Quando la seconda guerra mondiale irruppe nel Frusinate

Figura 2.4 – Linee di difesa tedesca nel centro Italia. Mappa georeferenziata dalla carta militare presente nel volume di Gabriella Gribaudi (2005), dove vengono evidenziate le cinque linee difensive edificate dalle truppe tedesche in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943. Elaborazione dell’autrice con il supporto del ricercatore Davide Pavia e del Laboratorio geo-cartografico del Dipartimento di Lettere e Culture Moderne, Sapienza Università di Roma. Immagine e didascalia qui riprese da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

Frosinone e la sua provincia furono, in Italia, tra i territori più segnati dal passaggio della Seconda guerra mondiale. Sin dall’autunno del 1943, e per i nove mesi successivi, l’intera area venne infatti a trovarsi tra “due fuochi”, ovvero tra un durissimo regime di occupazione tedesco, con l’inevitabile corollario di requisizioni, repressioni e vere e proprie stragi, e l’incalzare dei bombardamenti degli anglo-americani, senza ovviamente dimenticare la pesante umiliazione dello stupro di massa da parte dei soldati vincitori, ultima prova di una guerra totale il cui scopo principale non era solo quello di vincere il nemico, ma di «punirlo e umiliarlo nella sua essenza più vulnerabile e indifesa, la donna» <11 (Battistelli 2010, 136).
Il verificarsi di così tante e tali violenze nella provincia era legato essenzialmente alla sua posizione strategica: larga parte del territorio Frusinate era infatti attraversato della famosa linea Gustav <12, uno dei principali sbarramenti fortificati nazisti, progettato dal feldmaresciallo Albert Kesselring nel corso della Campagna d’Italia (1943-1945) <13. Tale barriera – che si sviluppava da Formia ad Ortona, attraversando i fiumi Liri, Rapido e Gari, imperniandosi su Cassino e il massiccio degli Appennini centrali, per giungere poi sulla costa adriatica – aveva lo scopo di frenare l’avanzata degli eserciti alleati, i quali sin dal momento degli sbarchi in Sicilia (9-10 luglio), nelle Calabrie (3 settembre), nelle Puglie (9-13 settembre) e a Salerno (9 settembre) erano riusciti ad avanzare piuttosto velocemente, al punto da pianificare la liberazione di Roma, loro vero obiettivo, già nel Natale del 1943.
Questa facile avanzata, tuttavia, era stata loro concessa dai tedeschi nell’ambito di una più complessa valutazione di ordine tattico: prevedendo che il nemico potesse operare degli sbarchi anche nel nord della penisola e non disponendo di forze necessarie per la salvaguardia di tutto il territorio italiano, i comandanti nazisti decisero infatti di attuare una “difesa elastica” (Collotti 1996) imperniata sulla successione di diverse linee difensive <14 – rispettivamente, da sud a nord, la linea Viktor (o del Volturno), la linea Barbara, la linea Bernhard, la stessa linea Gustav e, infine, la linea Hitler (Fig. 2.4).
Nelle città del Frusinate l’occupazione tedesca scattò nel giorno dell’armistizio, l’8 settembre 1943, quando 15.000 soldati della Wermacht presero possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie e centri abitati, debellando, al contempo, un primo e mal riuscito tentativo di resistenza da parte del presidio militare di Frosinone (Parisella 1994). Da questo momento, le forze naziste misero in campo una strategia di sistematico sfruttamento delle risorse locali, che non si esauriva alla semplice distruzione e spoliazione del patrimonio industriale, ma implicava anche e soprattutto una «pretesa di controllo totale sulle risorse umane, vale a dire sulla vita, gli spostamenti e i corpi stessi delle persone» (Baris 2003, 6). Tale politica di controllo <15 prevedeva retate, esecuzioni sommarie e requisizioni dei beni, ma con il progressivo precipitare della situazione gli occupanti avrebbero perpetrato anche degli eccidi della popolazione inerme, come quelli avvenuti a Vallemaio e ad Arpino il 9 e il 29 maggio del 1944 (Gribaudi 2003).
Relativamente agli Alleati, la loro presenza sul territorio fu inizialmente limitata alle sole incursioni aeree <16, sia a danno di postazioni nemiche ed obiettivi militari – furono colpiti aeroporti, stazioni ferroviarie, strade, ponti e impianti industriali in cui si producevano esplosivi e armamenti, come quelli di Fontana Liri, Ceccano e Colleferro (Ilardi 1971) – sia contro gli stessi civili. La logica messa in atto dagli anglo-americani era infatti quella di “fare terra bruciata” (Portelli 1985) attorno alla presenza nemica, equiparando di fatto la società civile a un obiettivo militare. Queste azioni indiscriminate inevitabilmente lasciarono un segno negli abitanti e nella loro percezione della guerra: «i tedeschi da terra e gli alleati dall’alto ci vogliono distruggere: i primi ci impongono dipendenza al lavoro e alle leggi della guerra, i secondi ci bombardano […], Gli americani considerano i civili che restano tedeschi da sterminare» (ADN, Giovanni Di Raimo 1967). Bombardamenti come quelli dei centri abitati di Frosinone (11 settembre 1943), Ceccano (3 novembre 1943), Alatri (17 e 30 marzo 1944), Anagni (19 marzo 1944) e Vallecorsa (23 gennaio 1943; 15 marzo e 30 aprile 1944), sembravano infatti agli occhi delle comunità atti totalmente gratuiti e incomprensibili, entrando per la prima volta, con tutto il loro carico di distruzione, terrore e spaesamento, nella vita quotidiana delle persone.

Figura 2.5 – Maggio 1944, Vallecorsa. La strada raffigurata è via Roma. Il campanile sulla sinistra è quello della chiesa di Santa Maria, mentre sulla destra spiccano le rovine dell’abside della chiesa di Sant’Antonio. Fonte: Archivio DVAC, al sito http://www.dalvolturnoacassino.it/asp/n_main.asp. Immagine e didascalia qui riprese da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

Al riguardo, così scrisse nel suo diario don Alfredo Salunini, giovane seminarista originario di Vallecorsa che assistette, il 23 gennaio 1943, al bombardamento della propria città (Fig. 2.5): “Ci sorprese un rombo improvviso. Aerei, tanti aerei sbucarono dalla montagna, da dietro il sole […]. La gente mi correva incontro, urlando, a braccia allargate per mantenersi in equilibrio nella strada ingombra, e tutti erano grigi di polvere, figure di un solo colore. Non c’era modo di avere una risposta; pensavano solo a fuggire. Qualcuno, caduto, cercava di districarsi e invocava aiuto. Altri sopraggiungevano, lo urtavano, cadevano a loro volta, oppure, ritrovando l’equilibrio, si slanciavano in una fuga più precipitosa. Cadeva dall’alto un nuvolone di polvere grigia, che toglieva il respiro, bruciava gli occhi e rendeva ogni cosa irreale. Quelli in fuga erano ormai spettri urlanti […]. Affondai il piede in qualcosa di molle. Mi chinai, riuscii a intravedere una specie di tela di sacco, tastai la carne calda. Scansai delle pietre e tirai le stoffe, venne fuori la testa e poi il busto di una donna. Il viso era una maschera di polvere e sangue. Non mi ero mai trovato faccia a faccia con la morte […]. Camminando incominciai a rendermi conto di quello che succedeva intorno. Un clangore possente, fatto di grida e richiami, riempiva la vallata e rintronava negli echi di montagna. Uomini, donne, vecchi e bambini, con il volto stravolto dal terrore, si precipitavano dai viottoli e correvano per i campi come animali braccati. Nessuno faceva caso agli altri, forse neppure li vedeva” (Salunini 1991, 301-302).
Fu solo dopo la battaglia del Trigno (22 ottobre-5 dicembre) e lo sfondamento della linea Bernhard (7-17 dicembre), che gli eserciti alleati entrarono a contatto diretto con le fortificazioni della Gustav in due specifici versanti: ad est, verso Ortona, e più ad ovest, verso Cassino. Nel primo caso, la liberazione del porto adriatico avvenne in poco meno di un mese, dopo un’estenuante combattimento casa per casa, anche se per l’attraversamento del fronte nel resto del territorio abruzzese si dovettero attendere altri sei mesi, grazie ai risultati ottenuti, oltre che dagli eserciti alleati (in particolare, dai fanti canadesi del 22º reggimento Seaforth Highlanders e dall’VIII Armata Britannica), anche da gruppi partigiani molti attivi nella zona, come la Brigata Maiella (Felice 1994).

Figura 2.6 – Neve e freddo nell’inverno 1943-1944. La foto immortala delle truppe del CEF stanziate sul Monte Pantano, nel corso dell’offensiva di dicembre. Su questo aspro territorio, i soldati coloniali avranno modo di provare la loro abilità negli assalti montani. Fonte: Ministère des Armées -Chemins de mémoire, al sito http://www.cheminsdememoire.gouv.fr. Immagine e didascalia qui riprese da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

Per quanto riguardava, invece, il borgo laziale (Fig. 2.6) il disimpegno dell’area richiese più tempo, soprattutto a causa delle pessime condizioni meteorologiche di quell’inverno, che costrinsero gli Alleati a stanziarsi nel territorio fino al giugno del 1944.
[NOTE]
11 Per l’uomo in guerra, la donna strappata al nemico, violentata e schiavizzata è un pegno di cruciale importanza non solo in sé, per la “gratificazione” che può procurare, ma anche e soprattutto per le implicazioni sociali che il suo possesso riveste all’interno e all’esterno del gruppo (Flores 2010).
12 La realizzazione della linea Gustav vide occupati decine di genieri e migliaia di uomini dell’Organizzazione Todt, il famigerato ente ingegneristico tedesco, operante non solo in Germania ma in tutti i Paesi occupati dalla Wehrmacht. Tale forza lavoro venne impegnata, sin dal settembre del 1943, nella fortificazione di valli e crinali fra le coste adriatiche e quelle tirreniche, dapprima nella costruzione di bunker in cemento armato, ricoveri per le truppe e magazzini per le munizioni, e, successivamente, alla distruzione di strade, ferrovie, fabbriche e mezzi di trasporto allo scopo di rallentare il più possibile l’avanzata degli Alleati. Nei pressi di Cassino, le truppe tedesche arrivarono anche ad abbattere gli argini del fiume Rapido per impossibilitare l’uso dei mezzi corrazzati del nemico (Ronchetti, Ferrara 2014).
13 Dopo la destituzione e l’arresto di Mussolini, nel luglio del 1943, Adolf Hitler diede l’ordine di erigere più linee difensive con cui opporsi all’avanzata degli Alleati in Italia. Le due più importanti, poiché le sole continuative, furono la linea Gotica, che univa Massa e Carrara a Pesaro, e la linea Gustav, che copriva il territorio dalla foce del fiume Garigliano fino ad Ortona. Il mantenimento di queste aree venne affidato a due comandanti scelti tra i fedelissimi del Führer, vale a dire Erwin Rommel e Albert Kesselring. Al primo spettò l’area della costituenda Repubblica di Salò, al secondo l’Italia centro-meridionale.
14 La prima di queste, la linea Viktor (o del Volturno), si sviluppava quasi parallela al corso dei fiumi Volturno e Biferno fino a Termoli, e fu realizzata solo nella parte tirrenica. La linea Barbara andava da Mondragone a San Salvo, ma anche in questo caso l’ultima sezione non venne mai completata. La linea Bernhard (detta anche dai tedeschi linea Reinhard, o Winter Line per gli Alleati), partiva da Minturno per piegare su Mignano e Monte Camino fino a raggiungere Castel di Sangro e ricongiungersi alla linea Gustav attorno a Cassino, dove transitava la statale Casilina, diretta verso Roma. La linea Hitler, infine, era situata più a nord della Gustav. Iniziando dall’altura di Pizzo Corno, sulle pendici del monte Cairo, essa toccava il paese di Piedimonte, attraversava Aquino e Pontecorvo e terminava a Sant’Oliva, ed era concepita per presidiare l’intera valle del Liri in caso di cedimento della linea principale (Ronchetti, Ferrara 2014).
15 La principale richiesta tedesca riguardava la manodopera per completare e rafforzare il sistema di fortificazioni, tanto che già nel 20 settembre 1943 veniva ordinato alla popolazione maschile di presentarsi ai centri di reclutamento per il lavoro obbligatorio. Tuttavia, essendo riusciti ad ottenere soltanto 765 operai sui 6.960 previsti, i tedeschi diedero inizio a retate in città e a rastrellamenti nelle campagne. Durante queste rappresaglie, chiunque fosse stato scoperto in un nascondiglio o avesse tentato la fuga veniva ucciso sul posto (Baris 2003).
16 Per una esatta cronologia dei bombardamenti alleati nella provincia di Frosinone si rimanda al recente volume di Costantino Jadecola (1994; 2006).
Camilla Giantomasso, Memorie dimenticate lungo la linea Gustav. Questioni identitarie e proposte partecipative per la valorizzazione del territorio del Frusinate, Tesi di dottorato, Sapienza Università degli Studi di Roma, 2023

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Pensionato di Bordighera (IM)
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