Nella regione parigina le azioni vengono portate avanti dai resistenti fin dall’estate del 1940

Il 24 giugno fu firmato l’armistizio tra Francia e Germania, che consegnava alla diretta occupazione tedesca, insieme con Parigi e con le province Nord della Francia, tutte le essenziali zone agricole e minerarie, i porti atlantici. Aviazione e flotta dovevano essere smobilitate sotto controllo tedesco, l’intera zone libre veniva lasciata in sovranità alla Francia ma veniva a cadere anch’essa sotto l’ingerenza militare tedesca. La Francia di Pétain fu uno stato senza autonomia politica, uno stato vassallo della Germania hitleriana. Vichy, piccola città facilmente sorvegliabile a differenza di popolose città come Lione, Marsiglia o Tolosa, fu scelta come capitale della zona non occupata, divenne il simbolo di questa riduzione della Francia a stato coloniale. <183
[…] La polizia tedesca mostrò fin da subito di essere spietata nella sua repressione contro chi si opponeva al nuovo “padrone”, essa colpì non solo gli oppositori ma anche persone a loro vicine nonché civili innocenti in modo che fossero dissuasi dall’iniziare qualsiasi tipo di attività ostile agli occupanti. La tendenza a punire coloro che sono vicini ai presunti colpevoli diviene una regola per le autorità tedesche che in un’ordinanza emessa il 12 settembre 1940 prescrivono che: “(…) gli ostaggi garantiscono con la loro vita l’attitudine corretta della popolazione, la loro sorte è nelle mani dei compatrioti”. Tale ordinanza violava la Convenzione internazionale di Tokyo secondo la quale è proibito in qualsiasi caso la condanna a morte degli ostaggi. <185 La repressione nazista si attivò subito proprio perché in zona occupata fin dal giugno 1940 si manifestarono delle azioni di protesta contro la drammatica invasione tedesca.
[…] Nella regione parigina le azioni che vengono portate avanti dai “resistenti” fin dall’estate del 1940, sono dei sabotaggi ai cavi elettrici e alle linee telefoniche tedesche, attentati contro dei beni, ma anche rivolte e manifestazioni spontanee fino ad arrivare a degli scontri aperti contro i soldati tedeschi a partire dal 1941. Queste azioni si verificano oltreché nella capitale anche nelle zone del Nord-Ovest, e sono compiute da individui isolati spinti dalla delusione per la sconfitta francese nonché da gruppi che si vanno via via riorganizzando. Un’altra azione portata avanti dai resistenti fu quella delle manifestazioni pubbliche che permettevano l’esteriorizzazione di sentimenti di malcontento, di collera, di aggressività. Tale tipo di aperta propaganda offriva anche un’occasione a quelli che la praticavano di conoscersi, di incontrarsi e in seguito di ritrovarsi. Perché l’occupante risultasse fortemente impressionato occorreva che le manifestazioni fossero numerose. La prima manifestazione che suscitò un certo clamore fu quella degli studenti. Già mobilitati da alcune settimane, sfilarono in 6.000 nell’anniversario della Grande Guerra, l’11 novembre del 1940 sugli Champs-Elysées, nei pressi della Place de l’Etoile. <187
[…] Per i comunisti, a differenza di altri movimenti resistenziali, il sabotaggio contro la macchina da guerra tedesca deve interessare chiunque e deve avvenire in ogni momento. Ognuno nel suo ambiente deve passare all’azione, “lavorare significava produrre con coscienza del materiale difettoso”. <197 Il numero di sabotaggi, durante l’occupazione tedesca fu enorme, una buona parte furono effettuati dai tre gruppi comunisti raggruppati nell’Organisation Spéciale’, le OS francesi, direttamente collegate al PCF, gli OS che provenivano dagli stranieri legati al PCF tramite la MOI, le OS-MOI, e le giovani formazioni comuniste denominate dopo la guerra, Bataillons de la jeunesse. <198 In seguito i gruppi dell’OS sarebbero diventati i Franc-tireurs e partisans francesi, FTPF, e stranieri, FTP-MOI. Dalla fine del 1940 il partito inizia a creare questa organizzazione paramilitare, con la nascita dei primi gruppi de l’Organisation spécial (OS). Dal maggio del ’41 iniziarono a manifestare la loro presenza nella città di Parigi. Furono composti essenzialmente da militanti comunisti francesi e da ex-appartenenti alle Brigate Internazionali di Spagna, francesi e stranieri, che erano riusciti ad evitare i campi d’internamento.
[…] In seguito alla firma del Patto Molotov-Ribbentrop e all’interdizione del PCF furono sciolte anche tutte le organizzazioni affiliate alla III Internazionale, toccò quindi anche alla MOI, che riuniva la manodopera straniera legata al partito comunista francese, e che fu posta nell’impossibilità di agire.
Il suo principale responsabile, Allard Ceretti, fu inviato in Belgio dalla fine di agosto del ’39 per aiutate la direzione del PCF a costituire una sua struttura illegale. Nel 1939 molti militanti comunisti, fra cui numerosi stranieri, si arruolarono volontari nell’esercito francese o furono mobilitati. Sconfitta la Francia, iniziarono a ricostituirsi i diversi gruppi di lingua, forti del ritorno dal fronte di numerosi mobilitati. A fine luglio 1939 fu di ritorno a Parigi, Louis Gronowski, ebreo polacco comunista fuggito nel 1926 e in Francia dal 1929, responsabile della sezione ebraica della MOI negli anni ’30. In pochi giorni si rimise in contatto con i responsabili dei vari gruppi, con i polacchi, con gli italiani attraverso Severino Cavazzini, detto Ferrara, con gli yugoslavi e con gli ebrei. <201 Severino Cavazzini, rientrato nel dicembre 1939 a Parigi da Marsiglia, fu incaricato dal PCF di assicurare il collegamento con i Gruppi di lingua italiani, <202 fu attivo nel reclutamento di persone oltre che nella regione parigina anche nella regione della Mosella, <203 e poi dal gennaio 1942 gli italiani avrebbero fatto riferimento a Marino Mazzetti che venne spedito dal sud della Francia a Parigi. Dal mese di ottobre del 1940 la MOI riuscì a disporre nuovamente di una struttura abbastanza solida, la Direzione centrale (Commissione centrale) è affidata a: Louis Gronowski, incaricato di tenere i contatti con il PCF clandestino, dunque di curare l’aspetto politico dell’organizzazione; Jacques Kaminski, ebreo polacco della gioventù comunista emigrato in Francia all’età di 23 anni, nel 1930, incaricato di dirigere l’organizzazione; Artur London, ebreo comunista originario della Repubblica ceca, fu tra i volontari delle Brigate Internazionali nel 1937 e dalla Spagna raggiunse in seguito Parigi, è incaricato di occuparsi della propaganda. Uno dei principali lavori della MOI e dei partiti comunisti stranieri nei primissimi mesi dell’occupazione fu quello di liberare una parte dei loro quadri rinchiusi nei campi di concentramento della Francia sia per inviarli successivamente nei loro rispettivi paesi ad organizzare delle azioni sia per affidare loro delle responsabilità in Francia. Per ogni gruppo venne redatta una lista degli ex appartenenti alle Brigate internazionali e venenro chiesti per alcuni dei visti per emigrare in URSS. Dalla fine del 1940 le evasioni sia dai campi prigionieri che dai campi d’internamento si moltiplicarono per poter ricostituire le varie sezioni di lingua. Nei primi mesi la MOI fu poco operativa e ognuno dei tre responsabili della Direzione centrale diventò il supervisore di alcuni gruppi specifici: Gronowski seguì gli italiani, i polacchi e gli spagnoli, London i cechi, gli yugoslavi, i rumeni e gli ungheresi, Kaminski gli ebrei, i bulgari e gli armeni. <204 I tre membri della Direzione MOI si sarebbero incontrati molto poco fra di loro e avrebbero avuto contatti col partito solo attraverso un superiore, erano queste le regole di sicurezza per sopravvivere durante la clandestinità. Anche le varie sezioni di lingua non avrebbero avuto contatti fra di esse e avrebbero goduto di autonomia rispetto al partito francese, tuttavia al momento dello sviluppo della lotta armata, vi furono contatti con i francesi e la branche militare venne integrata al partito così come sarebbe avvenuto per il Servizio tedesco, Travail allemand, TA. Dal momento della ricostituzione della direzione centrale della MOI a Parigi, fu possibile procedere alla riorganizzazione nella clandestinità delle diverse sezioni di lingua: la prima che si costituisce è quella italiana nell’agosto del 1940, poi quella polacca, rumena, ungherese, spagnola che scelse di creare doppie strutture, una a nord e l’altra a sud della Francia, e quella cecoslovacca, che grazie ai suoi militanti originari dei Sudeti, rese importanti servizi al PCF. Con gli italiani il contatto avvenne tramite Giorgio Amendola trasferitosi a Marsiglia dai primi di giugno 1940, il quale indicò come come responsabile dei gruppi in Francia Marino Mazzetti. <205 Il centro estero del PCd’I, composto da Roasio, Novella e Massola, <206 riuscì a pubblicare fino dall’agosto del 1940 a Parigi, la “Parola degli Italiani”. Nel giornale, che ebbe un’uscita quindicinale, fu denunciata fortemente la lotta imperialista, le manovre del Consolato italiano a Parigi per attirare gli emigrati e favorire il loro ritorno in Italia, e si insistette molto sulla solidarietà con gli operai francesi, in un momento in cui l’occupante tedesco iniziava a favorire la manodopera italiana rispetto a quella francese. Il giornale, che volle essere soprattutto un foglio in difesa degli emigrati, soprattutto dopo l’armistizio tra Francia e Italia, insiste molto sulla solidarietà col popolo francese. <207 Negli articoli del giornale viene alla luce la contraddizione entro la quale si dibatterono i comunisti italiani: condurre la guerra ai nazisti insieme ai francesi e agli altri stranieri attraverso la MOI o il ritornare in Italia ad organizzare la lotta contro il regime fascista. <208 La maggior parte dei quadri comunisti italiani si trova a sud della Francia. La loro attività dal ’41 al ’44 si sviluppa in tre direzioni strettamente collegate: partecipazione alla lotta dei lavoratori francesi e alla resistenza, aiuto diretto all’azione del PCd’I in Italia, contributo al ristabilimento dell’unità tra i partiti antifascisti italiani. Il contatto con il PCF è tenuto tramite i Comitati della MOI delle due zone, il Comitato sud della MOI è guidato da Teresa Noce fino al suo arresto nel 1943 avvenuto a Parigi. <209 Riguardo alla direzione jugoslava della MOI, essa si ricostituì attorno all’autunno del ’40, quanto ai rifugiati tedeschi, in molti rinchiusi nei campi di lavoro di Saint-Cyprien da dove diversi militanti del KPD riuscirono ad evadere, rifiutarono fino al ’41 di inviare a Parigi, quindi in zona occupata, un responsabile del partito. Nei primi mesi il lavoro della MOI si concentra sulla questione ebraica, tant’è che la sezione MOI degli ebrei di Parigi rivestì un ruolo molto importante all’interno dell’organizzazione. La prima ordinanza da parte dei tedeschi di recensire gli ebrei in Francia è del 27 settembre 1940 <210: il mese successivo, 149.734 ebrei (di cui 85.664 di nazionalità francese e 64.070 stranieri) sono registrati nel dipartimento della Senna, ed a ciò fece seguito il loro arresto da parte della polizia francese e il loro internamento nei campi di Pithiviers e di Bauna-la-Rolande, nella zona del Loiret. Il PCF reagì diffondendo decine di migliaia di volantini intitolati “Brisons l’arme de l’antisemitisme! Unissonsnous!”. Alla vigilia dell’attacco all’URSS, l’essenziale delle strutture della MOI sono attive, la direzione nazionale come i vari gruppi di lingua. La struttura che adotta è come quella del PCF: sia il suo vertice che i gruppi di lingua sono organizzate da triangoli di direzione. <211
[NOTE]
183 A. Garosci, Storia della Francia moderna (1870-1946), op. cit., p. 283.
185 H. Michel, Paris résistant, Editions Albin Michel, Paris, 1982, p. 205.
187 J. Blanc, Au commencement de la résistance, Du côté du musée de l’homme 1940-1941, Paris, Éditions du Seuil, 2010, p. 52.
197 H. Michel, Paris résistant, op. cit., p. 160.
198 D. Peschanski, La confrontation radicale Résistants communistes parisiens vs Brigades spéciales, in F. Marcot e D. Musiedlak (a cura di), Les Résistances, miroir des régimes d’oppression. Allemagne, France, Italie, 2006, p. 7 actes du colloque international de Besançon organisé du 24 au 26 septembre 2003 par le Musée de la Résistance et de la Déportation de Besançon, l’Université de Franche-Comté et l’Université de Paris X, Besançon: Presses universitaires de Franche-Comté, 2006, p. 341.
201 S. Courtois, D. Peschanski, A. Rayski, op. cit., p. 85
202 S. Schiapparelli, op. cit., p. 167.
203 Sull’attività di Severino Cavazzini a Parigi dal 1940 al 1943, si veda nota n. 260.
204 S. Courtois, D. Peschanski, A. Rayski, op. cit., pp. 85-88.
205 Ivi, p. 100
206 Il Centro estero si trasferì poi nell’inverno 41-42 da Parigi a Marsiglia per affrettare un suo trasferimento in Italia che avvenne solo nei primi mesi del 1943. G. Amendola, Lettere a Milano, 1939-1945, op. cit., p. 24
207 Unità cogli operai francesi, La parola degli italiani, settembre 1920, n. 2. Per l’Amicizia franco-italiana contro lo smembramento della Francia, (Dialogo tra due operai italiani in Francia, La parola degli italiani, ottobre 1940, n. 6. Per un I maggio di lotta e solidarietà, La parola degli italiani, I maggio 1941, n. 19
208 La parola dei giovani italiani, ritornare in Italia, La parola degli italiani, dicembre 1940, n. 9. Dite ai nostri compagni, La parola degli italiani, gennaio 1941 n. 12 BDIC, Archive – Fonds France, II guerre mondiale, Émigration et immigration Périodiques.
209 G. Pajetta, L’emigrazione italiana e Pcf tra le due guerre, op. cit., pp. 157-158.
210 Il regime di Vichy si adoperò subito per una politica repressiva nei confronti degli ebrei, dei massoni (franc-maçon), dei comunisti e degli stranieri, l’argomentazione ufficiale si fondava sulla constatazione che la sconfitta della Francia era stata il frutto delle tare della III Repubblica. Il 22 luglio 1940, dodici giorni dopo il voto dei pieni poteri da parte dell’Assemblea nazionale al Maresciallo Pétain, viene creata una commissione incaricata di pronunciarsi sulle naturalizzazioni accordate con la legge liberale a partire dal 1927. Una legge emanata il 17 luglio ’40 impedì ai cittadini francesi, nati da padre straniero, di esercitare un impiego nell’amministrazione. Una legge adottata il 3 settembre 1940 permise l’internamento amministrativo, senza giudizio, di qualsiasi persona giudicata indesiderabile, e simultaneamente Vichy stabilì una legislazione che autorizzò le violente campagne xenofobe scatenate dalla stampa collaborazionista. Per fare fronte alla forte disoccupazione che colpisce la Francia in seguito alla sconfitta, il governo emana, il 27 settembre, una legge che permette di riunire in dei Gruppi di lavoratori stranieri (GTE), gli emigrati in soprannumero che non possono, per diverse ragioni, raggiungere i loro paesi d’origine. Successivamente, con l’autorizzazione di Vichy, essi vennero destinati a effettuare, per conto dell’occupante nazista, importanti lavori militari, come la costruzione del muro dell’Atlantico. Il 16 agosto ed il 10 settembre ’40 alcune leggi modificano l’accesso alle professioni mediche e negli uffici amministrativi, e vengono stabilite delle quote per gli ebrei. Il 27 agosto viene abrogato il decreto Marchandeau, del 21 aprile ’39, che reprimeva la diffamazione razziale. Il 27 settembre una prima ordinanza emanata dai tedeschi contro gli ebrei della zona occupata impone loro di registrarsi in prefettura, dove devono comunicare il loro indirizzo. Il 3 ottobre è il governo stesso di Vichy, senza alcune pressione tedesca, a promulgare lo “statuto degli ebrei” per la zona libera: dopo avere definito una “razza” ebraica, esclude gli ebrei da una serie di funzioni pubbliche e da alcune professioni liberali. All’indomani, un altro decreto autorizza i prefetti ad internare, senza condizioni, “i cittadini ebrei stranieri”. Il 18 ottobre 1940 i tedeschi impongono un’ordinanza sul censimento delle imprese ebraiche e intraprendono una “arianizzazione” a livello economico. Il governo di Vichy, per fare valere la propria sovranità sull’insieme del territorio francese, fece altrettanto e finì per istituire, il 29 marzo del ’41, una Commissione generale alle questioni ebraiche, incaricata di coordinare l’insieme delle misure antisemite del regime. S. Courtois, D. Peschanski, A. Rayski, op. cit., pp. 94-95.
211 B. Holban, op. cit., p. 84
Eva Pavone, Gli emigrati antifascisti italiani a Parigi, tra lotta di Liberazione e memoria della Resistenza, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2013

Anche l’adesione degli italiani alla resistenza francese è un fenomeno sul quale pesano enormemente non solo lo scarso livello dell’approfondimento storiografico ma anche i non sopiti residui ideologici. Non si può infatti trascurare, in primo luogo, che «lo studio del coinvolgimento degli italiani alla resistenza francese non è ancora uscito, se mai uscirà, dall’ambito in cui è stato racchiuso dalle memorie di alcuni personaggi e dalle fonti scritte e orali, tutte molto politicizzate» (Perona, 1994, p. 331). In secondo luogo non si può neppure dimenticare che nel valutare l’adesione degli italiani alla resistenza francese hanno pesato da un lato gli atteggiamenti anti-italiani da parte di un’opinione pubblica autoctona non dimentica del tradimento operato con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania e dall’altro, da parte degli antifascisti italiani e francesi, il bisogno di dare una «legittimazione» agli immigrati, enfatizzando la loro partecipazione all’evento e facilitandone così l’integrazione.
Si tratta di atteggiamenti che dal dopoguerra ad oggi sono stati influenzati anche dalla maggiore o minore accettazione degli italiani in Francia a seconda dei differenti momenti storici e a seconda della qualità dei rapporti italo-francesi (Teulières, 2003).
Stando tuttavia ai dati ricostruiti fin dal 1966 in un’inchiesta sui diversi dipartimenti metropolitani della Francia, gli italiani morti nei combattimenti furono circa 600 e circa 200 furono i deportati. I dipartimenti dove si registrarono più morti furono la Seine, le due Savoie, il Var, le Bouches-du-Rhône, le Alpi Marittime, l’Isère, il Drôme, la Vaucluse e la Moselle. Per i deportati risultarono più interessati i due dipartimenti alsaziani (Milza, 1993, p. 319). Nella zona compresa tra il Rodano e la frontiera alpina, inoltre, gli italiani combatterono sia contro i tedeschi e i collaborazionisti francesi, sia contro gli altri italiani (Milza e Peschanski, 1994; Perona, 1992; Teulières, 1997).
Allo stato attuale delle indagini, tuttavia, benché nel corso degli ultimi anni si registri in varie realtà francesi un incremento di studi, non si può non concludere ancora, condividendo quanto ha osservato a suo tempo Gianni Perona: «non molto si sa degli altri campi d’azione della resistenza nei quali gli italiani abbiano avuto una qualsiasi parte. Memorie e testimonianze attestano occasionalmente queste attività, ma non si hanno i materiali per un quadro d’insieme» (Perona, 1994, p. 349).
Paola Corti, L’emigrazione italiana in Francia: un fenomeno di lunga durata, Altreitalie, 26, gennaio-giugno 2003


Se non è questa la sede per affrontare il discorso sulla partecipazione italiana alla Resistenza francese, tuttavia vale la pena accennare ad alcune rilevanze storiografiche per comprendere più a fondo il problema dell’esilio antifascista e i suoi esiti al volgere del conflitto. L’impegno italiano nella Résistance ha implicato infatti significati differenti non soltanto dal punto di vista politico, ma anche secondo il livello di integrazione nella società francese e, in una prospettiva di più lungo termine, di identificazione nazionale verso la patria d’origine o di adozione. Come ha notato Gianni Perona nei primi anni Novanta, gli storici italiani e francesi non hanno ancora raggiunto una consapevolezza critica dell’argomento, al di là di una produzione fortemente politicizzata, una bibliografia costituita di memorie, fonti scritte e orali dei diretti protagonisti che parteciparono alla lotta armata, dominata da tendenze comuniste. Del resto per motivi concreti, la sola documentazione organica sull’organizzazione resistenziale pervenutaci è proprio quella prodotta dal partito comunista italiano in esilio, strutturato nelle formazioni dei Franc-tireurs della Moi, oppure la stampa clandestina bilingue di propaganda <85. Dal punto di vista organizzativo, la partecipazione italiana alla Resistenza francese fu un fenomeno multiforme, che si delineò in periodi differenti a seconda dell’evoluzione della guerra e della geografia dell’occupazione nazifascista della Francia. Pia Carena Leonetti nel suo celebre ‘Les italiens dans le maquis’ e Gaston Laroche, alla metà degli anni Sessanta, censirono i caduti stranieri che contribuirono alla liberazione della Francia, fornendo informazioni essenziali per classificare le diverse tipologie di impegno nella Resistenza agli storici contemporanei della Resistenza immigrata, come Denis Peschanski, Jean-Marie Guillon o Stéphane Courtois <86. All’indomani della presa di Parigi numerosi militanti antifascisti, che già si erano dati alla clandestinità dopo le misure adottate contro gli “étrangers indésirables”, entrarono in stretti rapporti con i leader dei primi focolai di resistenza francesi, con i quali del resto avevano collaborato negli anni precedenti. Con la nascita delle formazioni dei Francs-Tireurs alla fine del ’41, per iniziativa del Pcf di Jean Duclos, si sarebbero inseriti, come vedremo, nei gruppi Ftp-Moi in cui sarebbero stati inquadrati gli immigrati, e nei maquis, al fianco dei francesi <87. In generale nel corso della “strana guerra”, i comunisti italiani avevano seguito la politica disfattista dei compagni francesi, in assenza di un organo centrale operativo dopo lo scioglimento dell’Ufficio estero. L’antifascismo democratico si proponeva invece di partecipare attivamente alla lotta contro il nazifascismo, consapevole del tentennare di un’indolente classe politica che aveva voluto e conduceva la guerra. Di fatto però, l’iniziativa di socialisti, repubblicani e giellisti si limitò a riproporre una formazione militare nazionale all’interno dell’esercito francese, esperimento superato e inattuabile in un contesto bellico di scala mondiale. Si stavano infatti disperdendo i nuclei dell’emigrazione politica, e militanti e simpatizzanti seguivano le sorti più diverse in fasi asincrone e incostanti. Se i dirigenti furono in parte arrestati o consegnati alle autorità italiane, altri rientrarono clandestinamente in Italia per avviare un’azione cospirativa. Come chiarì già all’epoca Garosci, non si verificò mai un ritorno di massa degli esuli, ma i rientri furono individuali e avvennero sia prima sia dopo l’avvento del governo Badoglio <88.
[NOTE]
85. Gianni Perona, «Les Italiens dans la Résistance française», in Exils et migrations cit., pp. 630-631.
86. Pia Carena Leonetti, Les Italiens dans le maquis, Del Duca, Paris 1968; Gaston Laroche, On les nommait des étrangers… (les immigrés dans la Résistance), Les Editéurs Français Réunis, Paris 1965.
87. Cfr. Charles Tillon, Les F.T.P. soldats sans uniforme, Editions Ouest-France, Rennes 1991.
88. Cfr. Garosci, Storia dei fuorusciti cit., pp. 204, 232-233.
Emanuela Miniati, La Migrazione Antifascista dalla Liguria alla Francia tra le due guerre. Famiglie e soggettività attraverso le fonti private, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova in cotutela con Université Paris X Ouest Nanterre-La Défense, Anno accademico 2014-2015

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