Il 1991: segnali di crisi per l’Italia e l’Europa

All’inizio del 1991 la crisi irachena precipitò rapidamente: il rifiuto da parte di Saddam Hussein di ritirarsi dal Kuwait, provocò l’intervento armato internazionale. La risposta all’invasione del Kuwait inasprì anche la situazione palestinese, e Israele subì pesanti attacchi missilistici e minacce di invasione dal mondo arabo più radicale. Dopo le speranze di pace che avevano contraddistinto la grande rivoluzione pacifica del 1989 – se si eccettua la Romania – le ombre della guerra tornavano ad agitarsi anche in Europa. Nell’escalation della situazione nel Golfo Persico, la CEE si segnalava per un atteggiamento “incerto e debole” <185, frutto del diverso comportamento assunto dai vari stati membri: come sottolineò al PE Biagio De Giovanni, a dispetto del buon lavoro fatto dalla presidenza italiana, “siamo in ritardo rispetto ai cambiamenti prodottisi nel mondo, siamo in ritardo rispetto alla necessità di contribuire a riempire quel vuoto che si è aperto” <186. Anche l’Italia, dopo una seduta ad alta tensione in parlamento, autorizzò l’invio di contingenti militari e concedeva l’utilizzo dello spazio aereo.
Per di più la situazione interna del paese era tutt’altro che serena: in gennaio scoppiò il caso “Gladio”, una struttura parallela ai servizi segreti, creata in funzione anticomunista all’inizio della guerra fredda, della quale era a conoscenza, per trascorsi incarichi istituzionali, anche il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che “ne aveva sostenuto il ruolo e difeso la funzione” <187. La vicenda Gladio segnava uno spartiacque nel mandato di Cossiga, che incominciò ad attaccare il sistema dei partiti attraverso il ricorso ad esternazioni riprese e amplificate dai media. Ad approfittare della bufera politica e dello scontro istituzionale che andava acuendosi furono le organizzazioni mafiose che alzavano il tiro delle loro operazioni criminali.
Le formazioni politiche si trovarono così prese in mezzo, come in una pressa, tra le vicende internazionali e specialmente europee – che richiedevano una netta svolta nel sistema di governo ed una profonda operazione di risanamento dei conti pubblici <188, ed una crescente diffidenza verso le istituzioni da parte dei cittadini. Come già anticipato, le elezioni amministrative di maggio avevano sancito, di fatto, la fine del governo Andreotti, rimandata però ai primi mesi del 1991 per assicurare una serena e costruttiva gestione del semestre di presidenza. Il nuovo esecutivo, affidato sempre ad Andreotti, al suo settimo mandato, si connotò per il ritiro dalla maggioranza del PRI: ancora una volta, la crisi di governo nacque e fu gestita politicamente al di fuori delle aule istituzionali, suscitando la profonda disapprovazione di eminenti esponenti della stessa DC <189.
[NOTE]
185 Così si esprimeva al PE, Biagio De Giovanni, che proseguiva: “Le responsabilità naturalmente sono di tutti, ma l’Europa come tale è stata poco o punto presente e finora debole è stato il suo contributo alla costruzione di un nuovo ordine mondiale”, On. B. De Giovanni, Discussioni al Parlamento europeo, 23 gennaio 1991, supplemento al Bollettino CEE, n. 3-398/130. Anche l’eurodeputata DC, Cassanmagnago-Cerretti concordava: “È ormai sotto gli occhi di tutti che l’assenza di una politica estera e di sicurezza comune ai Dodici è un elemento di instabilità politica per tutta la comunità internazionale. Ciò che emerge dal Consiglio europeo è ancora un grande timore di fare un passo decisivo verso la ricerca e la definizione degli interessi comuni e la creazione delle procedure idonee a metterli in opera. Forse c’è la paura di perdere un elemento della propria sovranità. In realtà nessuno degli Stati membri è più capace di
esercitare da solo tale sovranità. L’Unione europea è lo strumento indispensabile per recuperare, tutti insieme, la capacità di esercitare la nostra sovranità e di far valere il nostro punto di vista nelle relazioni sulla scena internazionale”, On. M. L. Cassanmagnago-Cerretti, Ibidem.
186 On. Biagio De Giovanni, Ibidem.
187 G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, cit., p. 550.
188 Su questo punto, l’eurodeputato socialista Lelio Lagorio, era dell’opinione che “in Europa l’Italia è debole: siamo europeisti, anzi federalisti, più di qualsiasi altro popolo europeo, quando si tratta di fare affermazioni di principio però quando ci troviamo alle prese con il piccolo lavoro concreto quotidiano, emerge quasi una sorta di disinteresse che ci indebolisce. Inoltre, il nostro paese ha due handicap specifici: il primo, riguardante la vita comunitaria, è costituito dall’alto contenzioso e l’altro, di carattere più generale, deriva dal fatto che un Europa viene espresso (…) un giudizio critico sul funzionamento dello Stato italiano e del suo sistema politico”, On. L. Lagorio, ALeg, CADE, X Leg., BC, Comm. Speciale per le politiche comunitarie, 14 febbraio 1991, p. 10.
189 Nel dibattito sulla fiducia verso il nuovo esecutivo alla Camera, Oscar Luigi Scalfaro pronunciò un discorso profondo quanto accorato: “Da tempo il Parlamento è mortificato. Innanzitutto, è mortificato nella incertezza della sua vita, già da cinque scioglimenti anticipati troncata patologicamente (…) vi è un’altra mortificazione del Parlamento, quella che si trova nella spoliazione delle sue competenze primarie, cioè il generare un Governo ed il licenziarlo, il dare la fiducia o la sfiducia. Si tratta dell’estromissione del Parlamento nelle crisi di governo. Nessuno nega i diritti-doveri dei partiti che, secondo il termine costituzionale, concorrono alla volontà politica. Essi, dunque, ‘concorrono’, ma è certamente incostituzionale nella lettera e nello spirito il tenere il Parlamento fuori dalla porta nel momento in cui vi sono le crisi di governo: è violenza al Parlamento e violenza alla Costituzione”, On. O. L. Scalfaro, ALeg, CADE, X Leg., Assemblea, Discussioni, 17 aprile 1991, pp. 82831-82832.
Massimo Piermattei, Dal vincolo esterno all’europeizzazione? Le culture politiche italiane e l’integrazione europea nella rincorsa alla moneta unica (1988-1998), Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia, 2009

Informazioni su adrianomaini

Pensionato di Bordighera (IM)
Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

Una risposta a Il 1991: segnali di crisi per l’Italia e l’Europa

  1. Pingback: Il 1991 del PCI | Casa Maini

Lascia un commento