A Parma le formazioni partigiane più numerose erano quelle garibaldine e le Julia

“Il 9 settembre è come uno spartiacque, dal 9 settembre fino alla liberazione, anche coloro che furono fascisti o per errore o per ingenuità o per ragioni di lavoro, tutti gli italiani di qualsiasi ideologia dovranno prendere posizione contro i tedeschi, contro l’invasore. Gli italiani che si metteranno al servizio dei tedeschi saranno considerati traditori”. <11 Sono queste le parole e l’opinione di uno dei protagonisti che diedero vita alla resistenza nel parmense, l’Avvocato Primo Savani. Come in altre città, anche a Parma iniziarono i primi scontri armati contro i tedeschi e il loro tentativo di invasione; ciò avveniva presso la Scuola di applicazione, all’interno del giardino Ducale dove i soldati cercarono di contrastare le forze tedesche prima di essere costretti alla resa.
Prosegue Savani nella sua cronaca dell’epoca: “il nuovo regime nazifascista impiegò poco più di 10 giorni per riorganizzare gli uffici amministrativi e le forze di polizia, con gli italiani disposti a collaborare con l’invasore”. <12 Mentre l’occupazione tedesca era in atto, iniziava l’organizzazione delle forze antifasciste del territorio parmense; il primo abboccamento avvenne il 10 settembre ‘43 a Villa Braga a Mariano, un paesino della Provincia, dove i principali esponenti dell’antifascismo si accordarono sulle questioni più urgenti come l’organizzazione degli aiuti ai militari sbandati, il recupero di armi e l’organizzazione delle prime bande. Secondo Leonardo Tarantini (Comandante parmense) “l’incontro a Villa Braga è da considerarsi, per la data in cui avvenne, per gli argomenti trattati e le decisioni prese, come il primo atto organizzativo a livello provinciale, del movimento partigiano in provincia di Parma <13” e dal quale prese vita la macchina organizzativa della resistenza parmense.
Da quel momento il movimento clandestino intraprese i primi tentativi di costituzione delle bande armate e di organizzazione del movimento che vide il 15 ottobre la nascita del Comitato di Liberazione Nazionale per la Provincia di Parma, costituito dagli esponenti dei partiti antifascisti, che aveva il principale compito di organizzare la guerriglia incipiente. Organizzazione tutt’altro che semplice perché significava tessere, quasi ex novo, i fili di una rete molto intricata e capillare. Come ricorda Leonardo Tarantini infatti, si trattava di un “lavoro organizzativo e pratico che chiamava all’opera centinaia di persone[…] il tutto comportava una rete ben occulta di collegamenti”; <14 un lavoro dunque estremamente precario e pericoloso, nel quale fondamentale era il ruolo di chi ne era al vertice.
I.3 Prime bande e primi scontri
Superate le iniziali difficoltà logistiche, cominciarono a costituirsi le prime bande, o meglio, i primi raggruppamenti. Oltre che all’organizzazione logicistico-militare la nascita delle prime bande dipese soprattutto da iniziative individuali. Scrive Ferdinando Cipriani, partigiano parmense: “i piccoli gruppi di ribelli sorsero qua e là senza alcun coordinamento: dovunque si rivelava un capo coraggioso che, col suo ascendente personale, era in grado di riunire sotto la sua autorità i pochi elementi che per primi osavano dichiarare guerra al nazifascismo”. <15
Le vicissitudini e le motivazioni individuali che hanno portato sparuti gruppi di uomini sulla via dei monti, e della ribellione, sono molto diverse tra loro: per una parte, la minoranza, l’occupazione tedesca seppure tragica, come si è detto, fu vissuta come occasione di libertà e quindi la decisione di impugnare le armi fu l’esito di una scelta compiuta già da molto tempo; ma per i soldati sbandati invece la via dei monti spesso rappresentò una scelta dettata delle esigenze del momento, per avere salva la vita; “cresciuti nella dittatura, umiliati dall’8 settembre, quei giovani ebbero difficoltà a scegliere da che parte stare. Le loro decisioni non potevano maturare in un lento processo di presa di coscienza, né in relazione a organismo collettivi come i centri dell’antifascismo; essi furono costretti a fare i conti con i propri intimi valori e la propria capacità di reagire”. <16 Non solo antifascisti ed ex militari diventarono ribelli, ma successivamente anche civili e molti giovani, soprattutto per sfuggire al famigerato Bando Graziani che obbligava i giovani alla leva, entrarono nelle file patriottiche.
Ciò avvenne a Parma come altrove, e costituisce un dato essenziale del movimento partigiano: la sua eterogeneità, cioè l’essere un movimento unito nel suo scopo ma profondamente diverso al suo interno. Non si parla solo di differenze personali e di appartenenza politica ma anche le esperienze individuali variano profondamente: da chi era stato nell’esercito a chi fu perseguitato, da chi era cresciuto sotto il fascismo rispetto a chi ha vissuto in clandestinità e così dicendo. Assumere questo tratto di eterogeneità come tratto base del movimento aiuta nel tentativo di comprenderlo e studiarlo. I rapporti interni tra le brigate, tra i comandi e le vicende principali sono molto spesso il risultato di queste differenze; differenze che, nella storia della resistenza italiana e parmigiana hanno portato a numerosi momenti di tensione, ma seppur con fatica, non hanno impedito che il movimento crescesse e che fosse infine vittorioso.
Tornando all’attività parmigiana, questi gruppi iniziarono principalmente con piccole e sporadiche azioni di sabotaggio e disarmo volte soprattutto a recuperare armamenti. Il primo significativo combattimento avvenne il 25 dicembre a Osacca, vicino al paese di Bardi. Questo scontro divenne leggendario per i partigiani perché in questa località un ristretto gruppo di giovani partigiani (circa una ventina), avvisati dell’arrivo di un centinaio di militi fascisti, anziché sganciarsi decisero di affrontare il nemico costringendolo alla fuga.
Annota Tarantini di come “tra gennaio e febbraio 1944, soprattutto nella zona ad ovest della Cisa, sorgono qua e là piccoli gruppi armati, che gradatamente, sotto impulso di organizzatori militari prendono ad agglomerati in gruppi maggiori, i quali, a breve scadenza, assumeranno consistenti e ben definiti caratteri di bande autonome con intitolazione propria, come avvenne per il gruppo di Osacca”; <17 quest’ultimo, sotto la guida di Fermo Ognibene verrà nominato Distaccamento Picelli, dal celebre eroe delle barricate del 1922.
Altri importanti gruppi che daranno vita a vere e proprie Brigate si formarono in questo periodo: la banda Beretta, il gruppo Vampa, il Gruppo Monte Penna che divenne famoso per un episodio noto come “la beffa di Tasola” (tredici patrioti misero in fuga un ben maggiore numero di nazifascisti facendo credere di essere un battaglione). Come ricorda Carlo Squeri, patriota parmense, di questo gruppo fecero parte diversi partigiani, passati poi con compiti di responsabilità ad altre formazioni <18, di cui si tratterà abbondantemente in questo elaborato.
Durante l’inverno del 1944 si formò anche un’unica Brigata Garibaldi comprendente tutti i reparti di intonazione comunista, indica Tarantini, <19 delle tre provincie del Nord Emilia (Piacenza, Parma, Reggio), successivamente le brigate parmensi si renderanno autonome, prima fra tutte la 12a Brigata Garibaldi, comandata da Dario (Luigi Marchini). A parte qualche gruppo che rimase autonomo (ad esempio la Banda di Cato, Libero Malerba) annota Savani che “col sorgere delle brigate, i distaccamenti e le bande locali furono inquadrati in una delle formazioni principali a seconda delle affinità politiche o delle relazioni personali. Ogni brigata si diede gradualmente una certa organizzazione, le disposizioni dall’alto vennero dopo. L’indirizzo politico delle brigate riguardava il gruppo organizzatore, comandanti e commissari. In ogni brigata c’erano partigiani di ogni tendenza politica e molti giovani che erano senza partito” <20.
A Parma le formazioni più numerose erano quelle garibaldine, sorte per iniziativa dei comunisti e dei socialisti e le Julia sorte autonomamente. Infine vi era una brigata Giustizia e Libertà, nata sotto l’egida del Partito d’Azione che successivamente, per una crisi interna, si scinderà in due gruppi distinti. Oltre che alla connotazione politica, con lo strutturarsi delle brigate, vennero anche assegnate precise delimitazioni territoriali, a differenza del primo periodo in cui i gruppi vagavano senza una precisa assegnazione della zona.
[…] Se nei primi mesi i “comandi della resistenza non si sentivano ancora pronti ad affrontare combattimenti con truppe meglio addestrate, in marzo le azioni dei ribelli divennero sempre più audaci <21. Del resto, come osserva Tarantini, “la fase organizzativa, punteggiata da frequenti fatti d’arme è giunta ad un importante stadio evolutivo”; <22 da una parte aumenta il numero dei nuovi patrioti, dall’altra ogni brigata inizia a strutturarsi in unità minori facenti capo a un comando superiore, iniziando ad assumere gradatamente la struttura di brigata vera e propria.
Contemporaneamente muta anche la tattica adoperata dai nazifascisti che nei mesi successivi a marzo, si concentra sul controllo delle vie di comunicazione, conducendo sistematicamente puntate nelle zone di più intensa attività di guerriglia. <23 La stagione primaverile, è segnata soprattutto dalla crescita del movimento patriottico; tale affluenza, in particolar modo giovanile, è il risultato dei famosi Bandi Graziani, che imponevano ai giovani del ’23 e ’25 di entrare nelle file dell’esercito della Repubblica Sociale; tuttavia, lo scarso successo della chiamata alle armi indusse il governo fascista a inasprire le misure repressive, <24 istituendo la pena di morte per i renitenti.
L’inasprimento delle misure contro i giovani e le loro famiglie, indusse molti ragazzi a cercare rifugio nelle montagne ed entrare nelle file del movimento. “Il fermento era reale e la struttura semplice e snella delle bande non poteva più essere sufficiente a gestire numeri così elevati di volontari che avevano bisogno oltre che di addestramento alla guerriglia, anche di tutto il sostegno logistico”. <25 Come si è detto, le bande, in questo periodo, assunsero sempre più la fisionomia di brigate vere e proprie, operanti ognuna in una precisa vallata, per cui le azioni di guerra principali “sono protese alla liberazione dai presidi stanziali dislocati là dal nemico”. <26
In questo periodo si annovera un tragico episodio della lotta parmense quello della cattura, di un intero distaccamento, il Griffith, e l’incarcerazione di una quarantina di giovani ragazzi che ne facevano parte, alcuni dei quali, in seguito uccisi. Se fino alla primavera, le principali azioni tedesche erano puntate ad opera di 50-100 uomini contro un distaccamento o un comando, in estate, a partire da luglio, la strategia tedesca mutò e vennero impiegati migliaia di soldati per la cattura dei partigiani.
Come spiega Primo Savani, nel rastrellamento “veniva stabilito un largo cerchio alla base del sistema montagnoso che si intendeva investire, e per ogni strada, e per ogni valle si risaliva sino alla cima dei monti, frugando e sparando ovunque. Gli atti di barbarie erano all’ordine del giorno”. <27 A luglio iniziò il primo grande rastrellamento e fu forse il più duro e il più tragico, secondo Savani <28.
Nella prima fase il rastrellamento investì la Zona Est della Cisa, interessando i paesi di Tizzano, Corniglio, Traversetolo e Langhirano per poi passare verso la metà del mese alla Zona Ovest della Cisa. Tremenda fu la ferocia e la violenza che i tedeschi riversano non solo contro i patrioti ma anche contro civili ed interi paesi, tra i quali ricordiamo la strage di S. Maria del Taro, di Pellegrino Parmense e l’eccidio di Strela. Riflette Tarantini, di come queste operazioni furono solo in parte una sconfitta per le formazioni partigiane, “una battaglia perduta nell’arco della guerra, ma sta qui la forza profonda della Resistenza: dalla sconfitta emerse ingigantita la volontà di riscossa”. <29
Infatti a fine luglio, quando i tedeschi abbandonarono i territori, le formazioni erano già ricostituite e ristabilite nei propri territori: nella Zona Est della Cisa operano principalmente la 47a brigata Garibaldi e la 4a Giustizia e Libertà. Nella Zona Ovest si costituì il raggruppamento “Monte Penna” che si stanziò nella zona insieme alla 12a e la 31a Garibaldi e la 1a e 2a Julia. Con il mese di agosto il processo organizzativo e coordinativo delle brigate compie un importante balzo avanti con l’elezione e la nomina di un Comando Unico Militare, da parte dei comandanti e commissari delle Brigate.
[NOTE]
11 Primo Savani, Antifascismo e guerra di Liberazione a Parma. Cronache dei tempi, Guanda, Parma, 1972, cit. p. 95.
12 Ivi, cit. p.99.
13 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, cit. p.93.
14 Ivi, cit. p.38.
15 Ferdinando Cipriani, Guerra partigiana. Operazioni nelle Provincie di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, STEP Editore, Parma, 1947, cit. p.5.
16 Una stagione di fuoco. Fascismo guerra di Resistenza nel Parmense, a cura di Centro Studi Movimenti, FEDELO’S EDITRICE, Parma, 2015, cit. p.91.
17 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, cit. p. 104.
18 Carlo Squeri, Quelli del Penna, STEP cooperativa, Parma,1975, p.15.
19 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, p. 105.
20 P. Savani, Antifascismo e guerra di liberazione a Parma, cit. p.123.
21 Una stagione di fuoco, a cura di Centro Studi Movimenti p. 107.
22 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, cit. p. 112
23 Ivi p.113.
24 Una stagione di fuoco, a cura di Centro Studi Movimenti p.132
25 Ivi, cit. p.137.
26 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, cit. p. 129.
27 P. Savani, Antifascismo e guerra di liberazione, cit. p.128
28 Ibidem
29 L. Tarantini, Resistenza armata nel parmense, cit. p. 155.
Costanza Guidetti, La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018

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