anello di congiunzione tra la carta dei romanzi d’appendice, l’etere della radio, le avventure alla corte del Re di Francia, secoli lontani e sovrapposti…
I Sacchi di Sabbia, dopo essersi impegnati nella realizzazione di un radiodramma, con espedienti semplici ed efficaci, applicati alle voci dei personaggi e agli effetti caricaturali dei rumori, si sono cimentati con la scena, per una sorta di traduzione “a rovescio”: non dal teatro alla radio, ma dalla radio al teatro, con lo spettacolo I quattro moschettieri in America. Radiodramma animato. In scena ci sono un moschettiere (Giovanni Guerrieri), una narratrice che introduce e spiega i fatti, cantando sulle melodie della storica trasmissione (Giulia Gallo), una rumorista che segue la vicenda con contrappunti vocali (Giulia Solano), un disegnatore che sul fondale tratteggia personaggi e ambientazioni. L’immaginazione del “puro” ascolto viene riattivata dalla costruzione in diretta di continue suggestioni visive: il “radiodramma animato” è fatto soprattutto di “cartone” e di carta, intrecciati alla presenza viva degli attori. A volte sembra di “leggere” le strisce di un fumetto, con le voci registrate del radiodramma, spesso si aprono libri pop up, realizzati appositamente per lo spettacolo, che rappresentano scenari di metropoli americane nelle quali si svolgono fughe e inseguimenti. Così il libro si apre e diventa città, un libro giocattolo, come miniatura del mondo. Poi si usano ombre cinesi, sagome, maschere e costumi di carta, tanti disegni e figurine, distribuite alla fine dello spettacolo, accompagnate da un piccolo album, sempre di Guido Bartoli. Questa semplice costruzione artigianale suscita continue sorprese per “effetti speciali” realizzati con mezzi poveri, ma con una buona dose di fantasia, dando allo spettacolo un forte senso ludico. Lo spettacolo si presenta suddiviso in tre puntate (ma esiste anche la versione canonica tutta di fila), ognuna delle quali di poco più di venti minuti, che innesca un meccanismo giocoso di partecipazione, di suspense, di attesa, ingredienti tipici della narrazione seriale, utilizzati assai spesso da televisione e radio, più rari in campo teatrale, almeno nelle sue declinazioni strettamente narrative. Stuzzicando la curiosità dei bambini, si valorizza la magia del rito del teatro, che si esalta nell’incontro ripetuto, preparato, atteso.
[…] In effetti la traduzione visiva della rivista radiofonica in uno spettacolo costruito attorno ai giochi dei bambini era stata un’intuizione dei primi anni della messa in onda. La Miniatura Film produsse nel 1936 I quattro moschettieri per il cinema, un film assai complesso, completamente realizzato con le marionette della famiglia Colla, per la regia di Carlo Campogalliani (anche lui proveniente da una famiglia di burattinai). Primo film italiano interamente pensato per marionette, fu da alcuni considerato una sorta di risposta autarchica all’esplosione dei cartoni animati di Walt Disney. Marionette, pop up, maschere, figurine… un immaginario “antico” di giochi infantili a contatto con i bambini paiono non sentire la polvere del tempo, al contrario si riattivano con leggerezza, e probabilmente anche per questo l’esperimento ha dato buoni frutti.
Oltre a questa linea strettamente legata all’immaginario dell’infanzia corre parallelo un altro filo, quello narrativo, che si porta dietro questioni anche più adulte, soprattutto negli attriti che i quattro eroi generano a contatto con il mondo circostante. I Sacchi di Sabbia utilizzano la parodia come motore della narrazione e poiché la parodia è anche alla base della rivista di Nizza e Morbelli, questo spettacolo pare quasi una sorta di sequel, ottant’anni dopo la messa in onda. Le storie di Nizza e Morbelli ruotano attorno alle implicazioni assurde che scaturiscono dal confronto costante tra il mondo “di carta” e romanzesco dei moschettieri e il mondo nuovo, in cui sono immersi, nel quale pare impossibile compiere nuove avventure, se non per effetto del disordine crescente della realtà. I quattro moschettieri, giocando con il modello di Jules Verne, devono compiere il giro del mondo per una sfida lanciata dal Cardinale Riciliù. Per questo ogni episodio racconta di un paese, una nazione o di un continente. I quadri che si tratteggiano sono ogni volta come “cartoline”, illustrazioni esotiche di un mondo che pare aver perso ogni elemento di realtà e volersi mostrare come pura rappresentazione, a scopo smaccatamente economico. Le regole dell’onore, della parola data, della fiducia non funzionano più in un mondo dove tutto ruota attorno al denaro, e in queste contraddizioni si gioca molto dell’umorismo di Nizza e Morbelli (che in parte si dissolve nella nebbia del passato, per i tanti riferimenti alle cronache del tempo non sempre comprensibili).
C’è una sorta di divertita ebbrezza distruttiva e un po’ cinica nel raccontare di un mondo costruito sempre più come set cinematografico, dove i barcaioli del Volga sono solo attori squattrinati che ricreano il colore locale per i turisti, e dove in Argentina si vendono in piazza, a procuratori europei, dei bambini abilissimi a giocare a pallone (mezzo secolo prima che Maradona sbarchi a Napoli!) […]
Rodolfo Sacchettini, I 4 moschettieri, 80 anni dopo, gli asini, 17 maggio 2016

Fonte: Giorgio Perlini art. cit. infra
Morbelli, Nizza e Bioletto – Fonte: Wikipedia

Se pensate alle figurine del concorso promosso nel 1936 dalla Perugina e dalla Buitoni, oppure alle prime serie di Topolino, o ancora alle illustrazioni di molti libri per ragazzi come David Copperfield e I ragazzi della via Paal, ebbene tutte portano la firma di un torinese: Angelo Bioletto, per gli amici “Nino”. Il futuro autore di tante storiche illustrazioni nasce nel capolugo piemontese il 30 settembre 1906. A Torino compie i suoi studi e nel 1926 comincia a lavorare in uno studio grafico dove conosce un disegnatore, Cinico Angelici, appassionato di musica. Il futuro direttore d’orchestra trasmetterà a Bioletto la passione per la batteria, ma anche per il disegno. Così quattro anni dopo Bioletto trova un impiego al quotidiano La Stampa, realizzando rubriche o vignette singole, spesso satiriche, come “Bioletto ha visto”, “Bioletto in città”, “Taccuino di Bioletto”.
Il 1934 è un anno fondamentale per la carriera dell’artista torinese: in quel periodo, ogni domenica, verso l’una del pomeriggio, gran parte dell’Italia si ferma per ascoltare la trasmissione radiofonica I quattro moschettieri ideata da Angelo Nizza e Riccardo Morbelli e sponsorizzata dalle ditte Perugina e Buitoni. La trasmissione è condotta da Nunzio Filogamo. Bioletto propone di realizzare delle figurine raffiguranti i personaggi della serie e di distribuirne una per ogni prodotto delle due ditte finanziatrici. Sarà un enorme, inaspettato, successo. Le figurine, da passatempo per bambini, diventano un fenomeno di massa. L’album, sempre realizzato da Bioletto, raccoglie 100 figurine. Se completato, dà diritto a un premio. Chi riesce a completare ben 150 album ottiene in regalo una “Topolino”, l’utilitaria della Fiat più famosa di quel periodo. Tra le figurine più particolari, si ricordano il jolly (che sostituisce una figurina mancante), nonché le rarissime “Il Feroce Saladino” e “La Donna Fatale” (caricatura di Greta Garbo).
Nel 1939 Federico Pedrocchi, a capo di alcune testate della Mondadori, chiede ed ottiene la collaborazione di Bioletto. Dopo la realizzazione dei disegni per una storia sceneggiata da Pedrocchi stesso (la riduzione a fumetti del Don Chisciotte), diversi progetti gli vengono proposti, tra i quali una produzione de I quattro moschettieri in Francia e l’ambizioso film La Rosa di Bagdad, il primo lungometraggio a disegni animati italiano, al quale avrebbe lavorato pure Pedrocchi. Nel film, diretto da Anton Giulio Domeneghini, il tratto di Bioletto è particolarmente espresso nei personaggi da lui disegnati, come i tre consiglieri del califfo Oman III, Tonko, Zirko e Zizibè che ricordano un po’ i nani di Biancaneve. Il film è la storia di Zeila, detta la Rosa di Bagdad, figlia del saggio califfo Oman III. Il padre vuole trovarle un giusto marito ma il malvagio Jafar, con l’aiuto del mago Burk, utilizza la magia per conquistare la ragazza. Amin, il giovane maestro di musica di Zeila, risolverà la situazione con l’aiuto della gazza ammaestrata Kalimà.
Bioletto inizia anche a collaborare per la neonata rivista Il Caroccio. La Seconda guerra mondiale e la morte dell’amico Pedrocchi portano Bioletto alla decisione di interrompere tutte queste attività. Nel 1948 incomincia a collaborare, come disegnatore, per Topolino giornale. La sua prima storia, sceneggiata da Guido Martina, è Topolino e il Cobra Bianco […]
Redazione, Nati il 30 settembre: l’illustratore torinese Angelo Bioletto, padre del Feroce Saladino, Piemonte Top News, 30 settembre 2018

Fonte: Giorgio Perlini art. cit. infra

La cinematografia era l’arma più forte, ma quella di maggior diffusione era la radio. Un medium che è stato forse uno dei primi grandi fenomeni legati all’industria culturale di massa, e che, come vedremo, giocherà un ruolo importante nella carriera di Sordi. Oltre alla funzione propagandistica (innescata direttamente da Mussolini) la radio assume immediatamente pieno possesso delle dinamiche che legheranno i mezzi di comunicazione con la nascente società dei consumi. Un esempio (interessante dalla nostra prospettiva) lo regalano le ditte Perugina e Buitoni che patrocinavano la rivista musicale radiofonica “I quattro moschettieri”. Forti della promozione radiofonica, esse decidono di abbinare alla trasmissione un concorso di figurine ispirate ai personaggi del serial. Commissionano all’illustratore del quotidiano La Stampa, Angelo Bioletto, la traduzione dell’universo sonoro dei personaggi creati da Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, in bozzetti da stampare su figurine da collezione.
In ogni confezione dei prodotti Perugina-Buitoni, pasta, cioccolatini, torroni si trovava un esemplare da incollare su di un album. Tutti gli affezionati clienti che riuscivano a completare la collezione potevano ambire a ricchi doni, dal valore che cresceva in ragione del numero d’album completati. Con l’invio di centocinquanta album si riceveva addirittura una FIAT Topolino ed a dispetto di qualsiasi regola di sana alimentazione, duecento collezionisti avevano raggiunto l’ambito premio. Nella capitale s’erano create delle borse dove avvenivano gli scambi: la più famosa ed attiva di tutte (con autentici listini di quotazioni ed elenco di sequestro dei falsi) risiedeva in via dell’Umiltà. A causa, però, di un errore di stampa non tutti gli esemplari delle figurine di Bioletto erano stati inseriti nelle confezioni in uguale misura. Così la ricerca della figurina più rara, il feroce Saladino, aveva scatenato una sorta di frenetica ricerca.
Il clamore mediatico, si direbbe oggi, del feroce Saladino viene immediatamente sfruttato dalla Produzione Capitani Film ed il consorzio ICAR (Industrie Cinematografiche Artistiche Romane), due piccole case di produzione che s’erano create approfittando della favorevole congiuntura economica avvenuta in Italia tra il fallimento della Cines e la costruzione di Cinecittà. Esse affidano al giovane Ettore Maria Margadonna la stesura di una sceneggiatura per una commedia che portasse il titolo della famosa figurina. Ed il futuro sceneggiatore di Pane, amore e fantasia (Luigi Comencini, 1953) e delle relative sequele s’ingegna a confezionare una trama che possa sfruttare l’umorismo di Angelo Musco.
Questi era un comico siciliano, piccolo, un po’ storto, dotato di una comicità farsesca costruita attorno alla marcata caratterizzazione siciliana ed alla frenetica mobilità del corpo. La regia viene affidata a Mario Bonnard. L’argomento di “Il feroce Saladino” possiede molti tratti comuni al soggetto del chapliniano “Luci della ribalta” (Charles Chaplin, 1952)]. Al posto di Chaplin/Calvero, Angelo Musco interpretava il ruolo (praticamente autobiografico) di un artista di varietà ormai giunto al fine carriera. Un vecchio attore che viveva solo, abbandonato dalla moglie e dai figli, che, per sbarcare il lunario, era costretto a vendere dolciumi in un teatro. Il caso vorrà che proprio dai cioccolatini nasca la sua fortuna. Accade, infatti, una sera durante uno spettacolo, che in molte confezioni dei dolcetti da lui venduti in sala escano le rarissime figurine del feroce Saladino. La sorpresa, la confusione, la gioia trasformano la sala in un’allegra festa tanto da suggerire all’impresario di mettere in scena un’omonima rivista musicale in cui il vecchio artista interpreterà la parte del protagonista. La rivista ha successo e la giovane cantante (pupilla dell’anziano attore) trova la propria affermazione artistica interpretando la Bella Sulamita, l’altra rarità del concorso.
Ludovico Longhi, Radici culturali della comicità di Alberto Sordi. Ipotesi d’approccio biografico 1920-1954, Tesi di dottorato, Universitat Autònoma de Barcelona, 2011

Nunzio Filogamo nella parte di Aramis (1934) – Fonte: Wikipedia
Fonte: Giorgio Perlini art. cit. infra

Le prime sette avventure radiofoniche di Topolino del 1933 sono la strenna che Radio2 Rai regala ai suoi ascoltatori per le festività natalizie. I file delle «Radiofantasie» di Angelo Nizza e Riccardo Morbelli sono disponibili in podcast, sul sito Radio2.Rai.it.
Nel Natale del 1932, grazie all’editore fiorentino Giuseppe Nerbini, esce nelle edicole italiane, anticipando di un mese la pubblicazione americana, il primo numero di «Topolino», settimanale illustrato interamente dedicato al nuovo eroe dei ragazzi creato da Walt Disney. Ed ecco, un anno dopo, le «Radiofantasie», dedicate alle avventure di Topolino, che nascono come favole rivolte ai più piccoli e rappresentano il debutto radiofonico della coppia di piemontesi che divennero poi celebri l’anno successivo con la parodia de «I quattro Moschettieri» di Dumas.
Nizza e Morbelli crearono un linguaggio radiofonico innovativo, combinando insieme poesia, musica, letteratura e attualità in un pastiche parodistico di grande comicità, presentando i personaggi quali il Gatto mammone, l’elefante Jumbo, il Topo Rosicante e il Re Topone che recita nel suo componimento Il cacio: «Cos’è il cacio? è una parentesi rosa fra due digiuni». Molto divertenti le canzoni che precorrono successi come Tulipan e Bababaciami piccina, scritte anni dopo dallo stesso Morbelli. […]
Redazione, Il primo Topolino radiofonico del 1933, La Stampa, 27 dicembre 2013

Dieci anni dall’inizio ufficiale delle trasmissioni radiofoniche, in ottobre del 1934 andò in onda la prima puntata de “I 4 moschettieri / parodia di Nizza e Morbelli con musiche di Egidio Storaci”. La “radiorivista”, per usare la definizione del tempo, fu il primo caso italiano di sponsorizzazione e in poche settimane si impose come un vero e proprio fenomeno di costume, lasciando un segno indelebile nell’immaginario collettivo.
Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, due giovani autori piemontesi ideatori e conduttori del programma – andato in onda ininterrottamente per quattro anni – si erano ispirati al romanzo “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas padre, riscrivendolo in chiave umoristica, aggiungendo alle voci narranti le musiche originali composte da Storaci e ai protagonisti del libro una serie di personaggi e situazioni che si rifacevano alla cultura popolare dell’epoca, inaugurando così e portando al successo un nuovo genere: la “rivista radiofonica basata sulla parodia”.
I Sacchi di Sabbia, il gruppo toscano vincitore di due premi Eti “Il debutto di Amleto”, del premio speciale Ubu e nel 2011 del Premio della critica, a ottant’anni di distanza dalla “trasmissione più seguita di tutti i tempi” ha proposto un suo sequel con uno spettacolo teatrale dedicato ai bambini e intitolato “I 4 moschettieri in America”. Lo spettacolo, debuttato nel 2015, ora va in scena all’ITC Teatro di San Lazzaro di Savena, sabato 27 gennaio alle 21.00.
Il “radiodramma animato”, come recita il sottotitolo dello spettacolo ideato da Giovanni Guerrieri e Rodolfo Sacchettini, porta sul palcoscenico dell’Itc le atmosfere e i personaggi della trasmissione radiofonica. Ambientato nell’America degli Anni Trenta, tra gangster, pupe e sparatorie e i famosi eroi di Dumas che si ritrovano a inseguire il sogno di una nuova grandezza, il pastiche si avvale – alla maniera di Nizza e Morbelli – di gustose contaminazioni: dal cinema di Billy Wilder, ai testi di Jules Verne, alle moderne graphic novel. […]
Redazione, I quattro moschettieri in America, ITC Teatro, 27 gennaio 2018

La commedia attinge alle storie di due fortunati volumi, fatti pubblicare, a fine promozionale, dalla Perugina- Buitoni: il primo, I quattro moschettieri, uscì come strenna natalizia nel dicembre 1935. Visto il grande successo, nel 1937 fu pubblicato un secondo volume, intitolato Due anni dopo. Le illustrazioni erano ad opera di Angelo Bioletto. Gli autori, Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, nei due libri avevano raccolto e adattato in forma narrativa i testi, da loro stessi creati e sceneggiati in rima e in prosa, del celeberrimo programma EIAR (la RAI di allora), Le avventure dei quattro moschettieri, che all’epoca fece scalpore.
Vaime e Fano hanno percorso a ritroso questo passaggio e ci restituiscono l’elaborazione drammaturgica di quelle storie, una satira di costume animata da personaggi caricaturali e da canzoni parodiate, rievocando l’atmosfera e il gusto dell’epoca. Un tempo in cui, nel quotidiano, lo spirito della gente comune, nonostante il regime, riusciva a mantenere un piglio ingenuo e scanzonato. […]
Redazione, I quattro moschettieri di Enrico Vaime e Nicola Fano, da Nizza e Morbelli, Teatro Stabile dell’Umbria, Stagione 2003/2004

La caricatura di Aldo Fabrizi di cui all’art. di Giorgio Perlini cit. infra

No, non parleremo delle celebri cento figurine Perugina – Buitoni derivate dal programma radiofonico, perché ne hanno già parlato in molti (1) (ed ogni tanto l’argomento torna alla ribalta), dunque il fenomeno è stato ampiamente raccontato, da parte degli storici con la curiosità verso ingenui entusiasmi di massa che sconfinavano nell’isteria in un’epoca in cui andavano avvicinandosi grandi drammi, e da parte dei pubblicitari con l’invidia verso una forma di reclame dalle dinamiche davvero inaspettate e soprattutto irripetibili.
Proveremo invece a prendere in esame due libri collegati alle suddette figurine, libri che, sebbene anni fa fossero chimere collezionistiche ed oggi siano disponibili a poche decine di euro, non hanno mai trovato una giusta attenzione critica. La motivazione di questa mancanza credo si identifichi nel loro essere tanto calati nelle circostanze sociali dell’epoca e tanto specifici in una satira di costume domestico ma velocemente transeunte, da risultare poco comprensibili al di fuori del periodo in cui vennero concepiti. Solo chi visse il loro tempo (e non ne restano molti) potrebbe ancora riderne appieno. I volumi in questione si intitolano I 4 moschettieri (del 1934) e 2 Anni dopo (1937), entrambi concepiti come premi per le raccolte complete delle suddette figurine con relativo album, scritti dall’affiatata coppia Angelo Nizza e Riccardo Morbelli, non ancora trentenni, e disegnati da Angelo Bioletto. Da una dichiarazione rilasciata dall’artista anni dopo sappiamo che fu proprio lui a suggerire ai due autori l’idea delle figurine, e così egli divenne il creatore grafico dell’intero progetto, che contemplò anche il cofanetto I 4 moschettieri in Russia con tre dischi Durium in cartone.
Ma torniamo ai libri; scritti con brio, partono dalla parodia di opere di Alexandre Dumas, confidando nella frequentazione di tali romanzi da parte di quel pubblico borghese che ascoltava appassionato le trasmissioni dell’EIAR; su questa base vengono poi aggiunte citazioni raccolte dalle massime opere letterarie o poetiche miscelate con citazioni pescate soprattutto dalle canzoni (ma anche dal cinema e dagli spettacoli di varietà) del tempo, da far sì che moschettieri si trovino convolti in avventure spalleggiati da attori comici. Il pastiche risultante, che oggi sarebbe scontato e poco moderno, per l’epoca era nuovo ed intrigante. Dal punto di vista della grafica, il passaggio dalle figurine alle illustrazioni potrebbe sembrare semplice, uno slittare di immagini da un formato minore a qualcosa di più grande, magari con lievi trasformazioni per non perdere in definizione, in fondo sempre di disegno si tratta. Ed invece il lavoro, sebbene basato sui personaggi già codificati dalle figurine ed amatissimi dal pubblico è decisamente mutante. Bioletto, con la sua linea sciolta, si sposta dalle figure singole, perfette per lo spazio-figurina, alla coralità di scene d’azione esibite con gestualità teatrale, quale era stata forse suggerita proprio dalla trasmissione radiofonica. Le illustrazioni si gremiscono di comprimari accalcati, il clima è sempre festoso, pressoché carnevalesco, come spesso lo si riscontrava in quegli anni anche nei cartoni animati americani. Gli ambienti dove i personaggi agiscono non solo vengono elaborati con gusto scenografico ma anche inquadrati da punti di vista complessi. Scorci dall’alto o dal basso, profonde fughe prospettiche laterali, tagli arditi che lascino spesso le figure oltre lo spazio visibile, facendole intuire da veloci inserimenti di braccia e gambe. L’artista si rivela un esperto uomo di spettacolo, uno scenografo le cui intuizioni possono in certi momenti sostituire il lavoro dei due registi-sceneggiatori, dei quali resta giusto il plot. Fondamentale, nelle coloratissime illustrazioni a piena pagina, è la ricerca di atmosfera. Nonostante si tratti di un’opera farsesca compaiono scene notturne in esterno e sotterranei fiocamente illuminati, poi altre scene solari con tripudio di costumi elaborati. Per i disegni più piccoli, tipo vignetta, si sceglie di lavorare in bianco e nero, oppure si aggiunge un solo colore. Questi piccoli inserti vengono posizionati dentro al testo cercando sempre un effetto piacevole che in taluni casi raggiunge la perfezione compositiva (si guardi la spettacolare doppia tavola con i moschettieri disposti a “v” contenuta nel secondo albo). Ma le abilità di Bioletto non si fermano qui. Nizza e Morbelli nel loro elaborare prima l’opera radiofonica e poi i libri cercarono riferimenti continui alla contemporaneità, e Bioletto tradusse l’operazione con l’espediente della caricatura. Non è così scontato che un disegnatore, anche abile, sia un bravo caricaturista. La caricatura è un genere specifico, spesso non frequentato neanche da chi disegna fumetti o cartoni animati. In Bioletto le caricature compaiono a getto continuo e sono sempre azzeccate (2). Su tali volti, immediatamente riconoscibili negli anni Trenta, si fonda gran parte delle illustrazioni dei due libri, e sebbene non sia questa la sede per un elenco completo, è doveroso riconoscere alcuni personaggi. In apertura del primo libro compare il taverniere del “Gatto melanconico” ben riconoscibile come Aldo Fabrizi, la cui associazione con l’attività culinaria è sempre stata forte. Dopo una lunga carrellata di personaggi presi tali e quali dalle figurine giungono gli stessi Dumas, padre e figlio, trasformati da scrittori a personaggi letterari, ma anche accusati di facili profitti derivati da una sorta di industria del romanzo, nella quale finisce prevedibilmente anche Verne. Poi si torna alla contemporaneità con l’avventuroso scienziato Auguste Piccard (nella figurina chiamato “Lo stratosferico”) ed il volo in mongolfiera dei moschettieri e di Arlecchino (che parla veneziano). Attualissima anche Marlene Dietrich nei panni dell’imperatrice Caterina, dominatrice di uomini (i moschettieri ma anche il regista Erich Von Strhoneim). Qualche pagina più avanti i rimandi cinematografici proseguono con “L’amaro te del generale Yen” e si intrecciano con quelli musicali di “Shanghai Lil”, brano di cui viene proposto un testo ovviamente parodiato. Dobbiamo considerare che tale canzone era parte della colonna sonora del film “Viva le donne” (“Footlight parade”), eccoci dunque all’operazione, indubbiamente moderna, di citazione nella citazione, di rimando continuo, esempio ante-litteram di quella che Omar calabrese, cinquanta anni dopo, avrebbe definito “età neo-barocca”. Evidentemente l’effetto di moltiplicazione e frammentazione operato dai mass-media era già in atto embrionale prima dell’arrivo della televisione […]
[NOTE]
1) In questo stesso sito compare una sezione dedicata a pubblicazioni con un alto grado di rarità intitolata “Cleopatrae extinte e feroci saladini”: il Feroce Saladino era uno dei personaggi delle figurine del concorso Perugina – Buitoni. Per volere delle ditte quella figurina venne distribuita così poco da farla diventare merce di scambio in una sorta di mercato nero. Il movimento creatosi intorno ne fece il personaggio più celebre dell’album.
2) Tanto Bioletto si rivelò caricaturista efficace nel 1934 che il suo soggiorno in Francia del 1939 era finalizzato alla produzione di una seconda collezione di figurine specifica per il mercato francese. Il disegnatore eseguì così un’altra serie di caricature ma l’opera non vide mai la luce a causa della guerra. Esiste una pubblicazione a cura dello Studio bibliografico Little Nemo, intitolata Il ritorno del feroce Saladino, che riporta tutti i 54 disegni, alcuni dei quali ancora allo stato di bozzetto. Trattasi di un piccolo albo del 1994, oramai diventato anch’esso una rarità.
Giorgio Perlini, Un ironico compendio degli anni Trenta dall’etere alla carta, tu ti libri, io mi libro

Mentre Nizza e Morbelli si dedicano alla rivista radiofonica, Filippo Tommaso Marinetti e Pino Masnata pubblicano nel 1933 il “Manifesto della radia” sulla «Gazzetta del Popolo», dove si dice che la scardinante novità della radio, dovuta al progresso e all’accelerazione della tecnologia, presuppone l’abolizione di tutta una serie di luoghi comuni propri dell’arte, in particolare del concetto stesso di spazio. A differenza del teatro, che ha bisogno di una scena, la radio «abolisce» lo spazio. Abolisce anche le scene rapidissime e simultanee, ma sempre realiste, del cinema. Secondo i futuristi l’abolizione dello spazio porta la radio a una «immensificazione», a realizzare una dimensione non più incorniciabile in una scena, ma di natura universale e cosmica. Un’arte dunque senza spazio, ma anche senza tempo, perché la possibilità di captare stazioni trasmittenti poste in diversi fusi orari determina «la distruzione delle ore del giorno». Sono queste certamente posizioni estreme, non prive di un gusto per la provocazione e per la dissacrazione delle forme consolidate. Gli esiti pratici dei futuristi sono nel campo della radiofonia piuttosto deludenti e molto lontani dalle ambizioni urlate nel manifesto e in successivi articoli. Però giustamente si individua nello spazio, nella costruzione della scena, il centro di una novità di cui la radio è portatrice. Di conseguenza la domanda che la radio condivide con il suo pubblico di ascoltatori riguarda prima di tutto una connotazione geografica: dove siamo? Dove si sta svolgendo l’azione?
L’ebbrezza dei pionieri della radio si esprime proprio nella creazione di molteplici situazioni, nel creare un ritmo narrativo forsennato che si esplicita nel susseguirsi delle azioni e contemporaneamente nel cambiamento delle scene.
“I 4 moschettieri” rappresentano in tal senso il primo e più compiuto esempio di presa di coscienza e di applicazione di questa specifica qualità radiofonica. Questi elementi vengono ancor più esaltati grazie all’utilizzo da parte di Nizza e Morbelli della serialità. Con “Le avventure di Topolino” Nizza e Morbelli, un anno avanti a “I 4 moschettieri”, introducono per la prima volta nella radio italiana il concetto di serialità, realizzando un programma per bambini a metà tra radiorivista e fiaba musicale. Una serie di scene radiofoniche racconta le avventure dell’eroe disneyano, che era appena giunto in Italia con i primi albi pubblicati a partire dal dicembre 1932 dall’editore Nerbini e con il volume antologico stampato dal torinese Frassinelli nella traduzione di Cesare Pavese. Ispirandosi soprattutto al fumetto la radio scopre così la narrazione seriale. Individuato un personaggio specifico, un eroe, si raccontano le sue mille peripezie. Negli Stati Uniti, negli stessi anni, nascono trasmissioni radiofoniche ispirate a eroi del fumetto come Buck Rogers (dal 1932), Dick Tracy (dal 1935), oppure vengono realizzati programmi alla radio che hanno loro stessi la forza di creare nuovi eroi del fumetto come nel caso di The Shadow (dal 1930 al 1954).
Il caso di “I 4 moschettieri” è ancora differente, perché la serialità del fumetto si mescola alla serialità tipica del romanzo ottocentesco d’appendice. Scegliere l’opera di Alexandre Dumas significa rifarsi direttamente a una narrazione pensata in origine a puntate, pubblicata sui giornali a ritmo continuo. Esiste alla base una storia, una quête, secondo la miglior tradizione del romanzo cavalleresco, che tiene assieme l’intera opera, dando una sensazione di unità e permettendo al lettore – o ascoltatore – di ‘rientrare’ in ogni momento nella narrazione, recuperando il filo della vicenda. Questioni tecniche, riferite soprattutto alla lunghezza e al ritmo, creano una liaison stretta tra il romanzo d’appendice e la rivista radiofonica. Così come il contesto nel quale entrambe le produzioni creative sono inserite: il romanzo d’appendice contribuisce alla diffusione dei giornali e allo stesso modo la rivista radiofonica nasce (anche) con lo scopo di promuovere la diffusione dello stesso mezzo radiofonico. “I quattro moschettieri”, novant’anni dopo aver riscosso un enorme successo popolare, escono dalle pagine del giornale per rivivere in forme radicalmente diverse nello spazio dell’etere, accettando nuovamente la sfida di conquistare un largo pubblico, adesso di massa.
Rodolfo Sacchettini, La radio come spazio magico della finzione. «I 4 Moschettieri» di Nizza e Morbelli in giro per il mondo in (a cura di) Nicola Turi, Ecosistemi letterari: luoghi e paesaggi nella finzione novecentesca, Firenze University Press, 2016

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