Adam Kuckhoff sceglie di aderire al gruppo che si sta consolidando attorno alla figura di Arvid Harnack, la futura Rote Kapelle di Berlino

Come si è più volte ribadito, nel 1933, anno della “Machtergreifung” di Adolf Hitler, Adam Kuckhoff decide di partecipare attivamente alla Resistenza antifascista. Già membro della KPD [n.d.r.: Partito Comunista Tedesco] e fervente sostenitore di una politica a favore della classe operaia, a partire da questa data cruciale per la Germania e per l’Europa l’autore sceglie di aderire al gruppo che si sta consolidando attorno alla figura di Arvid Harnack, la futura Rote Kapelle di Berlino.
Adam Kuckhoff concretizza il proprio impegno etico e politico per mezzo della scrittura clandestina, lavorando in qualità di autore per la rivista clandestina “Die innere Front” e collaborando alla stesura dei volantini antifascisti firmati AGIS, una sigla che probabilmente si rifà alla parola Handlungsaufruf (“chiamata all’azione”) <497.
Nel 1938, durante una cena a casa di un produttore della casa cinematografica Tobis-Film, Kuckhoff entra in contatto con Libertas e Harro Schulze-Boysen <498, che aderiscono all’organizzazione in modo determinante a partire dallo stesso anno: sfruttando la propria rete di conoscenze a livello istituzionale, i coniugi trovano sostenitori nel Ministero dei Trasporti aerei (Reichsluftfahrtministerium). Inoltre, proprio la casa di Adam e Greta Kuckhoff, sita a Berlino in Wilhelmshöher Straße 18/19, ospita il primo apparecchio radio clandestino, volto a stabilire un ponte comunicativo con la spia sovietica Leopold Trepper <499.
La vita artistica del drammaturgo non subisce tuttavia una stasi: egli rimane attivo come autore e scrittore, pur dovendo rinunciare a manifestare pubblicamente la propria opposizione. Come indagato nell’analisi del dramma “Till Eulenspiegel”, la denuncia sociale e politica nei confronti del regime nazionalsocialista viene condotta in modo velato e indiretto, ricorrendo alla distanza storica, a strategie narrative e scelte tematiche volte a istituire un parallelo col presente. Le allusioni possono essere colte solo dallo spettatore o dal lettore attento, pronto a cogliere e accogliere il messaggio sovversivo.
[…] Anche nella vita da Resistente dell’autore, ovvero nella dimensione dell’impegno politico espresso in modo clandestino e anonimo mediante la scrittura, la parola assume un ruolo centrale e determinante. Adam Kuckhoff redige diversi manifesti assieme ai compagni dell’AGIS – tra cui John Sieg e Arvid Harnack. Uno, in particolare, viene scritto interamente dal drammaturgo e si intitola “An die Arbeiter der Stirn und Faust, nicht gegen Rußland zu kämpfen” (“A chi lavora con la mente e con le braccia: non fate guerra alla Russia”). Tale testo riprende l’espressione “Arbeiter der Stirn und Faust” ideata da Adolf Hitler sin dagli albori della sua carriera e usata ampiamente dalla propaganda nazionalsocialista per rivolgersi ai lavoratori impiegati in attività sia intellettuali che manuali <505.
L’invito promosso dall’organizzazione antifascista, pur impiegando il medesimo appellativo di matrice hitleriana, ribalta il significato del messaggio e invita l’interlocutore a difendere la Russia, definita «patria di tutti i lavoratori» (Heimat aller Werktätigen) <506. Poiché il volantino composto da Kuckhoff si diffonde rapidamente e su larga scala, nessuno della cerchia berlinese può conservarne una copia, con il fine di proteggere l’organizzazione e preservare l’anonimità dell’autore. A tutt’oggi non è ancora stato rinvenuto un esemplare del pieghevole che, di fatto, determina l’emissione della sentenza di condanna a morte di Adam Kuckhoff <507. L’autore, più volte torturato, viene condannato alla pena capitale proprio perché confessa di aver scritto quel volantino. La scrittura dissidente si conferma uno strumento di Resistenza e diffusione dell’istanza del “Widerstehen” con conseguenze pericolose e anche mortali.
Un solo testo dall’AGIS, scritto da Adam Kuckhoff e John Sieg, si è conservato fino a oggi. Esso fa parte della serie di missive fittizie Offene Briefe an die Ostfront (“Lettere aperte al fronte orientale”). Questa lettera è intitolata Folge 8. (“Ottava puntata”), dunque segue un ordine di pubblicazione ed è indirizzata a un capitano di polizia. Tale scritto, inedito in Italia, viene pubblicato per la prima volta nel 1941. Più di vent’anni dopo, la lettera viene inserita nel volume “Ein Stück Wirklichkeit mehr”, dedicato ad Adam Kuckhoff in occasione del venticinquesimo anniversario della sua morte nel 1968. Anche nel 1970 il testo viene rieditato nella pubblicazione “Adam Kuckhoff. Eine Auswahl”, curata dallo studioso Gerald Wiemers.
Folge 8. (“Ottava puntata”)
Il volantino intitolato “Folge 8” è l’ottavo di una serie di missive fittizie, indirizzate ai soldati tedeschi impegnati sul fronte orientale. La lettera veicola un preciso progetto propagandistico: avvincere il lettore alla causa dell’organizzazione antifascista, spronandolo a una presa di posizione contro il regime hitleriano. Al centro del messaggio, infatti, vi è la difesa della lotta partigiana intrapresa dai sovietici nonché la denuncia delle atrocità commesse dall’esercito nazionalsocialista.
La struttura della missiva presenta alcune caratteristiche della scrittura epistolare tradizionale, che confluiscono in quelle della lettera aperta, destinata alla pubblicazione e volta a stimolare una riflessione o suscitare una polemica. Essa si apre con l’indicazione del destinatario – un generico “capitano di polizia”, che tuttavia si rivela essere un personaggio dai contorni sempre più distinti e dunque conosciuto dal mittente da diverso tempo – e si conclude con una formula di commiato («Leben Sie wohl»). Il corpo della lettera è organizzato in paragrafi, ciascuno dei quali si distingue dal punto di vista contenutistico. Il seguente schema ne riassume il sistema argomentativo-contenutistico:

Lo scrivente non svela la propria identità ma dichiara apertamente il proprio intento politico ed etico, pur rimanendo una figura misteriosa. Egli si rivolge al destinatario ricorrendo alla forma di cortesia, mostra rispetto verso l’interlocutore e lascia altresì intuire un rapporto di conoscenza precedente alla stesura della lettera. Il messaggio viene trasmesso attraverso uno stile paratattico, dunque in modo diretto e conciso; il tono è spesso enfatico, a tratti persino provocatorio. I dialoghi vengono riportati tramite il “discorso diretto”, frequente è l’uso dell’imperativo con valore esortativo. Per quanto riguarda il tempo verbale, si distingue il ricorso al presente soprattutto in relazione al richiamo etico, mentre il ricorso al passato serve per riferire aneddoti o esempi storici quali spunti per una riflessione orientata alla storia contemporanea.
Sin dall’incipit la missiva presenta un’espressività schietta e immediata, che consente di stabilire un canale comunicativo nonché un contatto emotivo con il destinatario reale del testo – ovvero il lettore del volantino di propaganda:
“An einen Polizeihauptmann: Sie sind im Osten Hauptmann geworden, wie ich hörte. Haben Sie am Ende in Ihrem Polizeiverband, der die Partisanen bekämpft, sich irgendwie hervorgetan? Ich kann es nicht glauben! Sie gehören doch wirklich nicht zu jenen brutalen robusten Polizeibütteln, denen ohne alle Überlegung und Menschlichkeit die Fragen von Politik und Moral sich primitiv auflösen in Gepolter und Prügel. […] Würde ich Ihnen sonst schreiben, wenn ich nicht annähme, daß Sie die Fähigkeit und den Mut nicht verloren haben, dem Zwang des Gewissens zu folgen, wo es in Konflikt gerät mit einer so offensichtlich bestialischen „Pflicht“, wie es der befohlene Meuchelmord an der Sowjetbevölkerung ist?!” <508
La lettera aperta comincia con un’affermazione che mette a fuoco la figura del destinatario, non un capitano qualsiasi bensì qualcuno che lo scrivente conosce e di cui ha sentito parlare; qualcuno che si è particolarmente distinto al fronte, tanto da ottenere il titolo superiore di capitano. La domanda successiva vuole indagare il ruolo svolto dall’uomo nella lotta alla Resistenza partigiana, lasciando percepire il proprio biasimo. L’appello alla coscienza del militare tedesco viene porto con ironia, ricorrendo alla figura retorica della litote e sfruttando la natura dialettica della negazione. L’uso della domanda retorica per rivelare la ragione della missiva sostanzia un primo appello alla coscienza del destinatario-lettore: il mittente afferma infatti di aver scritto nel nome della capacità e del coraggio di seguire l’impulso morale, che confida siano ancora presenti nell’animo del destinatario («die Fähigkeit und den Mut nicht verloren haben, dem Zwang des Gewissens zu folgen»). Questo passaggio mostra quale sia il presupposto indispensabile per dare voce all’istanza del “Widerstehen”, ovvero la possibilità di trovare uno spiraglio di umanità nell’interlocutore, dunque la fiducia che questa possa attivarsi tramite la lettura. Nella sequenza successiva lo scrivente racconta di aver fatto visita all’ospedale statale dove alloggiano i combattenti rientrati dal fronte perché malati di nevrosi da guerra. Sono uomini affetti da disturbi psichici, che si manifestano in movimenti ripetuti meccanicamente, spasmi continui, tremolii: “Ich habe von den Kameraden viel Entsetzliches erfahren, die Ruhe im Zimmer war
trügerisch, die Furien wüteten darin. Flüsternd, mit aufgerissenen Augen, die von mir ein Wort erlösender Rechtfertigung erhofften, erzählte man mir von Massenerschießungen der Zivilbevölkerung in Rußland, von ausgesuchten Grausamkeiten, von Blut und Tränen ohne Maß, dem ultimativen Charakter der viehischen SS-Befehle, dem unfaßbaren Gleichmut hilfloser Opfer, ja, und natürlich vieles vom Kampf der Partisanen, was mich politisch und taktisch ungemein interessierte. Selbstverständlich habe ich keinem der Kranken ein Wort der Tröstung gesagt, da es ihnen eine Hilfe gewesen wäre in den grauen gepeinigten Dämmerstunden ihrer Abende; […]” <509
Sono uomini miseri, malati, reietti in congedo. Tuttavia, il mittente, pur definendoli “camerati”, dunque probabilmente suoi colleghi, si rifiuta di mostrare compassione nei loro confronti. Non deve loro nessuna parola di consolazione, nessuna assoluzione che potrebbe spronarli a raccontare con orgoglio le atrocità compiute. Questi soldati sono stati addestrati a ubbidire ciecamente a qualsiasi ordine e a uccidere decine di persone al giorno. L’autore in seguito li definisce “creature della pena capitale” (Hinrichtugskreaturen) ovvero feroci assassini, creature bestiali. Eppure, descrivendo i segni fisici delle nevrosi legate al trauma bellico, l’autore mostra la dimensione “banale” della loro malvagità.
Proprio come argomenterà vent’anni dopo Hannah Arendt allorché nel 1961 assiste in qualità di inviata del settimanale New Yorker al processo ad Adolf Eichmann <510, tenutosi a Gerusalemme.
[NOTE]
497 Si rimanda al capitolo 1 punto 1.1.3.
498 Greta Kuckhoff, Vom Rosenkranz zur Roten Kapelle, Berlino: Verlag Neues Leben, 1972, pp. 225-228.
499 Si rimanda alla nota numero 73 del capitolo 1 e al punto 4.3.
505 Cornelia Schmitz-Berning, Vokabular des Nationalsozialismus, cit., pp. 40-41.
506 Greta Kuckhoff, introduzione al volume Adam Kuckhoff zum Gedenken, cit., p. 17.
507 Ibidem.
508 «A un capitano di polizia: Lei è diventato capitano a Est, da quanto ho sentito. Nella Sua unità di polizia, che combatte i partigiani, è riuscito alla fine a distinguersi in qualche modo? Non posso crederci! Lei non appartiene a quegli sbirri robusti e brutali, che risolvono da primitivi le questioni di politica e di morale, sbraitando e picchiando. […] Altrimenti non Le scriverei, se non dovessi pensare che Lei non abbia perso la capacità e il coraggio di seguire l’impulso della coscienza, in cui si entra in conflitto con un “dovere” così evidentemente bestiale come è l’assassinio a tradimento della popolazione sovietica?!» John Sieg, Adam Kuckhoff, Offene Briefe an die Ostfront. 8. Folge, in Adam Kuckhoff, Ein Stück Wirklichkeit mehr, cit, p. 13.
509 «Sono venuto a sapere cose davvero tremende dai camerati, la quiete nella stanza era ingannevole, le furie si scatenavano lì dentro. Con gli occhi spalancati e speranzosi di una parola redentrice da parte mia, mi raccontarono bisbigliando delle fucilazioni di massa dei civili in Russia, di atrocità ricercate, di sangue e lacrime senza misura, del carattere definitivo degli ordini bestiali delle SS, dell’impassibilità inconcepibile delle vittime indifese e sì, naturalmente, molto a riguardo della lotta dei partigiani, che mi interessava immensamente sia dal punto di vista politico che tattico. Naturalmente non ho proferito nemmeno una parola di consolazione a nessuno dei malati, che sarebbe diventata un aiuto nelle tormentate ore crepuscolari delle loro sere; […]». Ibidem.
510 Otto Adolf Eichmann (1906-1962), paramilitare e funzionario tedesco col grado di SSObersturmbannführer ed esperto di questioni ebraiche, ebbe un ruolo centrale nella Endlösung der Judenfrage o «Soluzione finale della questione ebraica», organizzando il traffico ferroviario per la deportazione degli Ebrei verso i campi di concentramento. Sfuggito al processo di Norimberga del 1945-1946, egli visse in Argentina sotto il falso nome di Ricardo Klement, lavorando come allevatore di conigli. Catturato dal Mossad nel 1960 a Buenos Aires, Eichmann viene processato l’anno successivo e condannato a morte in Israele per genocidio e crimini contro l’umanità. Muore per impiccagione nel carcere di Ramla il 31 maggio 1962. Cfr. Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil, New York: The Viking Press, 1963.

Sara Di Alessandro, Das Andere Deutschland – Scrivere un’altra Germania. Soglie di Resistenza al nazionalsocialismo in Johannes Ilmari Auerbach, Falk Harnack, Adam Kuckhoff, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2015-2016

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