La missione alleata O’Regan in Val Sangone

I primi contatti fra Alleati e brigate della val Sangone risalgono all’inverno 1943, quando Carlo Mussa Ivaldi (detto ingegner Marelli) si incontrò in borgata Rosa, presso Coazze, con i comandanti partigiani per organizzare l’espatrio in Svizzera degli ex prigionieri inglesi. L’occasione è sfruttata per chiedere a Marelli il lancio di armi, cosa che però non si realizza.
Il secondo contatto avviene attraverso l’“Organizzazione Franchi” e risulta più proficuo, portando ad alcuni lanci nella zona di Palè, sopra l’Indiritto, la notte fra il 2 e il 3 maggio 1944: “l’avevamo preparato proprio bene! Cinque falò in verticale e tre in orizzontale per segnalare agli aerei la posizione. Pensavamo ci mandassero un sacco di armi” <73
L’aiuto reale degli Alleati alla Resistenza in val Sangone è quindi, fino a questo punto, assai limitata. Questo anche perché inglesi e americani si dimostrano preoccupati per le implicazioni politiche della lotta di liberazione e considerano pericolosa la massiccia presenza di forze di ispirazione marxista all’interno del movimento partigiano italiano. Preferiscono dunque mandare in valle alcuni ufficiali, che sono incaricati di assistere gli ex prigionieri tedeschi e di organizzare lanci di armi e viveri, ma sopratutto di raccogliere informazioni sia sui nazifascisti, sia sul movimento partigiano, verificandone l’affidabilità politica e, quando possibile, cercando di orientarla.
In quest’ottica è mandato in vallata il capitano irlandese Patrick O’Regan, a cui spetta anche il compito di tessere i contatti con le formazioni delle valli di Sangone, Susa e Chisone.
La missione O’Regan dura da giugno a ottobre 1944, esprimendosi principalmente a Giaveno. Il “capitano Pat” è privo di pregiudizi verso gli italiani, cosa che rende più semplici i rapporti e la collaborazione con le bande. Egli organizza due lanci nella zona della Maddalena, con un po’ di cibo e del vestiario e alcune casse di sten (un tipo di arma piuttosto rustica ma resistente). Ciò tuttavia delude, e non poco, i partigiani, che si aspettano più sostegno per il loro operato (in particolare armi e munizioni).
La situazione migliora durante il secondo periodo di O’Regan in val Sangone, che inizia a dicembre (con base a Trana, visto che Giaveno è stata, nel frattempo, occupata dai tedeschi). Ad inizio dicembre si registra un primo lancio presso la zona di Prafieul; poi seguono altri lanci nella pianura tra Airasca e None. Per recuperare le scorte, i partigiani organizzano una squadra, il cui comando è preso dall’ex podestà di None, Michele Ghio.
“Abbiamo recuperato una decina di lanci. Mandavano le armi più varie, dai mitragliatori alle mine a percussione, agli sten. Una volta lanciarono fucili antidiluviani, peggio dei ’91. Un sacco era sempre riservato al capitano Pat e conteneva, a quanto mi risulta, generi di conforto ad uso personale: cioccolato, thé, zucchero, energetici. I lanci avvenivano sempre di notte, preannunciati via radio con un messaggio convenzionale, come ad esempio “Anna arriva alle 11”. Noi ci recavamo nella zona prevista, una vasta radura fra i boschi, nella zona dove ci sono le prese della Società Acque Potabili Torino, a circa quattro chilometri da None. Gli alleati erano puntuali e noi facevamo trovare accesi i fuochi di segnalazione. Il rischio di essere pescati sul posto era grande. Una volta un involucro con una cassa di bombe a mano batté violentemente e le bombe scoppiarono. Ma andò tutto bene”. <74
Purtroppo, nonostante il valore simbolico del supporto alleato, la missione di O’Regan non garantisce nulla di decisivo o sostanziale. La scarsità dei rifornimenti porta Giulio Nicoletta ad arrabbiarsi oltremodo con gli inglesi, tanto che il comandante partigiano invita, con maniere assai brusche, il capitano irlandese a lasciare la valle.
A rendere tesi i rapporti è anche, molto probabilmente, l’evolversi del cosiddetto “piano 26”.
Il 27 luglio il generale Alexander invia un messaggio urgente al Cln piemontese, con cui chiede a tutte le bande di prepararsi per uno sforzo violento contro le vie di comunicazione e le autocolonne tedesche. Il radiogramma è interpretato come un preavviso all’azione alleata in valle Padana, con il Comitato militare regionale che ordina l’intensificarsi delle azioni sui nodi stradali e ferroviari. Un’ipotesi avvalorata anche dallo sbarco alleato a Tolone del 15 agosto e dalle notizie provenienti da radio Londra (che si soffermano sia sull’avanzata alleata, sia sulla conquista della Savoia, del Col del Tenda, del Monginevro e del Piccolo S. Bernardo da parte dei patrioti locali). Nella previsione di una conclusione vicina della guerra, il Comando militare appronta il già citato “piano 26”, basato sull’intenzione di effettuare una manovra coordinata fra le diverse forze <75. Per rendere più efficace il coordinamento fra le bande, il Comando militare ordina la suddivisione del Piemonte in 9 zone territoriali militari, alle dipendenze ognuna di un comando di zona. La val Sangone diventa quindi la IV Zona, con la val Pellice, la val Chisone, la val Germanasca e la valle di Susa. Tale decisione è ufficializzata il 1° settembre 1944.
I partigiani della val Susa, coadiuvati dalla “Carlo Carli”, attaccano ripetutamente i tedeschi in transito; quelli della “Nino e Carlo”, con appostamenti sulla linea Piossasco-Pinerolo, interrompono quasi completamente il traffico ferroviario nemico. <76
La situazione in vallata appare positiva, con i quotidiani attacchi ai fascisti, che si risolvono brillantemente, e i tedeschi che abbandonano i posti di blocco. Questa sensazione di vittoria imminente si diffonde anche tra la popolazione: dal 10 al 14 settembre a Torino scioperano i ferrovieri, causando grandi danni a tedeschi e fascisti. Ma la tanto sperata azione alleata in val Padana non si realizza, lasciando spazio alla controffensiva nemica.
[NOTE]
73 Testimonianza di Carlo Suriani, comandante partigiano in G. Oliva, La Resistenza, cit., p. 252.
74 Bruno Ferreri, La Resistenza partigiana in val Sangone, tesi di laurea, anno accademico 1984-1985, relatore Giorgio Rochat, p. 166.
75 G. Oliva, La Resistenza, cit., p. 259.
76 M. Fornello, La Resistenza in val Sangone, tesi di laurea, anno accademico 1961-1962, relatore Guido Quazza, p. 104.
Francesco Rende, Mario Greco e la Resistenza in val Sangone, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2016-2017

Le prime missioni inglesi e americane – ha scritto Roberto Battaglia – seguono una politica ben precisa: non solo stabiliscono la loro sede presso il comando delle formazioni che esse ritengono, a torto o a ragione, ‘più a destra’, non solo evitano di far capo ai CLN cittadini e agiscono ognuna per proprio conto, ma seguono una costante politica di discriminazione nei lanci.
In quest’atmosfera generale giungeva in vallata, a fine luglio, il capitano irlandese Patrick O’Regan, con l’incarico di stabilire il collegamento con le formazioni delle valli di Susa, Sangone e Chisone. Il capitano si trasferiva in Val Sangone per la sua centralità geografica rispetto all’area di competenza e si stabiliva presso il comando della brigata. In vallata il capitano restava sino ad ottobre quando, dopo essere passato in Francia, raggiungeva da Marsiglia il comando alleato nell’Italia meridionale; a fine novembre tornava nella zona di Torino stabilendosi in pianura, a None, presso il dottor Michele Ghio, dove rimaneva sino alla Liberazione.
La missione O’Regan (in codice ZUR/4) che si avvaleva della collaborazione di un radiotelegrafista italiano, Mario Nocerino “Renato”) organizzava due primi lanci nella zona della Maddalena, con cibo e vestiario per gli ex prigionieri e alcune casse di sten (“un’arma rustica, a tiro rapido, capace di sopportare anche una caduta a terra o la pioggia senza subire grossi danni”). Si trattava di aiuti deludenti, come annotava il capitano “Leo” (Bruno Leoni), ufficiale italiano addetto ad un’altra missione britannica, entrato in contatto con i partigiani della Val Sangone a fine ottobre.
Gli aiuti diventavano più consistenti durante il secondo periodo di attività di O’Regan in Val Sangone. All’inizio di dicembre c’era un lancio abbondante di armi e munizioni nella zona di Prafieul. In seguito il capitano inglese individuava un’area più adatta allo scopo in pianura, tra Airasca e None: i partigiani della vallata formavano una squadra addetta al recupero del materiale, intitolata a “Edo Dabbene” (caduto durante il rastrellamento di maggio) e comandata da Michele Ghio, ex podestà di None entrato nelle file della Resistenza.
Oltreché di aviolanci, la missione ZUR/4, guidata dal capitano O’Regan, si occupava dell’assistenza ai prigionieri alleati, cercando di farli espatriare. Era il caso, a fine dicembre, di dodici aviatori americani, costretti ad un atterraggio di fortuna presso Airasca e salvati da un partigiano della Val Chisone, che li nascondeva in un cascinale presso Cumiana.
La missione O’Regan non era l’unica presente in vallata. Presso il comando della brigata “Campana”(bande partigiane), al Mollar dei Franchi, c’era la missione POM (O.S.S.) guidata da “Silvio” (Luigi Segre), organizzata dagli americani per avere informazioni dirette sulla situazione locale.
Redazione, Missione Alleata Zur/4, La Resistenza in Val Sangone

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Pensionato di Bordighera (IM)
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