Spie e provocatori tra gli antifascisti esuli in Francia

Il più frequentemente citato nelle storie dell’antifascismo tra i libelli denigratori dei fuorusciti prodotti in periodo fascista dai propagandisti di regime, è il volumetto di Pietro Maria Bardi 15 giorni a Parigi tra i fuorusciti, pubblicato nel 1932, anno X dell’era fascista <76. Eppure trattasi, al di là di ogni considerazione politico-ideologica, di una alquanto modesta, sia per quanto concerne i contenuti che per quanto attiene alla cifra stilistica, realizzazione giornalistica consistente nella raccolta in volume di una serie di corrispondenze uscite l’anno precedente ne “L’Ambrosiano” di Milano.
Bardi, che l’anno successivo avrebbe realizzato un altro resoconto di viaggio, questa volta in Urss <77, ancor prima di iniziare la sua “ricognizione” tra i fuorusciti a Parigi, ha maturato precise convinzioni sugli stessi: l’antifascismo è difatti per lui “un agglomerato di scontenti settari […] che si disprezzano uno con l’altro” <78. I personaggi più in vista si considerano tutti dei capi; a costituire i gregari “sono nuclei sparsi qua e là per Parigi, formati da illusi e da qualche canaglia, i quali ispirano più pietà che disprezzo […]”, e che in ogni caso rappresentano “particella trascurabile in confronto della massa italiana, operosa, amata e cara a tutta la Francia” <79.
Tutto ciò che segue dovrebbe servire a documentare e motivare l’assunto iniziale. Ma Bardi non ha la vocazione del reporter d’assalto. Neppur prova infatti a entrare in contatto con gli ambienti del fuoruscitismo militante. Li spia prudentemente da lontano, come quando, recatosi a n. 103 di Faubourg Saint Denis in cui è ubicata la sede della Concentrazione antifascista, osserva attentamente la strada, esamina i molto popolari negozi di generi alimentari che vi si aprono, si dilunga sulle carenti condizioni igieniche, ironizza sulla carta dei giornali antifascisti utilizzati dai bottegai dei dintorni per avvolgere il pesce o le banane, ma la sua visita alla sede della Concentrazione, motivata con l’acquisto di un libro, si limita a una fugace sbirciata a una stanza dove vi sono alcuni tavoli, un paio di macchine da scrivere, un ciclostile e un busto in gesso di Matteotti <80.
Bardi evita accuratamente di ricercare contatti non solo con i “capi” ma anche con semplici iscritti alle organizzazioni antifasciste. Così le sue giornate parigine si risolvono in incontri insignificanti con personaggi di nessuna rilevanza. Bardi si guarda bene dal frequentare locali noti per l’assidua frequentazione dei fuorusciti quali ad esempio il ristorante Firenze o la birreria Chope de Strasburg. Si reca invece per giustificare la sua missione tra i fuorusciti in botteghe artigiane o locali pubblici che egli presume gestiti da fuorusciti in ragione del fatto che la loro pubblicità appare su giornali antifascisti. Così si reca al Salone di barbiere per uomini Maison Gelli, intrattenendosi con il loquace titolare in una discussione particolarmente insulsa <81, per poi gustare presso il Caffè-Ristorante Franco-Italiano Bordini ottime tagliatelle alla bolognese innaffiate da generosi vini piemontesi <82. E tra una puntata dal barbiere e un piatto di tortellini, incontri con improbabili anarchici <83 e con un non meglio identificato ex ferroviere “rosso” passato a fare il tipografo <84.
Dall’insieme degli incontri avuti e delle esperienze maturate Bardi esce riconfermato nella sua idea che i fuorusciti sono personaggi insignificanti che si riducono a fare quattro chiacchiere in trattoria, a giocare a carte, a leggere i giornali. Unica variante quando “ogni tanto illusi e canaglie si mettono d’accordo per passare le frontiere italiane, in combutta con i nemici della Patria Fascista, per lanciare qualche petardo, o per portare qualche baule a doppio fondo ricolmo di manifestini rossi” <85
Dopo cotanto fruttuosi incontri e acute conversazioni politiche, a conclusione del suo soggiorno nella capitale francese a Bardi non resta che tirare le conclusioni, per altro perfettamente in linea con gli enunciati iniziali. “Ho la convinzione che a Parigi il gruppo dei fuorusciti sia grandemente ignorato ed isolato. […] La colonia italiana è una massa d’intelligenti e laboriosi operai, di professionisti e di artisti di rinomanza, ed i francesi non possono certo confonderla con uno sparuto gruppo di perditempo, di piccoli parassiti, di vigliacchetti fuggiaschi […]. L’azione delittuosa dei fuorusciti non ha un peso sull’opinione pubblica francese. Può darsi che una canaglia dello stampo di Sforza o di Nitti, in conseguenza delle cariche ricoperte al loro nefasto tempo e delle relazioni allora intraprese, possa determinare degli “stati d’animo” particolari e letichini. Ma faremmo torto a noi stessi e al Fascismo se ci interessassimo soverchiamente di questi piagnoni. Il tempo ha già decimato la baldanza dei fuorusciti, con quei colpi di maglio che solo il tempo sa assestare” <86.
E così il fuoruscitismo è dall’inviato speciale de “L’Ambrosiano” bello e liquidato.
[NOTE]
76 Pietro Maria Bardi 15 giorni a Parigi tra i fuorusciti, Istituto editoriale nazionale, Milano anno X-1932.
77 Pietro Maria Bardi, Un fascista nel paese dei soviet, Le edizioni d’Italia, Roma anno XI-1933.
78 Pietro Maria Bardi 15 giorni a Parigi tra i fuorusciti, cit., p. 12.
79 Ivi, p. 13.
80 Ivi, pp. 23-24.
81 Ivi, pp. 44 sgg.
82 Ivi, pp. 61-66.
83 Ivi, pp. 27 sgg.
84 Ivi, pp. 77 sgg.
85 Ivi, p. 75.
86 Ivi, p. 122.
Santi Fedele, Le memorie “altre” dell’esilio antifascista: “ravveduti”, agenti provocatori, libellisti di regime, HUMANITIES – Anno X, Numero 20, Dicembre 2021

La mostra del MIAR si tenne a Roma nella galleria d’arte di Pier Maria Bardi, affiliata al sindacato fascista di Belle Arti. Mussolini fu invitato a visitarla il giorno prima dell’inaugurazione. La «Tavola degli orrori» rinfocolò gli attacchi al modernismo: il sindacato degli architetti fascisti censurò il MIAR per irriverenza, e minacciò di espellerne i membri; subito dopo la polemica contro il razionalismo, che Piacentini dichiarò estraneo al fascismo, dilagò violentemente sui giornali. In primavera Farinacci e Ojetti parlarono di «infezione francese» e di «monopolio delle mostre estere detenuto dal Novecento», mentre Bardi e Sarfatti reagirono dichiarando che le accuse dei reazionari celavano rancori e gelosie personali e andavano oltre l’arte e l’estetica, toccando questioni di onestà e morale (si veda Bossaglia, cit., pp. 42-46). In autunno il MIAR fu sciolto.
[…] Ammiratore e sostenitore del «Novecento» sin dalle origini del movimento, amico di Margherita Sarfatti e di Mario Sironi, Terragni aveva fatto parte del MIAR e aveva sostenuto Pier Maria Bardi e Massimo Bontempelli all’atto della fondazione della rivista «Quadrante»: com’è facile immaginare, si attirò ben presto e in numerose occasioni le critiche feroci degli architetti «accademici», in particolare quelle di Marcello Piacentini. Qualche anno più tardi rispetto alla presentazione del piano regolatore, a Terragni sarebbe stata duramente contestata – e questa volta persino da razionalisti come Pagano e Persico – anche la celebre Casa del Fascio di Como (ultimata nel 1936), che oggi è invece considerata il suo capolavoro. A proposito di Giuseppe Terragni, del CM8 e delle critiche mosse al piano regolatore e al razionalismo si vedano: Giuseppe Terragni (1904-1943), catalogo della mostra itinerante organizzata dal Comune di Como, a cura di Mario Fosso ed Enrico Mantero, Como, Cesare Nani, 1982 e Giuseppe Terragni (1904-1943). Opera completa, a cura di Giorgio Ciucci, Milano, Electa, 2005.
Lucilla Lijoi, Il sognatore sveglio. Alberto Savinio 1933-1943, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2019

Mancano notizie circa la sua attività [n.d.r.: di Gino Piastra] durante il primo anno di governo di Mussolini; dobbiamo immaginare che gli fosse insopportabile il nuovo contesto culturale o che temesse per la sua incolumità, dato che la violenza fascista era tutt’altro che cessata. Sta di fatto che, espatriato, lo ritroviamo a Parigi nel novembre del 1923. La capitale francese è notoriamente un centro di vitale importanza per i compatrioti fuorusciti, e qui Gino Piastra trova già una piccola comunità di esuli politici italiani <118.
[…] Rimpatriato, nei mesi estivi si dedica alla stesura del suo primo libro, il già più volte citato “Memorie di un illuso: la truffa rivoluzionaria e quella neogaribaldina”. Questo testo è fondamentale, non solo come fonte informativa sugli avvenimenti di cui il Piastra è stato protagonista o spettatore, ma soprattutto perché ne riporta il punto di vista soggettivo, consentendoci di delineare qualche tratto del complesso profilo psicologico dello stesso. Riportiamo qui di seguito due passi tratti dalla prefazione datata 25 settembre 1925: «La presente pubblicazione non è che una scaramuccia della battaglia che intendo iniziare. Vi sarà qualcuno che al suo apparire si metterà a strillare. Non me ne importa. Non mancherà certamente anche chi mi farà rimprovero di aver fornito, con questo libro, materia che potrà servire a qualche fazione contro altre. Non posso farci niente». Il libro risente di un’ampia eco, dato che smaschera senza alcuna reticenza l’inconcludenza della cospirazione neo-garibaldina. Attorno alla metà di novembre dello stesso anno infatti, proprio grazie a questa pubblicazione, la cospirazione diventa fatto di pubblico dominio di cui scrivono moltissimi quotidiani <124. Anche grazie al romanzo di Piastra, la stampa, ormai addomesticata dal regime, collega il complotto parigino con il mancato attentato a Mussolini del precedente 4 novembre <125. In virtù di questo collegamento il Piastra è convocato a testimoniare al processo contro Zaniboni <126. La pubblicazione quindi gioca tutta a vantaggio della propaganda fascista, in un momento in cui il nascente regime sta accelerando la sua svolta autoritaria. Alcuni articoli pubblicati nel ’25 e nel ’26 su piccole testate locali dell’Italia settentrionale lasciano pochi dubbi circa la collaborazione di Gino Piastra alla propaganda fascista <127. Si può escludere senza dubbi l’adesione sincera di Piastra al fascismo, ma resta ignoto quale possa essere stata la contropartita di questo servizio reso al nuovo regime. È dunque quasi sicuro che Gino Piastra, nel pubblicare questi scritti, abbia agito consapevolmente nell’interesse del nuovo regime; quale sia stata la motivazione intima non credo sia possibile saperlo con certezza. Ovvia conseguenza della pubblicazione delle Memorie di un illuso è la definitiva cessazione di ogni rapporto dell’autore con gli ambienti antifascisti italiani ed esuli. Si spiegano quindi così i severi giudizi espressi verso la sua figura da diversi rappresentanti del mondo antifascista <128.
Per lui inizia una nuova vita compatibile con la sua nuova condizione di emarginato politico; sulla scorta del suo primo successo si dedica quindi alla scrittura. Nel giro di un anno pubblica un volume dal titolo “Figure e Figuri della Superba” <129, un pungente affondo a molti personaggi più o meno illustri della classe dirigente genovese; nell’introduzione scrive: «Sono povero, indipendente e libero; nessuno mi stipendia o mi sovvenziona, ed il pane me lo guadagno da solo con la mia penna […] non mancherò di mettere in istato d’accusa certi fiancheggiatori del Fascismo i quali ieri come oggi e come domani, sono stati e sempre saranno la razza più infida e losca della politica italiana. […] In tutti i casi sarò al mio posto per assumere a viso aperto ogni responsabilità provocata dalle mie affermazioni».
Il volume riscuote un discreto successo nell’ambito locale, tanto che la prima tiratura di 1500 copie va esaurita in 22 giorni; se ne ha dunque una seconda edizione dopo meno di un mese <130. Lascia perplessi l’autonomia di espressione consentita a Piastra dal regime. Senza dubbio il servizio reso al regime con le “Memorie di un illuso” e con la testimonianza nell’ambito del processo Zaniboni inducono i censori a lasciargli un poco di libertà <131. La tolleranza è forse da attribuirsi in parte alla indiscriminata vis polemica con cui l’autore attacca tanto i fascisti quanto gli antifascisti, astenendosi prudentemente dall’attaccare il Fascismo inteso come regime o ideologia. Un altro motivo è che egli gode probabilmente della protezione di una persona influente.
[…] È inevitabile, ed è accaduto anche a chi scrive; per completezza bisogna però ricordare che non sono emersi elementi probatori che al di là di ogni dubbio facciano di Gino Piastra una spia fascista. Di certo però la sua vicenda personale fu molto diversa da quella di alcune note spie dell’Ovra. Se Piastra fosse stato fascista, lo avrebbe probabilmente rivendicato uscendo allo scoperto; non risulta invece sia mai stato iscritto al Partito <133. Se fosse stato utile alla causa fascista sarebbe stato probabilmente sovvenzionato e, come nel caso di Giannini, il regime ne avrebbe maggiormente favorito l’attività editoriale e letteraria <134.
[NOTE]
118 Sul tema si veda in generale A. GAROSCI, Storia dei fuorusciti, Bari 1953.
124 SLSP, Archivio Piastra, 7/77-79, 9/11, 18, 30.
125 G. PIASTRA, Memorie cit., p. 228; Piastra segnala in questo passo l’ex onorevole Zaniboni come oratore in una riunione di cospiratori parigini insieme a Ricciotti Garibaldi, Alberto Meschi, Antonio Negro e altri.
126 Per la deposizione del Piastra si vedano il «Caffaro», il «Giornale di Genova» e il «Corriere della sera» del 15 aprile 1927.
127 Un caso particolarmente emblematico è quello del «Corriere padano», quotidiano politico ferrarese di evidentissima impostazione fascista, in cui sono pubblicati i seguenti articoli di Piastra: I protagonisti dell’antifascismo alla gogna. La colossale e grottesca truffa del Garibaldinismo in Francia. La tremenda documentazione personale di un congiurato, 11 novembre 1925; G. PIASTRA, I nuovi esperimenti dell’antifascismo all’estero: uno che sa, Ibidem, 14 gennaio 1926; ID., Le losche figure dell’antifascismo in Francia: Armando Borghi, Ibidem, 13 febbraio 1926; ID., Le losche figure dell’antifascismo in Francia: Alberto Meschi detto “Meschino” disertore di guerra, Ibidem, 24 febbraio 1926; ID., L’umiliante odissea della vile tribù dei fuorusciti, 5 marzo 1926.
128 V. sopra note 107 e 121.
129 G. PIASTRA, Figure e Figuri della Superba, Genova 1927.
130 Ibidem, prefazione alla seconda edizione.
131 Circa la deposizione al processo Zaniboni v. SLSP, Archivio Piastra, 7/77-97.
133 Emblematico è il caso di Ermanno Menapace, spia dell’Ovra, responsabile dell’arresto di Camillo Berneri avvenuto in Belgio nel dicembre 1929, e in seguito autore delle proprie memorie (E. MENAPACE, Tra i “fuorusciti”, s.l. 1930) in cui esce allo scoperto e racconta con dovizia di particolari come per lunghi mesi si sia finto antifascista.
134 La figura di Alberto Giannini presenta alcuni interessanti punti in comune con quella di Gino Piastra, non ultima l’assonanza del titolo Le memorie di un fesso con il noto scritto di Piastra. Tra i due rimane però un abisso; mentre il nostro è destinato a rimanere ai margini del panorama culturale, Giannini gode di ben maggiore fortuna, anche grazie a consistenti finanziamenti governativi. Dell’autore citato si vedano A. GIANNINI, Memorie di un fesso, Milano
1941; ID., Io, spia dell’Ovra… romanzo politico dal taccuino di un fesso, Roma [1946].
(a cura di) Stefano Gardini, L’Archivio di William Piastra. Inventario, Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s., XLIX/I (2009), pp. 57-261

“Sappi solo ch’è il cuore che mi detta, la Fede che mi guida, ch’è il Soldato, la Camicia Nera che scrive”. Con queste parole si presenta al lettore all’inizio del memoriale “Tra i fuorusciti” Ermanno Menapace, uno delle più abili spie e agenti provocatori di cui si avvalse durante il ventennio la polizia politica <66.
Nato nel 1899, Menapace si arruola a 17 anni in un corso allievi ufficiali piloti e ha il suo battesimo del fuoco nei cieli del Trentino. Ferito abbastanza gravemente, viene dimesso dall’ospedale in tempo per prendere parte ai combattimenti finali, così da sfilare da vincitore a Trento nei primi giorni di novembre del 191867. Smobilitato, si avvicina a Milano ai sindacalisti rivoluzionari e segue D’Annunzio a Fiume. Aderisce quindi al fascismo e prende parte alla marcia su Roma. Chiede ed ottiene di rientrare nell’esercito ma il riacutizzarsi delle vecchie ferite di guerra ne determina il transito nel ruolo civile del Ministero dell’Interno per essere successivamente instradato nella polizia segreta, che ne decide l’utilizzo nell’opera di spionaggio negli ambienti dell’emigrazione repubblicana, socialista e democratico-radicale che di lì a poco avrebbe dato vita alla Concentrazione antifascista.
[NOTE]
66 Ermanno Menapace, Tra i “fuorusciti”, Les imprimeres générales, Paris, s. d. [ma 1932].
67 Traiamo questa come le altre informazioni sulla vita di Menapace da quello che è di gran lunga lo studio più attento e documentato prodotto sulla figura dell’agente fascista: Antonio Orlando, Lo spionaggio fascista visto dall’interno: il caso Menapace, in “Sud contemporaneo”, 2007, nn. 1-2.
Santi Fedele, Le memorie “altre” dell’esilio antifascista: “ravveduti”, agenti provocatori, libellisti di regime, HUMANITIES – Anno X, Numero 20, Dicembre 2021

Con livore misto ad acre sarcasmo, Menapace paragona i suoi coimputati a bambinelli della scuola elementare che si accusano l’un l’altro di aver sottratto la merendina ad un compagno per poter farla franca e commenta – “Berneri…ha detto…è stato Menapace a darmi la cheddite da metter nell’aramadio di Cianca e Cianca…approva. Fra il finto scemo e il delinquente confesso è sempre più ammirabile il secondo. I fuoriusciti, invece, preferiscono passar per scemi o per vittime. Si può quindi sputare loro in faccia liberamente”. <111
Un diverso destino
Le conclusioni di Menapace, dopo questa, per lui, sfortunata “avventura”, vorrebbero far credere, che esista una sorta di ineluttabile coincidenza tra il suo destino e quello dei suoi odiati nemici.
– “Ripiglierò domani – scrive un po’ melodrammaticamente – la mia vita errabonda attraverso questa Europa che da mesi e mesi si dibatte in una delle più grandi tragedie che abbia mai colpito i popoli. Da Berlino a Vienna, da Amburgo ad Anversa, da Bruxelles a Liegi, da Parigi a Londra, da Praga a Varsavia, da Budapest a Belgrado, andrò ramingo… finchè…” <112
Identico il destino del suo acerrimo nemico: da quel momento fino allo scoppio della guerra spagnola, la vita di Berneri sarà una continua fuga da decreti di espulsione che lo colpivano in continuazione non appena veniva individuato in qualche paese. All’arresto seguiva un’espulsione e poi un nuovo arresto in una spirale che sembrava non dovesse avere mai fine.
La vita dell’“anarchico più espulso d’Europa” si concluderà tragicamente nel maggio del 1937 a Barcellona. Berneri, che è giunto in Spagna per combattere per la libertà e per la rivoluzione, verrà ucciso per mano di sicari stalinisti, dopo aver commemorato Antonio Gramsci.
Menapace, invece, il “vizietto” della provocazione non lo perderà mai. Tra il 1932 ed il 1934 lo ritroviamo a Roma impegnato in quella che sembra la sua attività preferita. Un certo Pietro Riva, confidente dell’O.V.R.A., in un memoriale redatto nel marzo del 1934, afferma <113: “Venni chiamato a Roma il 13 marzo 1933 ed allora venni messo subito in contatto con Menapace nello stesso ufficio del cav. Mambrini, a Palazzo del Viminale…Il cav. Mambrini uscì, lasciandomi per un quarto d’ora circa col Menapace che mi propose di nascondere in casa di Cianca Claudio, in Roma, degli opuscoli sovversivi e dei pacchi di esplosivi. Contemporaneamente il Menapace telefonò alla sede della società Luce (ad una certa “Lina”) di aver trovato l’elemento che faceva per loro”.
Esattamente vent’anni dopo, nell’Italia repubblicana, Pietro Nenni, leader socialista, ” …scoprì che uno dei più insidiosi mercenari del regime, Ermanno Menapace, tornato in attività manovrava per conto della polizia e di alcuni gruppi industriali al fine di preparare nuovi equilibri politici. L’agente segreto, agganciato Carlo Castagna, vecchio amico di Nenni, gli raccomandò di propiziare l’incontro tra il dirigente socialista e l’esponente democristiano Pella, presidente del Consiglio”. <114
Nenni è, a dir poco sbalordito ed immediatamente riferisce a Saragat (vice-presidente del Consiglio dei ministri) che incredibilmente risulta…”regolarmente in servizio agli Interni il tristemente famoso agente dell’OVRA Menapace”.
I frutti avvelenati dello spionaggio fascista, purtroppo, continuavano ad intossicare anche il nuovo Stato repubblicano.
[NOTE]
111 Ermanno MENAPACE, op. cit., pag. 127.
112 Ermanno MENAPACE, op.cit., pag. 134.
113 La Dichiarazione di Pietro Riva sui rapporti con i servizi spionistici è riportata integralmente in Mimmo FRANZINELLI, “I tentacoli…”, op. cit., pp. 572-575.
114 Mimmo FRANZINELLI, “I tentacoli…”, op.cit., pp. 476 ss.
Antonio Orlando, Lo spionaggio fascista visto dall’interno: il caso Menapace, “Sud contemporaneo”, 2007, nn. 1-2, lavoro qui ripreso dall’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea

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