Alla fine di gennaio del 1944 alcuni gruppi erano pronti ad operare

Gli operatori dell’Ori con alcuni membri dell’equipaggio sul sommergibile Platino – Fonte: art. Historia Faentina cit. infra

[…] In quei giorni, nell’Italia meridionale liberata dagli anglo americani, si viveva un notevole fermento. Il Governo, che si era stabilito a Brindisi, e le alte sfere militari, cercavano di costituire reparti combattenti italiani per guadagnare credibilità di fronte agli Alleati. Ma le cose andavano a rilento a causa delle reciproche diffidenze tra gli italiani e gli Alleati. Gli anglo americani preferivano utilizzare i militari italiani come forza lavoro per i servizi e non sembravano intenzionati ad utilizzarli come combattenti. Al Sud affluirono anche numerosi volontari che intendevano partecipare alla guerra per la liberazione nazionale. Mentre fervevano i contatti per la costituzione di reparti militari italiani, i servizi di informazione anglo americani intensificarono la loro attività, sia per raccogliere informazioni di tipo militare, sia per contribuire a formare un gruppo dirigente di personalità italiane di provata fede antifascista che potessero dare una guida politica al Paese e contribuire cosi alla ripresa della vita democratica. Furono presi contatti con numerose personalità della politica e della cultura e furono fatti rientrare in Italia alcuni esponenti antifascisti. Gli inglesi impiegavano in Italia il SOE (Special Operation Executive). Gli americani utilizzavano una struttura denominata OSS (Office of Strategic Services). Mentre gli inglesi operavano già da tempo nel nostro Paese, l’OSS americano era di più recente costituzione ed aveva pochi contatti con i vertici politici e militari italiani e con i fuoriusciti antifascisti.
Gli inglesi, sostanzialmente, lavoravano per mantenere sul trono il re e per utilizzare la classe dirigente del momento, opportunamente trasformata. Gli americani operavano per un cambiamento più radicale e cercavano di individuare tra i gruppi di antifascisti persone che potessero influenzare l’opinione pubblica dell’Italia liberata e che rappresentassero dei punti di riferimento per chi nel Centro Nord era ancora sotto l’occupazione tedesca. II SOE inglese aveva quindi dei buoni contatti il governo italiano, che si trovava a Brindisi, e con il SIM, il servizio di informazione militare italiano, che disponeva di molti uomini che operavano al Nord. Dopo l’attacco a Pearl Harbor, gli Stati Uniti avevano compreso la necessità di avere un adeguato servizio di informazione specializzato nello spionaggio e nel sabotaggio.
Questo portò, nel giugno del 1942, alla nascita dell’OSS. A capo della sezione italiana era un giovane ufficiale di origine italiana, Massimo (Max) Corvo, che provvide a reclutare altri oriundi italiani, tra i quali Vincent Scamporinoi, un giovane avvocato di origine siciliana, che divenne il vice responsabile per le operazioni nell’area del mediterraneo. Vi furono sempre delle difficoltà nei rapporti tra i due servizi alleati. Nei primi giorni di settembre del 1943, sulla costiera amalfitana, avvenne l’incontro tra l’avvocato piemontese Raimondo Craveri e gli uomini dell’OSS. Craveri, che aveva sposato la figlia di era stato uno dei fondatori del Partito d’Azione e stava cercando di prendere contatto con gli Alleati per illustrare la situazione politica nella capitale e per contribuire alla guerra di liberazione. Tra Craveri e l’agente americano Peter Tompkins, un giovane giornalista americano del New York Herald Tribune, che conosceva bene le vicende politiche italiane, nacque subito una notevole simpatia, che facilitò il lavoro che dovevano compiere. L’idea che circolava in quei giorni era di costituire il Corpo Volontari Italiani, affidandone il comando al generale Pavone, ma il progetto non decollò per le incomprensioni con gli alti vertici militari italiani. Questo progetto fu successivamente modificato e portò alla costituzione del Primo Raggruppamento Motorizzato, il primo reparto militare italiano che iniziò a combattere a fianco degli Alleati contro i tedeschi. L’intraprendenza di Craveri, che cercava di creare una struttura che potesse operare subito per la liberazione del Paese, portò all’idea di costituire gruppi di volontari italiani, che, opportunamente addestrati, potessero essere inviati nell’Italia occupata per raccogliere informazioni militari e politiche, ricevendo in cambio rifornimenti di armi e materiali per i reparti partigiani. Attorno alla figura carismatica di Craveri si stava raccogliendo un gruppo di giovani antifascisti disposti a partecipare a questo tipo di operazioni. Tra di loro c’erano alcuni antifascisti romagnoli, prevalentemente di ispirazione repubblicana e azionista, che, dopo l’8 settembre, avevano deciso di raggiungere l’Italia meridionale per contribuire fattivamente alla liberazione del Paese.
Partiti in bicicletta diretti verso il Sud e attraversate le linee tedesche nei pressi di Termoli, avevano raggiunto la Puglia e, successivamente, Napoli. Delusi dal fallimento dei tentativi di ricostituzione di reparti combattenti italiani sotto il controllo della vecchia gerarchia militare, incontrarono il gruppo di Craveri e decisero di collaborare al progetto di costituzione dell’ORI. L’ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana) nacque ufficialmente il 15 novembre 1943, quando i 37 volontari che la fondarono ne sottoscrissero lo statuto. L’addestramento iniziò subito nella villa di Pozzuoli, dove aveva sede l’ORI, e in Algeria. Gli uomini furono addestrati alle tecniche di sabotaggio, all’uso di apparecchiature radiotelegrafiche, alla raccolta e gestione delle informazioni e al lancio con il paracadute. Le operazioni dovevano avvenire con gruppi di tre o quattro uomini che dovevano essere infiltrati oltre le linee tedesche o tramite lancio col paracadute o sbarco da sommergibili. Ogni gruppo disponeva di una radio ricetrasmittente per mantenere i contatti con la base dell’OSS.
Alla fine di gennaio del 1944 alcuni gruppi erano pronti ad operare. La prima partenza avvenne il 17 febbraio, quando tre team furono portati a Brindisi e imbarcati sul sommergibile Platino. Due gruppi dovevano essere sbarcati in Romagna per operare nella zona Ferrara – Ravenna – Rimini e nell’Appennino romagnolo, un terzo gruppo doveva essere sbarcato alla foce del Brenta per operare in Veneto. I nomi in codice dei gruppi erano “Elvira”, “Zella”, “Bianchi”. II gruppo “Elvira” era formato dai ravennati Matteo Savelli (Arcangeli), Giorgio Roncucci e dal radiotelegrafista Luigi Cima. “Zella” era costituito da Antonio Farneti (Roberti) e Celso Minardi, ambedue ravennati, e dal radiotelegrafista sardo Andrea Grimaldi (Zanco). Il team “Bianchi” era composto da Bianchi, dal faentino Domenico Montevecchi (Musmeci) e dal radiotelegrafista Mario. Questa squadra doveva essere sbarcata per prima, alla foce del Brenta, ma, a causa del cattivo tempo, si preferì effettuare lo sbarco in una zona più riparata nei pressi di Parenzo in Istria. Mentre il gruppo cercava di raggiungere la zona di operazioni che gli era stata assegnata, fu catturato dai tedeschi.
Gli uomini furono imprigionati a Verona e torturati perché rivelassero gli scopi della loro missione. Bianchi si suicidò e Montevecchi fu fucilato a Bolzano il 12 settembre 1944. I due gruppi diretti in Romagna dovevano essere sbarcati nella zona di Porto Garibaldi, ma, per un errore del comandante del sommergibile, furono sbarcati circa 15 chilometri più a nord. Credendo di essere arrivati a terra, Farneti e i suoi uomini avevano tagliato il canotto per nasconderlo meglio. Solo dopo si resero conto di non essere sbarcati sulla terraferma ma su un banco di sabbia. Per loro fortuna sbarcò li anche il gruppo di Arcangeli, cosi poterono utilizzare il loro canotto per raggiungere la riva. La cosa fu molto difficile in quanto il piccolo canotto non era adatto a portare sei uomini, due valige con le radio e i bagagli. Bagnati e intirizziti dal freddo raggiunsero un casa di contadini, dove ottennero accoglienza spacciandosi per militari italiani fuggiti dalla Jugoslavia. Parlando con gli abitanti della casa, si accorsero di non essere stati sbarcati nella zona di Porto Garibaldi, ma alle foci del Po di Goro. Ritenendo che fosse molto pericoloso raggiungere Ravenna via terra, dopo alcuni giorni si fecero accompagnare da un pescatore con una barca e, dopo avere risalito il fiume Reno, raggiunsero una fattoria nella pineta ravennate. I due gruppi si divisero. Il team guidato da Arcangeli ebbe problemi con la radio, che non entrò mai in funzione e fu trovata dopo una decina di giorni dai tedeschi durante un rastrellamento.
Il team “Zella”, guidato in maniera determinata da Farneti, ebbe miglior sorte. Farneti, arrivato a Ravenna, prese contato con gli antifascisti locali, in particolare i repubblicani che conosceva meglio e che lo aiutarono a nascondere la radio. […]
Enzo Casadio e Massimo Valli, O. R. I. Organizzazione per la Resistenza Italiana, Historia Faentina

Ci sono anche storie straordinarie di piccoli gruppi di giovani che, conoscendo il territorio, decidono di collaborare con i servizi segreti americani per dare un contributo all’esito del conflitto. È così che nasce l’Organizzazione della Resistenza Italiana (O.R.I.), un servizio segreto di ridotte dimensioni che avrà però un grande ruolo nella lotta di Liberazione condotta nell’area del centro-nord d’Italia e, in particolare, nelle zone attraversate dalla “linea gotica”.
Vale la pena di ricordare la storia di uno dei capi dell’O.R.I. la cui biografia ha qualcosa di stupefacente.
Nel ’43 è un giovane di 20 anni che una mattina decide che non può più fare il soldato e sceglie allora di schierarsi. Da Ravenna, dove abita, senza avvisare né la madre né la fidanzata, inforca la bicicletta e va sino a Bari. Un gruppo di suoi amici gli ha fatto sapere che in quella città del sud c’è un punto di reclutamento in cui può trovare persone che vogliono impegnarsi, combattere e partecipare attivamente alla rinascita del Paese. Quando finalmente raggiunge Bari incontra un giovane democristiano che sta organizzando questi gruppi.
È Aldo Moro che però lo indirizza verso Napoli, informandolo che è quello il luogo in cui sono arrivati gli americani e dov’è quindi possibile contattare direttamente il gruppo degli agitatori. Il giovane ravennate, sempre in bicicletta, con quattro o cinque altri compagni, lascia Bari e, attraversando nuovamente l’impervio Appennino, tramite un tortuoso percorso raggiunge infine Napoli.
Viene dunque a contatto con il gruppo coordinato da Benedetto Croce in persona. La sorte di questo ventenne è stata quella di conoscere prima il futuro statista Aldo Moro poi il grande filosofo neoidealista Benedetto Croce. Tuttavia, essendo il giovane di famiglia operaia e non avendo potuto avere un’istruzione superiore, non ha idea delle personalità con cui, anche per il solo fatto d’aver deciso di entrare nella Resistenza, è venuto a contatto.
Queste storie fanno capire che dietro molti che scelgono di resistere non c’è una militanza politica pregressa, un’adesione a un’idea precisa del futuro dell’Italia. Chi diventa partigiano spesso non sa proprio quale sarà il destino del Paese ma è certo che vuole però costruire uno Stato nuovo, diverso; vuole dare una mano, partecipare. I partigiani vogliono rompere con la gabbia ideologica che ha tenuto gli italiani per vent’anni sotto il tallone.
Alberto De Bernardi, 1943: la crisi del regime fascista e l’inizio della Resistenza, Quaderni Savonesi, n. 32 – aprile 2013, ISREC Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Savona

La presenza e l’attivismo del giovane Moro nell’ambiente universitario barese, prima come studente e poi come docente, ebbero una fondamentale importanza anche per l’avvio della sua carriera politica.
Già da studente, infatti, Moro iniziò a frequentare gli ambienti cattolici della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI), diventandone presidente nazionale nel 1939.
Durante gli anni della guerra, quando fu chiamato, nel 1941, a svolgere il servizio militare, trovò, nell’ambiente del comando della Terza Squadra Aerea dell’Aeronautica Militare, con sede sempre nel capoluogo pugliese, sul Lungomare Nazario Sauro, l’amicizia, che sarebbe durata una vita, di Pasquale Del Prete, anche lui futuro docente, e poi rettore dell’ateneo pugliese, con cui diede vita al foglio «La Rassegna».
Quella de «La Rassegna» fu un’esperienza breve (1943-1945) ma importante perché rappresentava un tentativo, forse ingenuo ma sicuramente interessante, di un gruppo di giovani intellettuali meridionali di estrazione politica piuttosto eterogenea, di superare la confusione dominante negli ultimi, tragici, anni di vita del regime fascista tenendo fermo un patriottismo che si esprimeva in termini moderati e senza esasperazioni retoriche, combinato ad un afflato democratico che non celava critiche e diffidenze nei confronti della troppo eterogenea coalizione del Comitato di Liberazione Nazionale.
Angelo Massafra, Luciano Monzali, Federico Imperato, Introduzione in (a cura di) Angelo Massafra, Luciano Monzali, Federico Imperato, Aldo Moro e l’Università di Bari. Fra storia e memoria, Università degli Studi di Bari, Cacucci Editore, Bari, 2016

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Pensionato di Bordighera (IM)
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