Fu Mihajlo che spinse Sejdov ad entrare in contatto con i partigiani

Trieste, quartiere di Opicina: Chiesa Parrocchiale – Fonte: Wikipedia
Trieste: Via Carlo Ghega – Fonte: Mapio.net

Il 2 aprile 1944 una bomba esplode al cinema di Opicina, sobborgo di Trieste: muoiono 7 soldati tedeschi. La mattina seguente 71 persone, prelevate dalle carceri giudiziarie di via Coroneo, vengono fucilate per rappresaglia presso il poligono della frazione stessa. Il 22 aprile 1944 una bomba scoppia al Deutsches Soldatenheim, presso il palazzo Rittmeyer in via Ghega: 5 soldati tedeschi rimangono uccisi. I tedeschi il giorno seguente giustiziano 51 persone, anche queste prelevate al Coroneo.
Il 29 maggio a Prosecco, sempre nei dintorni di Trieste, viene attaccato un reparto della Todt: tre carabinieri perdono la vita. La procedura è sempre la stessa: prelevati 10 prigionieri dal Coroneo, questi vengono fucilati alla presenza della folla ammutolita. Assieme ai 10 prelevati al Coroneo viene giustiziato anche un undicesimo giovane fermato a Prosecco.
Sulle modalità e i particolari di questi attentati antinazisti commessi a Trieste e nel territorio del Carso non si seppe nulla per molto tempo. Circolarono solo i nomi di due azeri quali attentatori, tra le fila dei partigiani sloveni fin dai giorni immediatamente seguenti ai fatti, ma nulla di più <56. I nomi di Mirdamat Sejdov (nome di battaglia Ivan Ruskj) e Methi Husein Zade (nome di battaglia Mihajlo) furono però resi pubblici per la prima volta nel 1970 dal quotidiano sloveno «Primorski Dnevnik» <57. La svolta su tali vicende si ha grazie al ritrovamento a Baku, capitale dell’Azerbaigian, da parte della storica triestina Marina Rossi di due romanzi che narrano le vicende della lotta partigiana nel litorale adriatico e riportano i particolari dei due attentati (Opicina e via Ghega).
Il primo libro si intitola «Su lontane rive», fu scritto nel 1954 in memoria di Mihajlo da Imram Kasimov e Husein Seidbelij. Il secondo romanzo è «Triglav, Triglav» di Syleimann Veljev, edito a Leningrado nel 1966 dal Ministero della difesa dell’URSS e stampato in 70 mila copie. La stessa Marina Rossi precisa che si tratta di memorie autobiografiche romanzate con finalità celebrative e propagandiste, legate al contesto storico e politico di quegli anni <58.
I due azeri facevano parte dei numerosi sovietici che parteciparono alla lotta di liberazione nel Litorale Adriatico. Si trattava per lo più di alcuni contingenti di militari sovietici, integrati nella Wehrmacht come collaborazionisti, che tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944 disertarono per entrare nelle formazioni partigiane slovene. Questi uomini furono inseriti per lo più nelle unità slovene del IX Korpus della IV Armata dell’esercito jugoslavo di liberazione. <59
Racconta le sue vicende lo stesso partigiano Ivan Ruski: “Il giorno dello scoppio della seconda guerra mondiale, diciassettenne, mi diplomai all’Istituto tecnico di medicina a Kirovod. In agosto fui arruolato nell’Armata rossa. […]. Ero a capo del servizio sanitario del 677, reparto speciale di artiglieria della 308a divisione di artiglieria pesante. Nella difesa di Sebastianopoli fui ferito alla testa, alla gamba e al braccio. Il 4 luglio 1943 i tedeschi occuparono la città e io fui fatto prigioniero. Dapprima fui mandato in numerosi campi d’internamento dell’Ucraina occupata e alla fine in Germania”. <60
Ruski entrò a far parte, come molti altri suoi connazionali caucasici, nelle unità collaborazioniste della Wehrmacht come interprete. Essendo nato a Jelendorf, una colonia tedesca, conosceva bene il tedesco e ciò gli fu utile durante tutta la guerra. Fu integrato in un reparto della Todt e trasferito nel Litorale Adriatico. «Nella caserma di Banne [si trova a Opicina] si insediò un battaglione di lavoro misto composto da tedeschi e da collaborazionisti caucasici dove io facevo l’interprete. I partigiani facevano azioni di sabotaggio e il compito del battaglione di lavoro era quello di ricostruire ciò che era stato danneggiato» <61.
Mihajlo, anche lui inquadrato nelle unità della Wehrmacht, lavorava come interprete in uno dei comandi tedeschi di Opicina, e fu lui che spinse Sejdov ad entrare in contatto con i partigiani <62.
La voglia di scappare tra i sovietici era forte, non intendevano più collaborare con i nazisti.
I sentimenti di Seidov in quei giorni passati a Opicina sono contrastanti. Lui ex sovietico ed ora con i tedeschi guarda con interesse il movimento resistenziale sloveno: «Io avevo addosso la divisa della Wehrmacht e parlavo il tedesco, ma provai un certo piacere a vedere sui muri del Carso, vicino a Trieste le scritte: “W Stalin” e “W Tito”» <63. La maggior parte di noi aveva un solo desiderio, unirci ai partigiani. Eravamo giovani, volevamo sopravvivere e tornare a casa. In caserma eravamo organizzati in un gruppo antifascista clandestino e aspettavamo soltanto l’occasione propizia per darci alla fuga. Quando arrivai a Monfalcone tentai di mettermi in contatto coi partigiani ma senza successo. […] A Opicina sentii parlare lo sloveno e capii che era arrivato il momento giusto» <64.
La lingua «slava» fa emergere un legame tra questi ex sovietici e la popolazione slovena del litorale: «Quando seppi che il IX Korpus dell’esercito di liberazione jugoslava aveva diramato l’ordine per cui tutti dovevano avere un solo obiettivo comune: la lotta contro il nazismo, capii che dovevo stare dall’altra parte» <65.
Nel febbraio del 1944 con altri 16 compagni, Ruski scappò dalla sua caserma ed entrò nelle file partigiane, nella brigata Gradnik, ma nel marzo del 1944 assieme a Mihajlo, fu assegnato al Comando di difesa nazionale del litorale.
Sejdov divenne una figura importante all’interno del movimento della resistenza slovena: veniva da lontano, aveva militato da entrambi le parti e, particolare non certo ininfluente, era stato addestrato dalla Wehrmacht all’uso degli esplosivi che maneggiava meglio dei partigiani. Per gli attentati dunque il IX Korpus pensò immediatamente a lui e al suo concittadino Mehti, più istruito, combattente di valore e intellettuale. I due diventarono presto due esperti sabotatori <66.

Trieste, quartiere di Prosecco – Fonte: Mapio.net

Poco tempo dopo gli attentati, le strade dei due compagni si divisero, Mihajlo fu trasferito nella zona di Gorizia, mentre Raski rimase sul Carso. Nell’autunno del 1944 questi veniva sorpreso dai tedeschi a Gabrovizza e arrestato. Fu portato a Prosecco, poi alle carceri del Coroneo ed in fine in piazza Oberdan al comando delle SS e della Gestapo. I nazisti non capirono chi avevano catturato e lo deportarono a Dachau ove rimase sino alla liberazione. A salvarlo, secondo il suo parere, fu il fatto di essersi dichiarato uno sloveno triestino. Una volta liberato tornò a Trieste nel maggio del 1945, per ritornare definitivamente nella sua terra natale soltanto nell’ottobre del 1945.

Vipacco (Slovenia) – Fonte: Wikipedia

Mihajlo non ebbe la stessa fortuna. Nel novembre del 1944 fu ucciso in una imboscata tedesca nella zona di Vipacco <67.
Gli attentati a Opicina e a Trieste non furono gli unici di Raski: «Ho fallito un attentato al Gauleiter Rainer. Ho anche progettato, senza portare a termine, altre esplosioni alla stazione di Opicina, in un altro cinema per tedeschi a Sesana oltre a sabotaggi di linee elettriche» <68.

Triglav – Fonte: http://www.soca-valley.com

[NOTE]
54 C. Gentile, La repressione antipartigiana tedesca cit., p. 187; cfr.: G. Fulvetti, Le guerre ai civili in toscana cit.; Collotti – Matta, Rappresaglie, stragi, eccidi cit.

55 ivi, p. 188.
56 S. Maranzana, Passaggio a nord est, Trieste 2001, p. 23. Sui due attentati ha lavorato lo storico Diego Bin nella sua tesi di Laurea all’Università di Trieste, dal titolo: Un aprile dimenticato. Le stragi tedesche del 1944 a Trieste, relatore prof. Anna Maria Vinci, Trieste aa. 2005-2006.
57 La verità in due romanzi scoperti in Russia, in «Il Piccolo» 18.2.1998. Le informazioni biografiche sui due partigiani, e i racconti sui due attentati sono raccolti in due interviste a Mirdamat Sejdov. Il primo testo è un resoconto del 1985 (Seidov torna a Trieste due volte dopo la guerra, nel 1963 e nel 1985) rilasciato alla partigiana di Opicina Slava Cebulec, in Ivan Ruski, in 1944-2004. Dnevi Spomina. I giorni del ricordo. Opicine-Opicina, periodico sociale «Glasnik», Opicina 2004, p. 25. La seconda è l’intervista che Mirdamat Sejdov ha rilasciato al giornalista de «Il Piccolo» di Trieste Silvio Maranzana nel 2001, grazie all’intermediazione della storica Marina Rossi, che ha svolto anche il ruolo di interprete dal russo. L’intervista, protratta per cinque giorni a Baku la capitale dell’Azerbaigian. Il resoconto è stato pubblicato in S. Maranzana, Le armi per Trieste italiana, Trieste 2003, p. 213-244.; cfr. M. Rossi, Soldati sovietici nelle formazioni partigiane del Friuli – Venezia Giulia, in A. Ventura (a cura di), La società veneta dalla Resistenza alla Repubblica cit., pp. 247-270. Un riassunto si trova in un articolo dello stesso Maranzana dal titolo “Io ho fatto saltar per aria i nazisti a Trieste”, «Il Piccolo» 3.3.2001.
58 La verità in due romanzi cit.
59 Le unità dove furono inseriti questi sovietici sono le Brigate Kosovel, Gregorcic e Basovizza. Per approfondire tali questioni cfr.: M. Rossi, I partigiani sovietici cit.
60 Ivan Ruski cit., p. 25.
61 S. Maranzana, Le armi per Trieste italiana, Trieste 2003, p. 217.
62 Secondo Ivan Raski lavorava al comando di Opicina nel servizio di controspionaggio. I due si sarebbero conosciuti al corso di interpreti. La presenza di Mihajlo a Opicina è confermata anche dalla testimonianza della partigiana Slava Cebulec (Katra) che racconta come entrò in contatto con le organizzazioni partigiane locali, in M. Rossi, I partigiani sovietici cit. p. 96.
63 S. Maranzana, Le armi cit., p. 216.
64 Ivan Ruski cit., p. 25.
65 S. Maranzana, Le armi cit., p. 217.
66 ivi. Nel 1956 il Governo jugoslavo conferirà a Sejdov l’ordine di terzo grado di combattente per la libertà.
67 Così Seidov racconta la fine di Mihajlo: «Il primo novembre del 1944, Mihjlo e altri partigiani si rifugiarono in una casa nella valle di Vipacco. La padrona stava preparando la polenta e tirò fuori una damigianetta di vino. Allora si sparse la voce che erano arrivati i tedeschi. “Scappate nel bosco”, disse la donna. Ma il gruppo preferì nascondersi nella stalla, che però ben presto fu circondata. Mihajlo cercò di uscire e scappare. Venne colpito e rimase ucciso sul colpo. La sua tomba si trova a Cepovanj, nella valle del Vipacco, dove una lapide lo ricorda così: «Dormi, nostro amato Methi, glorioso figlio del popolo dell’Azerbaigian! Il tuo sacrificio in nome della libertà resterà impresso sempre nel cuore dei tuoi amici». Il 19 aprile 1957 sulla «Pravda» si legge la notizia che Mehti Husein Zade, nome di battaglia Mihjlo, era stato nominato “eroe dell’Unione Sovietica”. Una sua statua campeggia ancora oggi in una delle piazza di Baku. Su tali questioni cfr.: M. Rossi, I partigiani sovietici, cit.; S. Maranzana, Le armi cit., pp. 222-223.

Francobollo azero dedicato a Methi Husein Zade


68 Io ho fatto saltare cit.
Giorgio Liuzzi, La politica di repressione tedesca nel Litorale Adriatico (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2004

mht2

Ci furono anche azerbaigiani che combatterono al fianco dei tedeschi?
Sì, ci furono anche dei collaborazionisti, ma in genere si trattava di reparti reclutati con mezzi coercitivi dai nazisti e che dunque non erano affatto leali. Basti pensare alla strage di Monti di Nese, in provincia di Bergamo, dove nell’aprile del 1945 i fascisti uccisero 120 azerbaigiani, che volevano disertare e raggiungere i partigiani.
Chi è Mikhailo?
Mikhailo è il nome di battaglia di Mehdi Hüseynzade. È probabilmente il più noto dei partigiani azerbaigiani. Era un uomo poliedrico, un artista e un poliglotta. Parlava correntemente tedesco, francese, spagnolo, italiano e sloveno, oltre ovviamente alla lingua materna e al russo. Prese parte alla guerra partigiana nella regione di Trieste e in Slovenia, distinguendosi per coraggio e dedizione. In tutto furono circa 40.000 i cittadini sovietici attivi nella resistenza in Europa e Mikhailo fu il primo a essere decorato con la massima onorificenza dell’Urss: il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica, che ricevette post mortem nel 1957 […]
Giordano Merlicco, 25 aprile. Non dimentichiamo il coraggio di Mikhailo, il partigiano azero Mehdi Hüseynzade, e dei suoi compagni (Intervista a Ilham Abbasov), Faro di Roma, 25 aprile 2021

Informazioni su adrianomaini

Pensionato di Bordighera (IM)
Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento