Fu così portata in quella sede una serie di questioni destinate a divenire parte essenziale della nuova agenda internazionale del movimento politico delle donne

Le partecipanti al Congresso di Parigi del 10 febbraio 1919 – Fonte: Wikiwand

Di nuovo, come agli albori del movimento internazionale delle donne, statunitensi e francesi si incaricarono di organizzare il primo incontro del dopoguerra delle suffragiste per rimarcare senso e significato della presenza femminile nel momento in cui si andavano definendo le condizioni della pace. L’incontro, che si aprì a Parigi il 10 febbraio 1919, ebbe il nome di Conference of Women Suffragists of Entente Countries and the U.S.A e costituì l’avvio di uno dei percorsi dell’associazionismo delle donne per dar voce alle istanze femminili nei confronti della Conferenza di Pace. In questo caso l’iniziativa fu presa dalle rappresentanti dell’Union Français pour le Suffrage des Femmes con il contributo di alcune donne appartenenti al Conseil National des Femmes Françaises, nonché di altre delegate di associazioni affiliate all’IWSA <211.
Il secondo percorso, che portò al Congresso di Zurigo del 1919 e alla nascita della WILPF, fu quello intrapreso dall’International Committee of Women for Permanent Peace formatosi al Congresso dell’Aja e dalle sue sezioni nazionali. Come ha messo in evidenza Jo Vellacott <212, essi rappresentarono due differenti approcci alla politica delle donne del dopoguerra: il primo più legato alle questioni dei diritti e dei bisogni, e quindi ai diversi aspetti inerenti alla condizione femminile; il secondo incentrato direttamente sul problema delle relazioni internazionali e del significato in termini pacifisti dell’azione delle donne, questione su cui, d’altra parte, non poche aderenti alle altre associazioni si erano spese personalmente, in primo luogo Mary Sheepshanks con il ruolo di continua mediazione svolto nella sua funzione di direttrice dello “Jus Suffragii”. Secondo l’ipotesi di Vellacott, questo secondo percorso coinvolgeva il terreno delle «responsabilities», vale a dire della piena assunzione di responsabilità rispetto alle scelte relative ai destini delle comunità nazionali e internazionali da parte di coloro che, frattanto, in molti paesi erano divenute o stavano per diventare cittadine. La responsabilità della difesa e della salvaguardia della vita umana era considerata, da questo punto di vista, prioritaria. In realtà la questione delle responsabilità, già presente nell’anteguerra e accentuata dal conseguimento del voto politico, fu trasversale a tutte le organizzazioni, mentre una radicale differenza riguardò l’impostazione stessa dei rapporti con la Conferenza di pace.
Se infatti tutti gli sforzi dell’International Committee of Women of Permanent Peace e più in generale delle pacifiste andavano nella direzione di un incontro largo di tutte le parti che erano state in conflitto, nella prospettiva di un rinnovato internazionalismo, la conferenza delle suffragiste coinvolse solo le donne dei paesi alleati. Su questo pesarono certamente il ruolo svolto dalle francesi, che così fortemente si erano opposte al congresso dell’Aja e a qualsiasi possibilità d’incontro con le tedesche, e la volontà di uniformarsi alle scelte compiute per la convocazione della conferenza di pace. Così soltanto le suffragiste francesi, inglesi, belghe, italiane, statunitensi s’incontrarono a Parigi dal 10 al 16 febbraio per avviare un lavoro che si sarebbe concluso nell’aprile successivo.
I dettagliati resoconti di Suzanne Grinberg <213 apparsi sull’“International Woman Suffrage News” restituiscono i diversi passaggi della vicenda. La prima questione, posta in apertura del meeting, fu in che modo formalizzare la richiesta di una rappresentanza di questa parte dell’associazionismo ai lavori in corso nella capitale francese. Il modello di riferimento venne individuato in quello della rappresentanza del lavoro. Come è noto, i lavori della Conferenza di pace si articolarono sulla base di commissioni, e tra queste ne fu istituita una sui problemi delle condizioni di lavoro e sui principi per la tutela di quest’ultimo. La commissione elaborò gli articoli relativi del trattato di Versailles per rendere effettivi, grazie anche ad un impegno sul versante della giustizia sociale gli obiettivi di pace perseguiti con la fondazione della Società delle Nazioni, oggetto della prima parte dello stesso trattato <214.
Con alle spalle questo riferimento, il meeting delle suffragiste richiese fin dalla sua prima seduta “that a Commission of Women be officially appointed by the Peace Congress to inquire into and report upon conditions and legislations concerning women and children throughout the world; that the suggested names of delegates for this Commission be submitted by the great International Federations of Women of all these countries and the delegates be officially selected by their respective Governments”. <215
La risoluzione fu presentata al Presidente Wilson che, approvando pienamente il principio di una rappresentanza delle donne ai lavori della Conferenza, ricevette la delegazione delle suffragiste e suggerì come soluzione pratica, per rendere realizzabile tale principio, una commissione dei plenipotenziari sugli aspetti internazionali relativi alla condizione femminile, come il traffico delle donne, o la nazionalità delle donne sposate, questione divenuta di grande emergenza con la guerra, in quanto le donne erano obbligate ad assumere la nazionalità del marito, venendosi a trovare – senza possibilità di scelta – in complicate situazioni e difficili conflitti tra l’appartenenza al paese di origine e l’appartenenza a quello acquisito.
Seguirono una serie di colloqui con i rappresentanti dei governi per acquisire ulteriori appoggi ed un ultimo incontro con i massimi esponenti istituzionali francesi: il Presidente della Repubblica Poincaré e il Presidente del Consiglio Clemenceau. Quest’ultimo propose una diversa soluzione, suggerendo che singole donne entrassero nelle diverse commissioni. Clemenceau si espresse anche sulla vicenda in corso in Francia relativa al voto politico. Secondo l’uomo politico francese per il momento le donne potevano accedere al solo voto amministrativo, mentre Wilson, di fronte alla contemporanea lotta del movimento statunitense per superare le resistenze del Senato all’emendamento costituzionale che avrebbe garantito il voto a tutte le donne di quel paese, si schierò decisamente dalla parte dell’universalità del suffragio.
Sono evidenti l’articolazione delle posizioni e la progressiva riduzione della portata della richiesta: da una Commissione di donne composta da delegate indicate dalle associazioni e ufficializzate dai governi secondo la proposta originaria, ad una commissione apposita, formata da delegati dei plenipotenziari in relazione costante con le rappresentanti delle associazioni secondo il Presidente degli Stati Uniti, alla più debole indicazione del Presidente del Consiglio francese della presenza di alcune donne nelle commissioni esistenti, senza costituirne una ad hoc. Secondo il reportage di Grinperg gli esiti del meeting furono comunque positivi, e il lavoro continuò attraverso un comitato prevalentemente francese che ebbe il compito di formulare una serie di risoluzioni relative ai diversi aspetti della condizione femminile da presentare di nuovo ai rappresentanti dei governi. Di fatto la richiesta di una commissione specifica non fu accettata, e tale istanza si risolse nell’invito rivolto alle associazioni ad essere presenti in alcune commissioni quando si trattavano questioni inerenti alle donne. Ciò avvenne da parte della Commissione per una legislazione internazionale del lavoro e, poi, nell’aprile, da parte della Commissione per la Società delle Nazioni presieduta da Wilson <216 e giunta al termine della stesura del Covenant. In quest’ultimo, all’art. 7, veniva esplicitamente dichiarato che «all positions under or in connection with the League, including the Secretariat, shall be open equally to men and women» <217.
La formulazione dell’articolo fu considerata- ed in effetti lo fu- un grande risultato della pressione svolta fino a quel momento: ebbe così inizio un significativo rapporto di scambio tra l’associazionismo femminile e il nuovo ente che si andava configurando. Il successo fu dovuto anche all’allargamento dell’iniziativa originaria della Conference of Women Suffragists of Entente Countries and the U.S.A ad altre associazioni, in primo luogo all’International Council of Women. Già nel corso del lavoro del comitato uscito dal meeting di febbraio con il compito di formulare proposte da presentare alla Conferenza, erano state coinvolte donne prominenti e particolarmente rappresentative nei diversi campi, tra cui alcune del Conseil National des Femmes Françaises come la sua Presidente Julie Siegfried <218, o Avril De Sainte-Croix <219 la femminista francese che dedicò la sua vita alla lotta contro i regolamenti della prostituzione, divenendo una delle figure di riferimento a livello internazionale.
Ma la svolta decisiva si ebbe con l’ingresso di Lady Aberdeen che, giunta a Parigi nel marzo, portò tutto il peso dell’IWC e delle sue relazioni politiche nel lavoro di lobbying per condurre in porto la vicenda. La delegazione che partecipò all’incontro finale con i componenti della Commissione per la Società delle Nazioni fu così composta, tra le altre, da Lady Aberdeen, nella sua qualità di presidente dell’IWC, Marguerite De Witt Schulemberger, presidente della Conference delle suffragiste, Avril De Sainte- Croix, Suzanne Grinperg, Margery Corbett Ashby e Margery Fry per le inglesi, Alice Schiavoni Bosio appartenente al Consiglio Nazionale delle Donne per le italiane <220.
Lady Aberdeen, con la perizia che le era consueta, aprì l’incontro mettendo in evidenza il significato dell’appoggio dei milioni di donne rappresentati dalle associazioni per la diffusione dei principi della Società delle Nazioni e, in ragione di questo, introdusse la presentazione da parte delle altre delegate di una serie di punti, la cui accettazione avrebbe comportato «the full and complete cooperation of women» <221.
Fu così portata in quella sede una serie di questioni destinate a divenire parte essenziale della nuova agenda internazionale del movimento politico delle donne. Esse riguardavano tre aspetti: la morale, il suffragio, l’educazione L’incrocio tra la sollecitazione di Wilson a mettere all’attenzione della conferenza quegli aspetti della condizione femminile più connessi alla dimensione internazionale, e la lunga pratica dell’IWC nell’ambito della filantropia sociale spiegano l’articolarsi di tale agenda. La lotta al traffico delle donne e dei bambini, la soppressione delle case di tolleranza e dei regolamenti di Stato della prostituzione furono considerati obiettivi prioritari e divennero uno dei campi di intervento privilegiato della condenda Società delle Nazioni. In stretta connessione con essi fu posta la condizione della eliminazione delle leggi e dei costumi che fuori dall’Occidente impedivano «the free right to the disposal of our persons» <222, vale a dire il matrimonio obbligatorio anche in età estremamente precoce stabilito dalla volontà paterna, la vendita dei bambini, premessa allo stesso traffico, le punizioni corporali: insomma tutti gli attributi conferiti, nelle società patriarcali, all’autorità del padre o del marito. L’appassionato discorso pronunciato da Suzanne Grinberg nel corso dell’incontro sul rapporto tra le donne orientali e la libertà costituisce contemporaneamente un richiamo a fondamentali diritti umani e la testimonianza della visione “orientalistica” di gran parte delle femministe occidentali <223. Vi si avvertono gli echi della dicotomia civile/incivile, l’intero mondo non occidentale è appiattito nella visione di un Oriente in cui la denominazione geografica viene a significare arretratezza di civiltà e di culture; tuttavia anche in questo caso appaiono incrinature: «It is true», afferma Grinberg, «that we have received no mandate to plead this cause by those whom it concerns.» <224. La ragione, dunque, della richiesta forte posta dall’oratrice affinchè la Società delle Nazioni ammetta tra i suoi membri soltanto quei paesi che si fanno carico del miglioramento della condizione delle donne, sta in un imperativo ancora più forte di quello della rappresentanza:
“it is the duty of every human being who knows these injustices and iniquities to denounce them, in order to have righted. In the interests of humanity, therefore, we remind you of these barbarous laws”. <225
Si affaccia qui il grande nodo dei diritti umani nel loro intreccio con i diritti delle donne, questione che comincia a prendere forma in questo periodo per attraversare l’intero secolo <226. Sullo sfondo, nel contesto specifico, vi è il dibattito intorno alla violazione delle leggi convenzionali della guerra, come nel caso dei massacri compiuti dalla Turchia nei confronti degli armeni, considerati dalla commissione costituita in seno alla Conferenza sulla responsabilità della guerra anche come violazione dei principi dell’umanità <227. Donne armene, legate al movimento e presenti a Parigi, avevano denunciato con forza questi crimini e le violenze specifiche condotte contro le donne e i bambini.
Se l’“Oriente” doveva riscattarsi, problemi non mancavano in anche in Occidente: di questi si fecero portavoce Marguerite De Witt Schulemberger, a nome della Conference of Women Suffragists of Entente Countries and the U.S.A, che ovviamente continuò ad esercitare il suo peso, e Margery Fry. La richiesta, argomentata in termini di principio ed in nome del sostegno dato dalle donne ai paesi in guerra, fu il riconoscimento da parte della Società delle Nazioni della piena partecipazione delle donne alle decisioni politiche e ai plebisciti concernenti la formazione delle nuove nazioni. L’ultima richiesta, espressa dalla rappresentante italiana e dalla statunitense Fannie Fern Andrews, riguardò l’educazione e l’istituzione di un Bureau International su questo tema.
La trasposizione dell’agenda sollecitata delle donne in quella della Società delle Nazioni, che si sarebbe insediata a Ginevra nel gennaio dell’anno successivo, ebbe un andamento non univoco: la Società delle Nazioni, mentre fu aperta alle questioni eminentemente sociali, rimase sempre più oscillante rispetto alla questione dei diritti. Poche, poi, furono coloro che giocarono un ruolo effettivo nei diversi organismi del nuovo ente. L’associazionismo femminile fu comunque considerato un interlocutore non solo formale; a loro volta, le diverse organizzazioni delle donne videro nella Società delle Nazioni un punto di riferimento e s’impegnarono, nel corso dei decenni successivi, in un dialogo continuo, spaziando tra l’aperto sostegno dato dall’IWC, a quello più parziale dell’IWSA, alla critica alle incertezze delle politiche societarie da parte prima dell’International Committee for Permanent Peace, poi della WILPF.
Il secondo percorso di ricostruzione dell’internazionalismo delle donne nell’immediato dopoguerra fu quello perseguito dall’International Committee for Permanent Peace, costituito al termine del Congresso delle donne dell’Aja <228 con il compito di sostenere la missione diplomatica delle “messaggere” presso i governi dei paesi belligeranti e neutrali, diffondere i risultati degli incontri e sollecitare la nascita di comitati nazionali. La conclusione del Congresso delle pacifiste aveva già nelle sue risoluzioni posto all’ordine del giorno la questione di come e su quali principi si dovesse configurare l’assetto della pace al termine del conflitto. Le condizioni di una pace duratura erano viste nel rifiuto di ogni riconoscimento di conquista territoriale senza il consenso degli uomini e delle donne degli stessi territori, nella diffusione di regimi democratici, nell’accordo tra i governi per individuare strumenti di soluzione dei conflitti diversi dal ricorso alle armi, nel controllo “dal basso” della politica estera, nel riconoscimento di uguali diritti tra uomini e donne. Autodeterminazione dei popoli e rispetto delle differenti nazionalità, democrazia, equità, uguaglianza tra i sessi, arbitrato e cooperazione internazionale erano considerati i principi di riferimento per individuare gli strumenti da mettere in opera. Questi ultimi venivano indicati nella costituzione di una Società delle Nazioni che, ricollegandosi agli esiti delle Conferenze dell’Aja del 1899 e del 1907, doveva trasformare l’Alta Corte per l’Arbitrato in una Corte internazionale di giustizia e promuovere una Conferenza Internazionale Permanente costituita in modo da affermare quei principi di
“justice, equity and goodwill in accordance with which the struggles of subjected communities could be more fully recognized and the interest and the rights not only of great Powers and small nations but also those of weaker countries and primitive peoples gradually adjusted under an enlightened International public opinion”. <229
A questi strumenti si aggiungevano, da un lato, l’ assicurazione della libertà dei commerci, dall’altro il disarmo generale a partire dallo smantellamento delle fabbriche di armi da guerra e dal controllo sul loro traffici: i grandi profitti derivati da questo tipo di industria venivano infatti considerati un potente ostacolo all’abolizione della guerra.
Era una piattaforma radicale, in cui i caratteri di quel nuovo organismo sovranazionale da tempo prefigurato nei dibattiti del pacifismo ed anche del femminismo erano decisamente spostati nella direzione di un diverso e maggiore equilibrio tra paesi più forti e paesi più deboli, compresi quelli soggetti al dominio e all’espansione coloniale. Veniva anche posto il problema delle eventuali sanzioni di ordine economico, sociale e morale, come alternativa al ricorso alle armi, in caso di violazione dei principi fondanti il nuovo patto tra i governi e le nazioni da essi rappresentati.
Con queste risoluzioni e con la proposta di una conferenza tra le nazioni per una mediazione continuativa volta a raggiungere una pace equa nel tempo più breve possibile, “le messaggere” avevano compiuto la loro missione incontrando primi ministri e ministri degli esteri in tredici capitali europee, nella capitale statunitense dove erano state ricevute dal Presidente Wilson e presso la Santa Sede per un’udienza con Benedetto XV <230. Gli incontri diplomatici erano stati accompagnati, là dove era stato possibile, da meetings pubblici di sostegno. Una rete di comitati nazionali che avrebbero poi costituito l’articolazione della WILPF si era andata così via via formando, malgrado le enormi difficoltà del tempo di guerra legate in primo luogo alle accuse di antipatriottismo che colpirono le pacifiste europee e, con l’ingresso in guerra degli USA, anche quelle statunitensi come fu per Jane Addams. Se negli Stati Uniti già nel 1915 si era formato il Women Peace Party, che nel corso del conflitto si sarebbe diviso tra accettazione e opposizione all’ingresso in guerra <231, dopo l’appuntamento dell’Aja molte delle partecipanti al congresso si assunsero il compito di dare vita a nuclei locali nei Paesi Bassi – sede anche dell’International Committee- in Gran Bretagna, con la fondazione della Women International League (WIL), in Francia, con il comitato fondato da Gabrielle Duchêne, in Italia, con la Lega coordinata da Rosa Genoni che lavorò in stretto contatto con le socialiste, in Ungheria, in Germania, in Austria, nei paesi scandinavi e in Svizzera. Fu proprio il comitato svizzero a prendere l’iniziativa di una conferenza informale delle donne a ridosso della Conferenza della II Internazionale svoltasi a Berna nel febbraio del 1919. Secondo il resoconto di Ethel Snowden, all’incontro parteciparono donne di nove nazionalità tra cui la svizzera Gobat, Rosika Schwimmer, Anita Augsburg e la sua compagna Linda Gustava Heymann <232. Nel corso di esso furono ripresi i punti fondamentali relativi ai diritti politici e sociali delle donne, come la parità nelle retribuzioni e venne rivendicata la necessità di una loro presenza nell’ambito della Società delle nazioni, ma diversamente da quanto era stato fatto dalla Conference of Women Suffragists e dalle delegazioni che ne erano seguite, all’ordine del giorno furono poste le grandi questioni della politica internazionale. Venne portata avanti una visione dell’ internazionalismo che prevedeva relazioni con tutti i paesi, in primo luogo con la Germania; di conseguenza, l’ipotesi prefigurata per la realizzazione della Società delle Nazioni fu quella di un organismo che, se voleva essere autenticamente democratico, non poteva escludere quel paese. Anche il blocco imposto alla Germania ed esteso all’Europa centro-orientale e alla Russia rivoluzionaria fu oggetto di una risoluzione specifica che ne richiese la sospensione, affermando che
“the continuance of the present state will breed anarchy and defeat those principles of liberty and peace for which it is everywhere declared the war was fought an which should be foundation of an effective League of Nations”. <233
In conclusione, tra la firma dell’armistizio e i primi mesi del 1919 l’associazionismo femminile riapparve sulla scena internazionale unito nella richiesta di estensione dei diritti delle donne e in quella di essere considerato soggetto attivo nella definizione degli assetti successivi al conflitto, ma diviso sulla fondamentale questione riguardante se e come prendere posizione di fronte alle grandi opzioni della politica internazionale, prima fra tutte la configurazione stessa dell’organismo, da tutti auspicato, della Società delle Nazioni. La divisione pesò anche sullo “Jus Suffragii”, sulle cui pagine Mary Sheepshanks, interpretando le istanze di una parte delle associazioni affiliate, aveva delineato un programma per il nuovo internazionalismo delle donne che andava oltre l’affermazione dei diritti. La pacifista inglese nell’agosto del 1919 lasciò il suo incarico <234 e da quel momento gli editoriali si limitarono a brevi cronache delle vittorie suffragiste, fino al ritorno in Europa della presidente Carrie Chapman Catt, che nell’immediato dopoguerra si era dedicata interamente alla lotta per far passare in entrambi i rami del parlamento americano il diciannovesimo emendamento.
Dovette trascorrere un altro anno perché l’IWSA riuscisse ad organizzare, dopo l’ormai lontano appuntamento di Budapest nel 1913, un nuovo congresso in cui le delegate, provenienti dai paesi neutrali e da quelli belligeranti, potessero sedere le une accanto alle altre. Fu così anche per l’IWC, che dopo l’appuntamento romano del 1914, promosse nel settembre del 1920 il suo congresso a Cristiania. Diverso fu ovviamente il caso di coloro che avevano scelto di mantenere i legami e si erano impegnate per possibili soluzioni al conflitto. Dopo l’incontro svizzero, l’attività proseguì con la convocazione da parte dell’International Committeee for Permanent Peace del primo grande congresso di donne del dopoguerra che si riunì a Zurigo nel maggio del 1919, mentre ancora era in corso la Conferenza di Parigi.

[NOTE]
211 Ad esso furono presenti oltre alle francesi e alle statunitensi, le inglesi della NUWSS, le belghe, Margherita Ancona presidente della Federazione Nazionale Pro Suffragio per l’Italia, una delegata neozelandese che si trovava in quel momento in Europa e Nina Boyle per il Sud-Africa.
212 Cfr. Jo Vellacott, Feminism as if all people mattered. Working to remove the causes of war 1919-1929, in “Contemporary European History”, n.3, 2001. La storica inglese mette a confronto i due diversi approcci femministi evidenziando come il programma che concerneva aspetti della condizione femminile e diritti – dal traffico, al voto- venisse considerato “minimum” da parte dell’International Committee non in senso peggiorativo, ma perché le donne che in esso si ritrovavano ritenevano che il femminismo dovesse andare oltre: «in the suffrage context was the opportunity for women to do, in the cause of good, all that they were capable of; there is a social feminist connotation, an understanding that women have a dimension to bring to polity that is missing in a male-dominated world.» Ivi, p. 381.
213 Tra le prime donne avvocato, Suzanne Grinperg (1889-1972) fu membro del comitato centrale l’Union française du suffrage des femmes fin dal 1914, divenendone poi la vicepresidente. Rappresentante francese nell’IWSA, divenne segretaria l’Union française du suffrage des femmes. Docente di diritto, scrisse numerose opere sui diritti delle donne , creò l’ l’Association des femmes juristes e fu la prima donna ad essere ammessa all’associzione francese degli avvocati.
214 Gli articoli sul lavoro (387-399) formano la XIII parte del Trattato e seguono una premessa in cui si afferma la necessità di garantire da parte dei membri della Società delle Nazioni Tra essi si stabilisce anche la costituzione presso la Società delle Nazioni dell’International Labour Office. Cfr. per un’analisi del trattato e per la riproduzione del testo, cfr. rispettivamente Manfred F. Boemeke, Gerald D. Feldman, Elisabeth Glaser (eds.), The Treaty of Versailles. A Reassessment after 75 years, Cambridge, Cambridge University Press, 1998 e Ferdinand Czernin, Versailles 1919, New York, Capricorn Books, 1964.
215 Suzanne Grinperg, Women at Peace Conference, “The International Woman Suffrage News”, Vol. n.6, March 1919, p.72.
216 All’incontro furono presenti, sulla base del resoconto dell’incontro pubblicato su “The International Woman Suffrage News”, oltre al Presidente americano tutti i componenti della commissione tra cui Orlando per l’Italia, Lord Cecil per l’Inghilterra, Bourgeois per la Francia, Hysmans per il Belgio. Cfr. Suzanne Grinberg, The Inter-allied Conference in Paris, “ The International Woman Suffrage News”, Vol.13, n.8, May, 1919, p. 104.
217 Nella prima versione del Covenant adottata nella sesione plenaria del 14 febbraio 1919 non c’era nessun riferimento alla presenza delle donne. L’art. 7 apparve nella versione definitiva dell’aprile. Si veda Ferdinand Czrnin, Versailles 1919, New York, Capricorn books, 1964. Il testo contiene una tavola di comparazione delle successive stesure, tavola da cui è tratta la citazione.
218 Julie Siegfried (1848-1922), fu presidente del Conseil National des Femmes Françaises dal 1912 alla sua morte, succedendo a Sarah Monod.
219 Ghenia Avril De Saint Croix (1855-1939), saggista e scrittrice, scoperse il femminismo in seguito al legame con Joséphine Butler che l’incoraggiò a lottare contro la prostituzione. Fu la fondatrice della Section Unité de la morale all’interno del CNFF. Organizzò luoghi di accoglienza per le ragazze e le donne in difficoltà e divenne segretaria generale (1901-1922) e poi presidente (1922-1932) del Conseil National des Femmes Françaises. La sua attività fu
riconosciuta ufficialmente con la medaglia d’oro dell’Assistance publique et de l’Hygiène e l’attribuzione della Legion d’Onore.Fu designata come esperta nell’ambito della Società delle Nazioni sul traffico e la prostituzione.
220 Sono qui indicati i nomi di coloro che presero la parola, ad essi si devono aggiungere quelli della Presidente del Conseil De Femmes Français, Julie Siegfred, di Cecil Brunschwig e di Maria Verone in rappresentanza dell’Union Suffragiste, delle statunitensi Julia Barrett Rublee, impegnata assieme a Margaret Sanger nella questione del controllo delle nascite e Fannie Fern Andrews del Women Peace Party. Si veda, Suzanne Grinberg, The Inter-allied Conference in Paris, “ The International Woman Suffrage News”, cit., p. 104.
221 Speeches f the Members of Women’s Delegation to the League of Nations Commission, “ The International Woman Suffrage News”, Vol. 13, n. 8, May 1919, p. 105.
222 Ibidem.
223 Sulla categoria di orientalismo il riferimento d’obbligo è Edward Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Milano, Feltrinelli, 2002. Per un’applicazione di questa categoria al movimento delle donne nel caso italiano, cfr. Catia Papa, Sotto altri cieli. L’Oltremare nel movimento femminile italiano 1870-1915, Roma, Viella, 2009.
224 Speeches f the Members of Women’s Delegation to the League of Nations Commission, “ The International Woman Suffrage News”, cit., p. 105.
225 Ibidem.
226 Cfr. in particolare, Stefania Bartoloni ( a cura di), A volto scoperto: donne e diritti umani, Roma, Manifestolibri, 2002; Anna Rossi-Doria, Diritti delle donne e diritti umani, in Mariuccia Salvati (a cura di), Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: 10 dicembre 1948. Nascita, declino, nuovi sviluppi; Roma, Ediesse, 2006, pp.63-94; Susan Moller Okin, Diritti delle donne e multiculturalismo, Milano, Cortina, 2007; Silvia Salvatici, Diritti politici e diritti umani: le profughe, in Giovanna Fiume (a cura di), Donne, diritti, democrazia, Roma, XL edizioni, 2007, pp. 61-82.
227 Cfr., Marcello Flores, Storia dei diritti umani, Bologna, Il Mulino, 2008, pp.169 e segg.
228 L’International Committee for Permanent Peace fu composto da: Jane Addams (Presidente) Aletta Jacobs (Vicepresidente), Chrystal Macmillan (segretaria) e Rosa Manus (assistente segretaria) a cui si aggiunsero Rosika Schwimmer quale seconda vicepresidente e Jeanne C. Van Lanschot Hubrecht come tesoriera. La sua sede fu Amsterdam. Per la vicenda del congresso cfr. il primo capitolo.
229 International Women’s Committee for Permanent Peace, International Congress of Women, The Hague 28th April-1st May, 1915. Report, Amsterdam, International Women’s Committee for Permanent Peace, 1915, p. 8.
230 Per il resoconto della missione cfr., Jane Addams, Emily B. Balch, Alice Hamilton, Women at The Hague. The International Congress of Women of 1915; introduction by Mary Jo Deegan, cit. Si veda anche Aletta Jacobs, Memories. My life a san International leader in Health, Suffrage and Peace, cit., pp. 120 e segg.
231 Cfr., cap. I, n. 26
232 Mrs. Philip Snowden, Two International Conference at Berne, “ The International Woman Suffrage News”, Vol. 13, n. 6, March 1919, pp. 73-74. Ethel Snowden (1881-1951), legata all’Indipenden Labour Party e moglie dell’esponente laburista Philip Snowden, fu fortemente impegnata nel movimento per il suffragio e tra le leader della Women’s Peace Crusade durante la Prima guerra mondiale. La Snowden aveva partecipato con il marito anche alla Conferenza della II Internazionale.
233 Ivi, p.74.
234 Mary Sheepshanks s’impegnò successivamente nella WILPF ritenendo che ormai la battaglia per il suffragio fosse largamente vinta e che problemi come la carestia o le rivalità nazionali richiedessero maggiore attenzione da parte delle donne consapevoli. Cfr. Sybil Oldfield, Introduction in Sybil Oldfield (ed.), International Woman Suffrage: Jus Suffragii 1913-1920, London, Routledge, 2003, Vol. I, p. 25.
Elda Guerra, L’Associazionismo internazionale delle donne tra diritti, democrazia, politiche di pace. 1888-1939, Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia – Viterbo, 2012

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