Finalmente l’ordine di liberazione partì tra il 21 e il 23 agosto 1943 anche per gli anarchici italiani non particolarmente pericolosi

Dopo la “congiura monarchica” che il 25 luglio 1943 portò alle dimissioni e all’arresto di Mussolini, sotto il nuovo governo Badoglio, tra il 27 luglio e il 21 agosto, una serie di circolari inviate dal capo della polizia Carmine Senise alle questure del Regno dispose la liberazione di alcune categorie di internati e il 10 settembre, secondo quanto stabilito dalle clausole sottoscritte a Cassibile dal generale Castellano il 3 settembre, fu ordinata la liberazione degli internati sudditi di quelli che ufficialmente, fino a due giorni prima, erano Stati nemici, ma il caos determinato dalla proclamazione dell’armistizio e le difficoltà di collegamento che, nella quasi istantanea dissoluzione dell’intero apparato statale, lasciarono senza ordini ampi settori della pubblica autorità, non portarono a un immediato e generale rilascio degli internati, lasciando nella prassi ampi margini di discrezionalità ai direttori dei singoli campi che non agirono in modo unanime e conforme alla nuova linea del governo Badoglio e alla nuova posizione dell’Italia rispetto al conflitto <716.
Nulla era infatti cambiato rispetto alle esigenze di ordine pubblico e il proclama con il quale Badoglio annunciò la continuazione della guerra aveva messo bene in chiaro come chiunque tentasse di turbare l’odine pubblico sarebbe stato «inesorabilmente colpito» <717; non stupisce dunque la lentezza nelle liberazioni e la cavillosità con le quali i provvedimenti furono applicati.
Del resto i numerosi dispacci telegrafici che si susseguirono a partire da quelli del 27 e 29 luglio, nella fase confusa e ambigua dell’ufficialmente proclamata fedeltà all’impegno bellico al fianco dell’alleato tedesco – in cui Badoglio negoziava in segreto la resa con gli Alleati mentre si affannava ad assicurare alla Germania che nulla era cambiato, tanto che tra le iniziative del nuovo governo per marcare la distanza con il disciolto Partito fascista non figurava l’abrogazione delle leggi razziali, rimaste in vigore fino al dicembre 1943, o la soppressione della Demografia e razza che continuava a esistere anche in seguito all’arresto del suo direttore <718 -, quindi nel perdurare dell’emergenza bellica, trasmisero ai questori e ai direttori delle colonie direttive di liberazione dei detenuti, dei confinati e degli internati estremamente caute e complicate da cavillosi distinguo su «natura», «sentimenti» e «propositi delittuosi» che avrebbero dovuto sovrintendere alla selezione dei soggetti da liberare, con la costante esclusione di anarchici e comunisti.
Con quest’ultima eccezione i dispacci del 27 e del 29 disposero la liberazione di quanti fossero stati arrestati, confinati o internati per motivi politici e per attività antifascista o offese alle istituzioni del cessato regime – reati che avevano perso di senso con l’arresto dell’ex capo del governo e lo scioglimento del partito fascista -, includendo gli ebrei italiani che non avessero commesso fatti di particolare gravità ma escludendo dal provvedimento sospetti di spionaggio, irredentisti, allogeni della Venezia Giulia e dei territori occupati <719; il dispaccio del 2 agosto successivo al direttore della colonia di Ventotene aggiunse all’elenco dei soggetti da trattenere i cittadini spagnoli fuggiti dalla repressione del governo franchista gli attentatori, purché il loro operato si fosse indirizzato verso personalità del regime fascista e non contro i poteri costituiti in generale e i miliziani rossi purché non comunisti o anarchici <720.
Il direttore della colonia di Ventotene, dove si trovava un nutrito gruppo di anarchici, era Marcello Guida, futuro questore di Milano, che chiese al ministero di poter decidere caso per caso ammettendo che «pericolosità indicazione colore politico attribuito non corrisponde al vero» <721. Contro l’atteggiamento prudente e dilatorio adottato dal direttore e dal governo si espressero alcuni dei deportati che si trovavano ancora a Ventotene, indirizzando una petizione a Badoglio e ulteriori pressioni furono tentate anche da esponenti del calibro di Sandro Pertini, da poco liberato dalla colonia, che denunciò la disparità di trattamento sottolineando il rischio per gli internati e i confinati che derivava dalla pericolosa vicinanza delle truppe tedesche.
Furono i nuovi ordini del 14 agosto a estendere i provvedimenti di liberazione anche ai comunisti, sollecitando rapidità nei procedimenti perché le liberazioni avvenissero nel più breve tempo possibile, tranne che per gli anarchici, i sospetti di spionaggio <722 e gli allogeni, per i quali il giorno successivo il capo della polizia ribadì il mantenimento in custodia <723.
Dopo un ulteriore sollecito di Senise perché le liberazioni procedessero speditamente, la richiesta di elenchi dettagliati degli elementi liberati fino a quel momento e un generico invito a rivedere la posizione degli “allogeni” per valutare quali potessero essere liberati <724 finalmente l’ordine di liberazione partì tra il 21 e il 23 agosto anche per gli anarchici italiani non particolarmente pericolosi <725. A Ventotene l’ordine di liberazione giunse però in ritardo, quando ormai l’ultimo piroscafo era partito dall’isola e gli internati erano stati trasferiti ad Anghiari, scaricando alla direzione di quel campo la responsabilità di applicare le disposizioni di liberazione, ma fu subito ben chiaro che la libertà non sarebbe stata concessa e l’8 settembre non fece che aumentare la tensione con gli internati le cui agitazioni assunsero le dimensioni della rivolta e con le forze di guardia al campo che spararono sugli assembramenti ferendo quattro internati <726.
Come previsto dalla terza condizione del cosiddetto “armistizio breve” – «Tutti i prigionieri e gli internati delle Nazioni Unite saranno rilasciati immediatamente nelle mani del Comandante in Capo Alleato e nessuno di essi dovrà essere trasferito in territorio tedesco» <727 – la circolare del 10 settembre ordinò infine la liberazione degli internati stranieri dai campi e dai comuni, continuando a corrispondere loro, in caso di bisogno, il sussidio giornaliero <728. Nessun provvedimento generalizzato fu preso invece dal governo Badoglio nei confronti degli “allogeni”, molti dei quali, trattenuti dalle autorità, si ritrovarono dopo l’8 settembre ancora internati, facili prede dei nazisti e condannati alla deportazione <729.
Intanto la proclamazione dell’armistizio, «rivelazione dell’inettitudine e della pochezza morale della vecchia classe dirigente» <730, in concomitanza con lo sbarco alleato a Salerno, la fuga di Vittorio Emanuele III, del suo Primo ministro Pietro Badoglio, del Capo di stato maggiore Vittorio Ambrosio insieme a buona parte dei vertici militari, avevano portato al collasso di uno Stato e alla dissoluzione del suo esercito. Fino all’ultimo momento i comandi militari furono tenuti all’oscuro dell’imminente dichiarazione di armistizio, non consentendo la minima organizzazione per contrastare la prevista reazione tedesca, cosicché la difesa non si rivelò efficace nemmeno laddove la presenza delle truppe italiane era sostanziale, come nella Capitale dove la resistenza fu lasciata sostanzialmente all’iniziativa dei singoli ufficiali, alla coscienza dei singoli soldati e alla partecipazione della popolazione civile, come negli episodi eroici quanto drammatici della battaglia di Porta San Paolo <731.
Il rischioso e delicatissimo transito dell’Italia da uno schieramento all’altro, attraverso la richiesta – che dovette certamente apparire esosa – della resa incondizionata dalle implicazioni difficilmente prevedibili e che avrebbe potuto aprire la strada a numerosi scenari possibili, nessuno dei quali si prospettava favorevole per i responsabili della recente politica fascista, le minacce alleate e le prevedibili ritorsioni tedesche avrebbero in effetti messo in difficoltà classi dirigenti meno inette e impreparate di quella italiana ma, in questo caso, sulle incertezze, le ambiguità e le contraddizioni dimostrate in questo frangente da quello che, fino a poco prima, era stato il ceto dirigente dell’Italia fascista, pesava il fardello delle scelte che lo aveva portato fino a quel fatidico momento, e che, come sottolineato da Pier Giorgio Zunino, nulla avevano a che fare con la soggezione al duce ma esprimevano precise e condivise volontà politiche e che, nella contiguità tra Stato e società civile, costituivano il compimento della storia di un paese che aveva riposto nelle mani di quella classe dirigente il proprio destino <732.
Con la liberazione di Mussolini e la nascita di un nuovo Stato fascista sotto la tutela degli occupanti tedeschi, l’Italia si trovò di fatto divisa dal fronte e spaccata in due distinte entità statali: mentre nel meridione sopravviveva lo Stato monarchico e, con l’avanzare degli Alleati, venivano progressivamente liberati i campi fascisti, l’Italia centro settentrionale si ritrovò in balìa del neonato governo repubblichino e delle forze di occupazione naziste che praticarono un intenso sfruttamento delle risorse economiche ed umane dei territori sottoposti al loro controllo, requisendo merci e deportando lavoratori coatti tra la popolazione civile e tra i militari che rifiutarono di aderire alla Rsi – fenomeni di concentramento e deportazione peculiari di questa nuova fase – <733.
Con l’annuncio dell’armistizio era infatti scattato il fall Achse – “piano Asse”, nel quale erano confluiti ad agosto i piani Alarico e Costantino, già elaborati a partire dalla primavera del 1943 nel timore di un sempre più probabile ritiro italiano dal conflitto per, rispettivamente, sostituirsi agli italiani nell’occupazione delle aree balcaniche a loro assegnate e occupare l’Italia -, un piano di disarmo e occupazione che prevedeva la cattura e l’internamento dei militari italiani che non accettassero di continuare a combattere a fianco delle unità tedesche. Nel giro di pochi giorni in Italia e in Francia l’esercito tedesco disarmò i soldati italiani che, nel giro di tre settimane, insieme a quelli di stanza nei Balcani, arrivarono a superare il milione di unità, ottocentomila dei quali furono deportati nei campi di prigionia in Germania o nei territori occupati – classificati come internati militari italiani (IMI) anziché come prigionieri di guerra, uno statuto giuridicamente anomalo che sottolineava la continuità dell’alleanza con l’Italia, rappresentata dalla Rsi, e che sottraeva la Germania alle interferenze della Croce rossa internazionale e alle tutele imposte dalla Convenzione di Ginevra – e gli altri furono rilasciati dopo il disarmo. Furono circa 180.000 invece a rispettare l’alleanza con la Germania – o quantomeno a cedere alle sue minacce – venendo incorporati per la maggior parte nell’esercito tedesco o nella Luftwaffe, soprattutto come ausiliari, ventimila si arruolarono nelle Waffen SS e quindicimila furono reintegrati nel nuovo esercito della Rsi <734.
[NOTE]
716 Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), cit., pp. 171-172.
717 Cit. in Candeloro, Storia dell’Italia moderna. La seconda guerra mondiale. Il crollo del fascismo. La Resistenza. 1939-1945, cit., pp. 192-193.
718 Si vedano Mayda, Gli ebrei sotto Salò. La persecuzione antisemita 1943-1945, cit., p. 52 e De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., pp. 441-446.
719 «Prego disporre subito scarcerazione prevenuti disposizione Autorità di Ps responsabili attività politiche escluse quelle riferentisi comunismo e anarchia. contemporaneamente Ss. Ll. compileranno nella giornata di oggi elenchi tutti condannati aut giudicabili per attività sopraindicate, escludendo sempre comunisti ed anarchici e li rimetteranno alle R. Procure competenti con proposta Grazia Sovrana. Per quanto riguarda confinati politici dovranno essere immediatamente attuati medesimi criteri sopra descritti liberando responsabili attività antifascista in genere, offese Capo Governo et cessato regime. Da provvedimenti liberazione restano naturalmente esclusi responsabili affarismo et fatti natura non ripetesi non politica per i quali non si è proceduto giudiziariamente. Casi dubbi potranno essere segnalati al Ministero per determinazione. Si conferma che i provvedimenti suddetti non – ripetessi non – si riferiscono persone condannate, o imputate di fatti aventi carattere militare o sospetti spionaggio. Alla liberazione confinati dovranno provvedere Questure et Direzione Colonie nelle cui giurisdizioni trovansi confinati stessi. Provvedimenti hanno caratteri estrema urgenza et debbono essere attuati immediatamente. Riferire subito per quanto di competenza». Dispaccio telegrafico n. 46643 inviato il 27 luglio 1943 dal capo della polizia Carmine Senise ai questori del Regno, ai dirigenti Ovra e alla direzione delle colonie di confino di Ventotene, Ponza e Tremiti, cit. in Antoniani Persichilli, Disposizioni e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), cit., pp. 85-86, 91. «Seguito circolare 27 corrente n. 46643 comunicasi che dovranno essere immediatamente liberati anche internati italiani sia campi di concentramento sia comuni liberi cui confronti provvedimento è stato adottato per attività politica non ripetesi non riferendosi comunismo et anarchia aut spionaggio aut irredentismo et non ripetesi non trattisi allogeni Venezia Giulia et territori occupati. Con analoghi criteri dovranno farsi cessare vincoli ammonizione confronti ammoniti politici. Dovranno inoltre essere liberati ebrei italiani internati aut confinati che oltre non avere svolto attività politica come sopra non abbiano commesso fatti speciale gravità. Questori competenti per giurisdizione sono pregati comunicare presente circolare et precedente Direttori colonie confino et campi concentramento». Dispaccio telegrafico n. 46984 inviato il 29 luglio 1943 dal capo della polizia Carmine Senise ai questori del Regno e ai dirigenti delle zone Ovra. cit. in ibidem, pp. 86, 92.
720 «Confinati et internati comunisti et anarchici aut responsabili spionaggio debbono essere trattenuti; responsabili attività aut manifestazioni antifasciste in genere, socialiste et repubblicane compresi appartenenti gruppo giustizia e libertà debbono essere liberati. Ebrei italiani debbono essere liberati se oltre non essere comunisti aut anarchici non abbiano commesso fatti speciale gravità. Internati aut confinati Venezia Giulia et territori occupati debbono essere trattenuti come pure sudditi spagnoli fuggiti patria per sottrarsi a sanzioni governo franchista. Individui confinati per antifascismo et dimostratisi colonia sentimenti comunisti dovranno essere segnalati Ministero per determinazioni. Per attentatori occorre esaminare se loro propositi delittuosi erano diretti soltanto contro personalità cessato regime nel qual caso dovranno essere liberati aut contro poteri costituiti in generale nel qual caso dovranno essere trattenuti. Riguardo ex miliziani rossi occorre esaminare caso per caso se trattisi di antifascisti aut di comunisti et anarchici, liberando i primi e trattenendo gli altri. Per casi incerti chiedere istruzioni al Ministero». Dispaccio telegrafico n. 47501 inviato il 2 agosto 1943 dal capo della polizia Carmine Senise al direttore della colonia di confino di Ventotene, cit. in Antoniani Persichilli, Disposizioni e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), cit., pp. 92-93.
721 Sacchetti, Gli anarchici nella resistenza (1943-1945), cit., p. 41.
722 «Disposizioni relative liberazione condannati, detenuti, confinati et internati politici si debbono estendere anche ai comunisti. Pregasi provvedere subito secondo disposizioni già date per gli altri politici. Nell’occasione pregasi provvedere subito per condannati et giudicabili alle richieste di liberazione da farsi alle autorità giudiziarie le quali finora pare ne abbiano ricevute soltanto poche mentre è intendimento del governo che liberazioni siano fatte presto. Per condannati liberati dal carcere dal confino dall’internamento pregasi provvedere perché siano segnalati autorità di destinazione le quali dovranno vigilarli efficacemente e cautamente segnalando ministero ogni evenienza. Assicurarne la ricevuta». dispaccio telegrafico n. 49216 inviato il 14 agosto 1943 dal capo della polizia Carmine Senise ai questori del Regno, agli ispettori speciali di polizia presso le prefetture, ai direttori delle colonie di confino di Tremiti, Ventotene e Pisticci, cit. in Antoniani Persichilli, Disposizioni e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), cit., p. 93.
723 «Seguito circolare 14 corr. n. 49216/441 si precisa che analogamente a quanto disposto in precedenza debbono essere esclusi dalla liberazione dei condannati, detenuti, confinati et internati politici individui responsabili attività anarchica e spionistica et allogeni Venezia Giulia et territori occupati. Aggiungesi che anche confronti comunisti ammoniti debbono cessare obblighi relativi. Per attentatori richiamansi disposizioni impartite con circolare 3 corr. 47516/441. Presente circolare et precedente dovranno essere comunicate da questori competenti a direttori campi di concentramento». Dispaccio telegrafico n. 49386 inviato il 15 agosto 1943 dal capo della polizia Carmine Senise ai
questori del Regno, agli ispettori speciali di polizia presso le prefetture e ai direttori delle colonie di confino di Tremiti, Ventotene e Pisticci, cit. in Antoniani Persichilli, Disposizioni e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), cit., p. 93.
724 «Richiamandosi circolari relative liberazione condannati, detenuti, confinati et internati politici italiani ultime delle quali 14 et 15 corr. rispettivamente nn. 49216/441 et 49386/441 pregasi sollecitare massimo pratiche relative liberazione comunicando subito per telegrafo numero liberati a tutt’oggi. Avvertesi che disposizioni impartite con suddette circolari debbano essere estese anche ad ebrei italiani. Questori Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Zara, Spalato e Cattaro ed Ispettore generale Ps Gueli sono pregati rivedere posizione allogeni che trovansi condizioni previste da richiamate circolari et esaminare quali ritengano possano essere liberati. Questori competenti comunicheranno presente a direttori campi di concentramento». Dispaccio telegrafico n. 49615 inviato il 17 agosto 1943 dal capo della polizia Carmine Senise ai questori del Regno, agli ispettori speciali di polizia presso le prefetture, ai direttori
delle colonie di confino di Ventotene, Tremiti e Pisticci e all’ispettore generale di Ps Giuseppe Gueli presso la questura di Trieste, cit. in Antoniani Persichilli, Disposizioni e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), cit., p. 94.
725 «Comunicasi seguente circolare 21 corr. n. 50301 diretta questori del Regno: richiamandosi circolari relative condannati detenuti, confinati et internati politici et proscioglimento da vincoli ammonizione comunicasi che disposizioni circolari stesse sono estese anche anarchici non ripetesi non particolarmente pericolosi i quali ultimi dovranno essere segnalati Ministero. Soggiungesi che tale circolare si riferisce ad anarchici italiani». Dispaccio telegrafico n. 50627 inviato il 23 agosto 1943 dal capo della polizia Carmine Senise ai direttori delle colonie di confino di Ventotene, Tremiti e Pisticci, cit. in Antoniani Persichilli, Disposizioni e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), cit., p. 94. Si veda anche Carolini, Gli antifascisti italiani dal confino all’internamento 1940-1943, cit., p. 123.
726 Sacchetti, Gli anarchici nella resistenza (1943-1945), cit. pp. 42-44.
727 Aga Rossi, L’inganno reciproco. L’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani del settembre 1943, cit., p. 325. Lo stesso principio, in modo più puntuale e articolato, insieme all’abrogazione delle leggi antisemite, fu esplicitato nel testo dell’armistizio del 29 settembre ai punti 31 e 32: «31. Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede ed opinione politiche saranno, se questo non sia già stato fatto, abrogate e le persone detenute per tali ragioni saranno, secondo gli ordini delle Nazioni Unite, liberate e sciolte da qualsiasi impedimento legale a cui siano state sottomesse. Il Governo italiano adempirà a tutte le ulteriori direttive che il Comandante Supremo delle Forze alleate potrà dare per l’abrogazione della legislazione fascista e l’eliminazione di qualsiasi impedimento o proibizione risultante da essa. 32. (A) I prigionieri di guerra appartenenti alle forze delle Nazioni Unite o designati da queste e qualsiasi suddito delle Nazioni Unite, compresi i sudditi abissini, confinati, internati, o in qualsiasi altro modo detenuti in territorio italiano od occupato dagli italiani non saranno trasferiti e saranno immediatamente consegnati ai rappresentanti delle Nazioni Unite o altrimenti trattati come sarà disposto dalle Nazioni Unite. Qualunque trasferimento durante il periodo tra la presentazione e la firma del presente atto sarà considerato come Una violazione delle sue condizioni. (B) Le persone di qualsiasi nazionalità che sono state poste Sotto sorveglianza, detenute o condannate (incluse le condanne in contumacia) in conseguenza delle loro relazioni o simpatie colle Nazioni Unite saranno rilasciate in conformità agli ordini delle Nazioni Unite e saranno sciolte da tutti gli impedimenti legali ai quali esse sono state sottomesse. (C) Il Governo italiano prenderà le misure che potranno essere prescritte dalle Nazioni Unite per proteggere le persone e le proprietà dei cittadini stranieri e le proprietà degli stati e dei cittadini stranieri», cit. in ibidem pp. 333-334. Sull’armistizio si faccia riferimento a Ead., Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, Il Mulino, Bologna 2006 (1ª edizione, 1993).
728 «In dipendenza conclusione armistizio, pregasi disporre che gli internati sudditi stati nemici siano liberati. Internati suddetti che non abbiano possibilità sistemazione per proprio conto, possono essere lasciati campi o comuni residenza, continuando corresponsione loro favore sussidio giornaliero. In tal caso, nei confronti internati nei comuni dovranno essere revocate misure restrittive libertà mantenendo loro riguardi generica vigilanza». Circolare n. 451/53247 inviata dal ministero dell’Interno ai prefetti del Regno, in ACS, Ministero dell’Interno, Direzione generale di P.S., divisione A.G.R., Massime M4 (1880-1947), b. 100, f. 16, sf. 1-2, cit. in Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), cit., p. 172.
729 Si veda Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), cit., pp. 112-113.
730 Aga Rossi, Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, cit., p. 17.
731 Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, cit., pp. 426-430.
732 P.G. Zunino, La Repubblica e il suo passato. Il fascismo dopo il fascismo, il comunismo, la democrazia: le origini dell’Italia contemporanea, il Mulino, Bologna 2003, pp. 98-107.
733 Si faccia riferimento a B. Mantelli, N. Tranfaglia (a cura di), Il libro dei deportati, 4 voll., Mursia, Milano 2010-2015, M. Avagliano, M. Palmieri (a cura di), Gli internati militari italiani: diari e lettere dai lager nazisti, 1943-1945, Einaudi, Torino 2009, L. Gorgolini (a cura di), Memorie ritrovate: la vita nei lager nazisti attraverso i ricordi degli internati militari italiani, Il Lavoro Editoriale, Ancona 2011, G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania. 1943-1945, il Mulino, Bologna 2004 (edizione originale: Zwangsarbeit für den “Verbündeten”. Die Arbeits- und Lebensbedingungen der italienischen Militärinternierten in Deutschland 1943-1945, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 2002) e G. Procacci, L. Bertuccelli (a cura di), Deportazione e internamento militare in Germania. La provincia di Modena, Unicopli, Milano 2001.
734 B. Mantelli, Prigionieri di guerra, in Dizionario del fascismo, vol. I. A-K, a cura di V. De Grazia e S. Luzzatto, Einaudi, Torino 2003, pp. 425-426.
Matteo Soldini, Fiori di campo. Storie di internamento femminile nell’Italia fascista (1940-1943), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2017

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