Le prime edizioni del “Barone rampante” furono sempre dedicate a Viola

Tornando al carteggio, si segnalano, tra l’altro, anche alcuni commenti sul “Visconte dimezzato” in cui Calvino sembra essere d’accordo con certe critiche mossegli dalla De Giorgi: ‘le cose che tu dici io non le respingo mica […]. È un libro freddo, piuttosto meccanico, con i pregi di una perfetta coerenza in se stesso e con qualche finezza là dove è meno meccanico e chiuso'<173 e aggiunge alcune coordinate cronologiche:
L’azione non si svolge al tempo delle crociate, come hanno scritto alcuni critici disattenti, ma nel Settecento (…) Il capitano Cook forse è un po’ fuori posto ma non molto. Unico anacronismo vero sono i sigari che allora non c’erano ancora; ma non me ne sono preoccupato. (…) Avevo a un certo punto messo in mano a dei soldati di fanteria delle lance, ma credo d’averlo corretto nella seconda edizione e di aver dato a tutti delle armi da fuoco“. [2,24: 4 giugno 1957]
Ma si trovano notizie anche sul “Cavaliere inesistente”: la De Giorgi racconta che mentre stavano uscendo “I Racconti”, Calvino stava buttando giù delle idee per il libro e la trilogia degli antenati <174 e le disse:
“(…) vedi questi antenati, o sono divisi in se stessi o rifiutano il contatto con la terra. Perché non crearne uno totalmente inesistente? Quando è l’inesistenza – lo vediamo – la più concreta presenza. Tra noi due, per esempio, è Sandrino il più concretamente presente“. [HPT pag.175] [n.d.r.: HPT: Elsa De Giorgi, Ho visto partire il tuo treno] [n.d.r.: Sandrino era Alessandro Contini Bonacossi, già valoroso comandante aprtigiano, marito della De Giorgi, che era appena misteriosamente scomparso].
Ci sono commenti in presa diretta sui racconti e sui romanzi; ed è proprio ritornando ad alcuni passi delle lettere riguardanti il “Barone rampante” che si viene invitati a leggere questo romanzo come simbolico, da Calvino stesso che è pronto a valutare il rapporto tra il barone Cosimo e Viola, e in esso il peso dell’autobiografia (e ciò vale anche per la serie de “Gli amori difficili”). <175
Le prime edizioni del “Barone rampante” furono sempre dedicate a Viola; quando Calvino donò alla De Giorgi il primo volume con la scritta “A Paloma, il barone”, pretese che la contessa iniziasse a leggerlo immediatamente; la lettura avvenne a Caponero e durò ore: ‘Se mi accadeva di abbassare la guardia (e nel “Barone” mi accadde quando Cosimo rincontra Viola e appaiono i due cavalli vestiti di marrone, un po’ farfalloni, che la inseguono lasciandosi ingannare dalle finte che Viola descrive nel suo galoppo per seminarli: era facile ravvisarvi i miei due fulvi cani barboni giganti che facevano galoppare ora qua ora là, fingendo di tirare loro un sasso in direzioni ingannevoli, e l’idea poetica in cui li aveva trasformati era davvero incantevole), si illuminava di gioia, ma poi severamente, come mi fossi sottratta a un obbligo inderogabile, si ricomponeva esortandomi con un gesto del mento a continuare la lettura.’ [HPT pag. 40]
A fine della lettura Elsa De Giorgi si dice enormemente coinvolta, si rivede in Viola, rivede Calvino in Cosimo, ma non per questo perde la lucidità nella sua riflessione del libro, cui non risparmiò anche qualche critica.
La De Giorgi fu la musa di Calvino, ma senza quel freddo e laconico linguaggio proprio delle muse, anzi il linguaggio di lei era ‘tutto sensibile e recitato, ah il vano accanirmi in correzioni impossibili e io non sapevo che eri sempre coscientissima, mai sbadata, sempre padronissima di te, lucida’ [HPT pag. 171].
La lettura del carteggio in futuro ci permetterà di leggere in maniera completa che cosa scrisse Calvino riguardo al “Barone”, anche in risposta alle riflessioni che fece la De Giorgi, ma fino a quel momento, si potrà solo continuare a fare ipotesi con i brani di lettere rinvenuti. Tuttavia l’identificazione dei due amanti con i personaggi del romanzo risulta immediata e pure la De Giorgi lo dichiara fermamente nel suo libro e in alcune interviste.
Calvino: “Di un amore come di un paesaggio non si dovrebbe scrivere in prosa: sono realtà intraducibili. Pittura per il secondo; musica o versi per il primo.” De Giorgi: “È la razionalità della parola a riconsegnare e collocare nei tempi giusti della memoria avvenimenti e azioni determinate dai sentimenti. C’è un tempo per la Sanseverina e un tempo per la Viola.”
Calvino: “Come lo sai?”
De Giorgi: “Lo so. So tutto di Viola, quando è vissuta, prima… ogni volta..”
‘ [HPT pag.40]
[…] Il barone di Calvino è Cosimo Piovasco di Rondò che il 15 giugno 1767 decise di vivere sugli alberi nella villa d’Ombrosa. Il Calvino del “Barone rampante” scappa dai pericoli, dai tranelli, dagli ostacoli, rifugiandosi in quella casetta sugli alberi, in sospensione tra la terra e il cielo. Lo scrittore insedia il suo eroe sugli alberi, ad un’altezza tale da trovarsi in bilico tra la solitudine della distanza e la comunità che resta comunque necessaria. Certamente vengono riconosciuti i limiti dell’impresa di Cosimo, ma vengono pur sempre attribute ad essa l’audacia, l’innovazione e la libertà, in quanto si insinua per tutto il racconto il cosiddetto “pathos della distanza”. È un pathos da interpretare come un segno di elezione, anche se più volte si presenta come causa di infelicità <176, il segno di un’inabilità ad adattarsi alla realtà; ciò vale tanto per Cosimo, quanto per Calvino, e la De Giorgi ci fornisce una dettagliata analisi al riguardo: ‘Il pathos del barone sta nella confusione di Cosimo nel proprio tempo rivissuta in quella di un uomo del tempo di Calvino, marxista in crisi, sospinto alla blasfemia delle utopie rivoluzionarie.‘ [HPT pag. 38]
Nel “Barone rampante”, il rapporto con l’azione sottolineato dal rifiuto di essa da parte di Cosimo non risulta perentorio, ma anzi si sviluppa in una serie di gesti la cui descrizione capillare disciplina l’intero racconto: ad esempio il modo in cui Cosimo cammina sugli alberi, come vi resta a cavalcioni predisponendo le basi dell’alloggio, come si introduce nel sacco per dormirci, le sue cacce per nutrirsi, lo scontro con il gatto, il baratto di libri in cambio della cacciagione, gli incontri con Viola. In particolare sono da sottolineare le raffinatezze che questa include nella sua vita primordiale di Cosimo senza profanarla, quando più tardi conciona con i contadini: ‘Stanchi, cercavano i loro rifugi nascosti sugli alberi dalla chioma più folta: amache che avvolgevano i loro corpi come una foglia arcattocciata, o padiglioni pensili, con tendaggi che volavano al vento, o giacigli di piume. In questi apparecchi s’esplicava il genio di Donna Viola; dovunque si trovasse, aveva il dono di creare attorno a sé agio, lusso e una complicata comodità; complicata a cedersi, ma che lei otteneva con miracolosa facilità, perché ogni cosa che lei voleva doveva immediatamente vederla compiuta a tutti i costi.’ [Il barone rampante pag. 182] <177
Sull’atteggiamento di Viola c’è molto da dire perché parecchio di quello che è nel suo personaggio fa parte della De Giorgi: era un’amazzone, correva a briglia sciolta ed era bionda”: ‘l’amazzone galoppava nel sole, sempre più bella e sempre più rispondente a quella sete di ricordo di Cosimo, e l’unica cosa allarmante era il continuo zig-zag del suo percorso, che non lasciava prevedere nulla delle sue intenzioni. [Il barone rampante pag. 173]
Viola viene descritta con caratteristiche simili a quelle che Calvino attribuisce alla De Giorgi nelle lettere (‘La linea del profilo così nobile da apparire talora irraggiungibile, distante, teso dalla vibrante narice come un arco dalla freccia‘) e pertanto vale, anche e soprattutto in questo caso, il discorso fatto fino ad ora sulle corrispondenze tra l’attrice amata e i personaggi femminili dei racconti: Viola allora si mostra infatti con “il viso di donna altera e insieme di fanciulla” e appare agli occhi di Cosimo che la osserva da lontano: ‘con la fronte felice di stare su quegli occhi, gli occhi felici di stare su quel viso, il naso la bocca il mento il collo ogni cosa di lei felice d’ogni altra cosa di lei, e tutto tutto tutto ricordava la ragazzina vista a dodici anni sull’altalena il primo giorno che passò sull’albero: Sofonisba Viola Violante d’Ondariva.’ [Il barone rampante pag.173]
Calvino – oltre a Spuma d’Onda, Paloma e Linciotto – nelle lettere più volte, ha chiamato Elsa “la Fanciullina” e sempre di lei ha descritto il suo viso altero. Tuttavia, il termine ‘fanciullina’ utilizzato per Viola, di cui Cosimo effettivamente serba un ricordo d’infanzia precluso invece a Calvino, manca di quella potenza affettiva che molte volte è sfociata, nelle lettere d’amore, in una sensualità trattenuta a stento: «Sei una fanciullina bellissima, io ti tengo sulle ginocchia, ti mordo una spalla, tuffo il capo tra i tuoi senini teneri, ti carezzo sulla pelle dolce e rosa» <178
«per la Fanciullina con l’effe maiuscolo che tocca le nuvole con la cima dei miei pensieri fiorita di gelsomini biondi agitati dal vento, il vento della nostalgia che mi innalza verso di lei come un aquilone, un aquilone con la coda inanellata, lunga come la coda di piume della bellissima Uccellina del Paradiso, detta anche Linciotto (…)» <179
Ci sono inoltre i cavalli marroni che “sbatacchiavano qua e là” dietro a Viola e che ricordano i due cani fulvi della De Giorgi; l’amicizia con i ladri della frutta; il fatto che Viola sia chiamata Marchesa e sia una Duchessa vedova come la De Giorgi era una contessa abbandonata; poi ci sono i viaggi nelle capitali e tutte le raffinatezze di Viola che rievocano sempre il “cerchio magico” di bellezza dentro il quale si trovava Calvino insieme ad Elsa, i comfort che l’attrice usava per coccolarlo. Tutto ciò che per lei sembrava necessario e che per lui invece era superfluo, contribuivano alla straordinarietà del loro amore (così come si è visto, ad esempio, per la De Giorgi e per Claudia nella “Nuvola di smog” con il corteo di facchini e la falange di bagagli): ‘Uno dei miei temuti bauli zeppo di superflui quanto splendidi vestiti era rotolato in casa Calvino, avendone lui preteso l’ostaggio per due scopi: quello di ravvicinare i miei ritorni a Torino e quello di sequestrarmi contemporaneamente gli abiti più estrosi, atti a quelle occasioni alto mondane dove, a suo parere, io potevo civettare incontrollata. L’argomento della mia civetteria occupava molto spazio non solo nelle sue lettere, ma nella sua mente: il filo da cui s’era lasciato guidare per inseguire nel suo labirinto il fascino inafferrabile di Viola.’ [HPT pag. 81]
Ecco allora che il fascino di Viola si compone di tutto quello che non è Cosimo e fa ad esso da contraltare: alle durezze di una vita vissuta sugli alberi nello struggimento dell’idea stessa della lontananza dal resto del mondo, dell’incolmabilità e dell’attesa, si fa strada al galoppo Viola che ritorna, dopo tanto tempo, ad Ombrosa. Tutto quello che testimoniava l’assenza di Viola con il suo ritorno muta di segno: la casa che sembrava chiusa e disabitata si rinnova al contatto con la fanciullina che vuole riverniciare le persiane, appendere gli arazzi e cambiare tutti i quadri della casa e poi ancora: ‘divani clavicembali cantoniere, per poi passare di fretta in giardino e rimontare a cavallo, rincorsa dallo stuolo di gente che attendeva ancora ordini, e adesso si rivolgeva ai giardinieri, dicendo come dovevano riordinare le aiole incolte e ridisporre nei viali la ghiaia portata via dalle piogge, e rimettere le sedie di vimini, l’altalena…‘ [Il barone rampante pag. 175]
[NOTE]
173 M. Corti, Un eccezionale epistolario d’amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.146 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi).
174 Nel saggio di Caterina Mongiat Farina, I nostri antenati postumani. Storie di formazione e metamorfosi nella trilogia di Calvino in ‘Strumenti critici››, Anno 2014, n.1, pagg. 75-91, a partire dal modello postumanistico, l’A. analizza la metamorfosi che porta i protagonisti della trilogia calviniana dalla adolescenza all’età matura, mettendo in evidenza l’iperumanità dimezzata del Visconte, il ‘divenire animale’ del Barone rampante ‘come realizzazione della propria umanità aprendosi all’altro’ (p. 76) e la precaria umanità del Cavaliere inesistente. ‘Nel contesto rassicurante di un passato abbastanza remoto, I nostri antenati sono un’esplorazione di ciò che significa essere umano, e il suo incerto futuro’ (p. 77).
175 M. Corti, Un eccezionale epistolario d’amore in Vuoti del tempo, Bompiani, Milano 2003 p.140 (contenuto anche in G. Bertone, Italo Calvino: a Writer for the Next Millennium. Atti del Convegno Internazionale di Studi).
176 Postfazione a Il barone rampante di Cesare Cases in I. Calvino, Il barone rampante, Mondadori Milano 2015, pag. 247.
177 Per le prossime citazioni si farà riferimento al numero di pagina in cui è presente nell’edizione I. Calvino, Il barone rampante, Mondadori Milano 2015.
178 Paolo Di Stefano, L’amore poi l’addio: non odiarmi ne Il Corriere della Sera del 5/08/2004
179 ibidem
Eugenia Petrillo, Italo Calvino ed Elsa De Giorgi: l’itinerario di un carteggio, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2014-2015

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