Carlo Alberto Ferrero era nato a Mondovì il 22 dicembre 1888; prese parte alla Prima Guerra Mondiale e fu decorato con Croce di Guerra; laureatosi in giurisprudenza all’Università di Torino ed entrato in magistratura, fu Pretore a Chiusa Pesio, poi giudice del Tribunale di Cuneo e successivamente Presidente del Tribunale di Nuoro; nella primavera del 1943 venne nominato consigliere della Corte d’Appello di Torino. Durante la guerra, la sua famiglia era sfollata a Chiusa Pesio (CN) e lui era solito raggiungerla quando gli impegni dell’ufficio glie lo consentivano.
Nel novembre 1943 fu emanato il primo bando di reclutamento nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, che chiamava alle armi i giovani delle classi 1923-1924-1925, minacciando le pene stabilite dal codice militare di guerra per i renitenti alla leva, e provvedimenti anche a carico dei capi famiglia. Il bando fu trasmesso al podestà di Chiusa Pesio mediante telegramma della Prefettura di Cuneo; il podestà indisse una riunione, che si tenne il 15 febbraio 1944, convocando i genitori dei giovani chiamati alle armi e i personaggi più stimati del paese, lesse il testo del bando, si espresse a favore dell’arruolamento, ma disse che voleva conoscere il parere dei presenti. Carlo Alberto Ferrero prese la parola e fece osservare che il contenuto del bando contrastava con le disposizioni di legge, che prevedevano sanzioni a carico dei renitenti alla leva, ma non stabilivano pene a titolo di rappresaglia contro i familiari; aggiunse che, poiché il telegramma proveniva da un’autorità politica e non militare, sorgeva il dubbio che si trattasse di un provvedimento imposto dal comando tedesco di occupazione; concluse, quindi, che non si poteva fare opera di persuasione sui giovani, perché non si poteva dare loro alcuna assicurazione sulla loro destinazione e sul loro impiego.
Le sue parole furono certamente riferite, da qualcuno dei presenti, alle gerarchie provinciali fasciste; sta di fatto che, dopo quella riunione, i militi della Guardia Nazionale Repubblicana di Cuneo ebbero l’ordine di arrestare Carlo Alberto Ferrero e andarono più volte a cercarlo nella sua abitazione di Chiusa Pesio, senza però trovare nessuno, perché il giudice aveva diradato le sue visite in paese e la moglie, avvisata per tempo, riusciva a mettersi in salvo.
Alla fine di novembre 1944 Carlo Alberto Ferrero, colpito da una leggera bronchite, accompagnò ugualmente la famiglia da Torino a Chiusa Pesio, ma questo aggravò la malattia ed egli non poté rientrare a Torino nei tempi previsti: in una lettera al suo Presidente di Sezione, si scusa di non poter partecipare all’udienza del 1° dicembre “pur avendo cause in spedizione”.
Tra il 9 e il 10 dicembre 1944 Chiusa Pesio fu occupata da un reparto esploratori della 34ª Divisione di Fanteria della Wehrmacht, ai comandi del capitano Heinrich Schubert, per un rastrellamento esteso a tutto il territorio della Valle Pesio; non riuscendo a catturare partigiani, che si erano allontanati per tempo, i tedeschi si diedero alle rappresaglie contro i civili inermi, incendiando abitazioni, sequestrando bestiame, biciclette e apparecchi radio, ed uccidendo in pochi giorni 12 uomini, nessuno dei quali era armato, e tra questi due ragazzi appena sedicenni.
La sera del 15 dicembre giunsero a Chiusa Pesio il commissario federale di Cuneo del Partito Fascista Repubblicano ed un milite della Brigata Nera di Cuneo, originario di Chiusa Pesio, e furono visti consegnare ad un ufficiale tedesco, ai piedi della scalinata della chiesa dell’Annunziata, un elenco di persone sospettate di partecipare al movimento di liberazione nazionale: il nome di Carlo Alberto Ferrero figurava tra i primi della lista, come successivamente confermato da alcuni testimoni che videro quell’elenco.
Il giorno successivo cominciarono le operazioni di arresto dei sospettati; nella notte tra il 16 ed il 17 dicembre, militari tedeschi bussarono violentemente alla porta della casa di Carlo Alberto Ferrero, lui stesso andò ad aprire e fu arrestato insieme al figlio Pier Giuseppe, diciottenne: i due furono portati nell’asilo infantile del paese, dove si trovavano già una ventina di ostaggi.
Sottoposto ad interrogatorio due volte, il 17 e il 18 dicembre, fu accusato di essere organizzatore di bande partigiane, di fare propaganda contro la guerra nazifascista, e di avere espresso posizioni critiche sulle rappresaglie minacciate dal regime fascista nei confronti dei familiari dei renitenti alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò; le accuse, secondo i tedeschi, erano fondate sulle dichiarazioni di numerosi “banditi” catturati in montagna. Carlo Alberto Ferrero cercò di difendersi, dichiarando di essere un magistrato, di recarsi di rado da Torino a Chiusa Pesio, dove conduceva una vita appartata; chiese di conoscere le prove contro di lui e di essere messo a confronto con chi lo accusava, ma i tedeschi non gli diedero risposta.
Alla moglie – alla quale fu consentito di visitarlo più volte durante la prigionia – Carlo Alberto Ferrero apparve sempre sereno e tranquillo: le faceva coraggio, dicendo che l’affermazione dei tedeschi che ci fossero dei partigiani che lo accusavano era completamente falsa, che non c’erano prove contro di lui e che, nella peggiore delle ipotesi, i tedeschi l’avrebbero processato, avrebbero sentito i testimoni e poi l’avrebbero liberato. Anche il parroco del paese poté visitarlo ed ottenne dal comandante tedesco la promessa che, in caso di eventuali esecuzioni degli arrestati, sarebbe stato avvertito in tempo, per poter prestare assistenza spirituale ai condannati.
La sorveglianza dei locali dell’asilo da parte dei tedeschi non era ferrea, tanto che alcuni ostaggi riuscirono a fuggire; Carlo Alberto Ferrero volle restare perché, confidando in un regolare processo, riteneva che una sua eventuale fuga avrebbe potuto essere interpretata come un’ammissione di colpevolezza.
Nel frattempo, il Presidente del Tribunale di Cuneo, Sinisi, ed il Procuratore della Repubblica, Cottafavi, si recarono al Comando tedesco di polizia per avere informazioni su Ferrero, ma non ottennero altro che generiche rassicurazioni; anche il Presidente della Corte d’Appello di Torino, Ciro Gini, si rivolse all’Alto Commissario per il Piemonte, pregandolo di adoperarsi per ottenere la liberazione di Ferrero.
Al mattino del 19 dicembre quasi tutti gli ostaggi furono mandati a Cuneo, a piedi, e qui liberati; furono trattenuti solo due ostaggi, Carlo Alberto Ferrero ed il giovane Mauro Bernardino, di 22 anni, che era stato catturato perché omonimo di un partigiano, il cui nome compariva nell’elenco consegnato ai tedeschi dai fascisti.
Alle ore 14 dello stesso giorno gli ultimi due detenuti furono portati al Caffè del Popolo, dove si era installato il comando tedesco, e furono sottoposti ad un processo sommario, durato pochi minuti, davanti ad una corte marziale presieduta dal capitano Schubert: ai prigionieri non fu consentita alcuna difesa, e la sentenza fu di condanna a morte. Scortati da sei soldati, i due condannati – costretti a portare al collo un cartello, quello del giudice con la scritta “Traditore”, e quello del giovane con la scritta “Bandito” – furono portati fuori dell’abitato, spinti con le canne dei fucili a camminare nel fosso a fianco della strada; il soldato che chiudeva il gruppo aveva in mano una frusta, con la quale colpì ripetutamente i due condannati.
Sul luogo dell’esecuzione, in località Pietra Scritta, Carlo Alberto Ferrero rifiutò la benda, ma non gli fu nemmeno concessa una “regolare” fucilazione: un tedesco gli sparò un colpo al volto da distanza ravvicinata, il giudice cadde a terra e riuscì a rialzarsi, sanguinante, gridando qualcosa al suo feritore; allora, lo stesso tedesco gli sparò altri colpi al volto e al petto, sotto i quali Ferrero cadde definitivamente a terra. I due cadaveri, deturpati dalle percosse ricevute pre e post mortem, e lasciati sul posto tutta la notte, sotto la pioggia, furono ritrovati solo il giorno successivo, dal parroco – che non era stato avvisato dell’esecuzione – e da altri paesani; vennero portati al cimitero, il parroco poté impartire loro una benedizione, ma non gli fu concesso di celebrare i funerali.
[…] Nel maggio del 1994, nei locali della Procura Generale Militare di Roma, fu scoperto per caso il tristemente noto “armadio della vergogna”, l’armadio – con le ante chiuse a chiave e rivolte verso il muro, perché a nessuno venisse in mente di aprirlo – che conteneva i fascicoli processuali relativi alle stragi nazifasciste consumatesi in Italia tra il settembre 1943 e l’aprile 1945. I fascicoli furono inviati alle Procure Militari competenti per territorio, e la Procura Militare di Torino iniziò il procedimento a carico dell’ex-capitano Heinrich Schubert, comandante del reparto della 34ª Divisione della Wehrmacht che aveva occupato Chiusa Pesio nel dicembre 1944, accusandolo di omicidio aggravato di 14 civili italiani. Il giudizio, svoltosi nella contumacia dell’imputato, si è concluso con la sentenza del Tribunale Militare di Verona del 22 – 29 settembre 2009 n. 47, che ha dovuto dichiarare l’estinzione del reato per morte del reo: il capitano Schubert, infatti, era morto nel maggio del 2009 a Darmstadt, dove aveva vissuto come stimato geometra e tranquillo pensionato.
Dunque, per la morte di Carlo Alberto Ferrero e degli altri 13 civili trucidati a Chiusa Pesio nel dicembre 1944, nessuno è stato condannato.
Carlo Alberto Ferrero non ha lasciato discendenti diretti ancora in vita: questa è una ragione in più perché noi, i magistrati della Corte d’Appello di Torino di oggi, ci sentiamo i suoi veri, attuali, discendenti diretti, e ci assumiamo il compito di mantenere viva la sua memoria.
Concludo questo ricordo con le parole di Primo Levi: “meditate che questo è stato”. Questo orrore è accaduto veramente, e quindi potrebbe accadere ancora. Il nostro impegno sia quello di impedirlo, ora e sempre.
Il testo riproduce l’intervento svolto nel corso della cerimonia commemorativa.
Federico Grillo Pasquarelli (consigliere presso la Sezione Lavoro della Corte d’appello di Torino), Ricordo di un magistrato eroe, Questione Giustizia, 21 dicembre 2019
Cenni di Storia della Resistenza nell’Imperiese (I^ Zona Liguria)
- I tedeschi davano alle fiamme le stazioni ferroviarie di Ventimiglia e di San Remo
- Un giovane caduto partigiano accomunato nella memoria all'eroico Baletta ed a un patriota di Bordighera
- Portare nottetempo agenti segreti tedeschi
- Era partita una donna con l'incarico di spiare i garibaldini
- Dal fronte a Savona le truppe tedesche ammontano a circa 4000 uomini, tutti appartenenti alla 34^ Divisione
- Il capitano Bentley, appena finita la guerra, raccontava...
- Per tedeschi e fascisti gennaio 1945 avrebbe dovuto segnare la fine dei "banditi" partigiani nel ponente ligure
- Massabò riferisce della situazione delle bande nella provincia di Imperia, bande che sarebbero in gran parte comuniste
- Lo svolgimento del processo non piaceva all'amministratore della Divisione Garibaldi
- La salma di Ivanoe Amoretti è oggi custodita nel sacello 103 del Mausoleo delle Fosse Ardeatine insieme a quelle delle altre vittime dell’eccidio
Cenni storici sulla Resistenza Intemelia
- Bombardamenti a Bordighera ad inizio 1945
- Il 30 aprile 1944 Pigna entrò nell'incubo
- Isolabona diede al movimento diciotto partigiani che combatterono incorporati nei vari Distaccamenti della V Brigata
- Patrioti di Ventimiglia, martiri della furia nazifascista e deportati
- Dopo lo sbarco alleato in Provenza erano giunte a Camporosso altre truppe tedesche
- Pajetta indicava ai partigiani imperiesi i collegamenti di frontiera
- La base alleata in Francia era a Saint Jean Cap Ferrat, nella baia di Villafranca, nella villa Le Petit Rocher
- Noi avevamo a che fare con gli americani che comandano questo fronte
- Sono dunque costretti a rinunciare al viaggio in Corsica e a ritornare a nascondersi nella casa di Beppe Porcheddu
- Aiutarli a scappare per raggiungere la zona partigiana
Adriano Maini
- Di aerei e di colline nella zona Ventimiglia-Bordighera durante l'ultima guerra
- La donna, residente a Bordighera, venne ritenuta responsabile di collaborazione con i tedeschi
- Aperitivi a Mentone
- La focaccia di Finale
- Quando si passava la sabbia nel fiume
- Rosso, bianco e...
- Partire da Sanremo per degustare a Ventimiglia baguette farcite con acciughe e cipollotti
- Reganta
- Simulare con una mano la presenza di una pistola
- Collasgarba, semplicemente
Collasgarba
- L’amministrazione pubblica che spesso la propaganda fascista ostentava come fedelissima del partito, in realtà non era assolutamente così fascista
- La maggior parte dei cechi e dei russi avevano disertato portando con sé armi e munizioni
- Per Andrea Caffi federalismo internazionale e infranazionale devono completarsi a vicenda
- Significativo che Silvia Rivera Cusicanqui abbia voluto tradurre il lavoro degli studi subalterni indiani in spagnolo
- In Valtellina alla vigilia del più grande rastrellamento nazifascista
- Freddi con discutibile lungimiranza preconizzava un’imminente morte del divismo americano
- Ci si propone di seguire il percorso dei soggetti legati all’Autonomia bolognese
- Si è verificato un mutamento di prospettiva circa il rapporto tra letteratura e Resistenza
- A partire da questi anni i nuovi bersagli oggetto di contestazione e battaglia della destra furono i luoghi di studio e di critica del pensiero
- A febbraio 1980 sul caso Caltagirone-Italcasse emerge una serie di aspri contrasti all’interno degli uffici giudiziari romani
Frammenti di storia
- Il Comitato italiano dei Partigiani della pace tenne il suo primo Congresso generale nel 1954
- A metà settembre la 34a Divisione della Wehrmacht, che da un anno occupava la provincia di Savona, fu avviata al fronte delle Alpi Marittime
- Come in altri paesi abruzzesi il comando tedesco obbligò sotto minaccia alcuni cittadini ad un servizio di guardia
- Agli inizi degli anni ’70 la terra e la fabbrica, i due simboli che avevano tenuto insieme per decenni la società civile lombarda, andavano scomparendo
- La Resistenza francese espresse idee costituzionali molto diversificate tra loro
- Agli occhi di Washington, tuttavia, l’importanza dell’Italia nel secondo dopoguerra era ancora piuttosto marginale e periferica
- Il primo periodo buio dei GAP a Milano si apre agli inizi di febbraio 1944
- Il film si presenta come una vera e propria favola
- Una certa insoddisfazione dei dirigenti confindustriali in merito all’azione “accademica” dell’Interdoc
- Scassellati trasportò nel comando i metodi sanguinari usati nella controguerriglia in Dalmazia
Vecchi e nuovi racconti
- Genova (2)
- Un po' prima dei carri de "I Galli del Villaggio"
- Il macchinista francese venne espulso
- Marché aux fleurs
- Francesco Lanteri e Giobatta Lanza, di Triora, fucilati in una imprecisata rappresaglia nazifascista
- ... il Gruppo Sbarchi Vallecrosia
- Profumi
- Calvino non poteva non essere riconosciuto
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- Camicie con la seta dei paracadute
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- A partire dall’immediato dopoguerra il gruppo dirigente comunista organizzò in modo sempre più articolato la comunicazione politica e la propaganda ideologica
- Gli Stati Uniti attribuivano all’Italia esclusivamente un ruolo di sicurezza anti-sovietica
- La zona di Quiliano era nevralgica per i garibaldini
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