Guardie di finanza al confine orientale verso la fine della guerra

L’11 settembre 1943 il comandante di Trieste, il colonnello Barnbeck <51, pubblica su «Il Piccolo» la seguente ordinanza:
Trieste è occupata dalle forze armate germaniche. Tutti i poteri sono perciò passati alle forze armate germaniche.
Nella mia qualità di comandante di Trieste, ho assunto la responsabilità della sicurezza, della tranquillità e dell’ordine pubblico.
La vita pubblica ed economica continua. I carabinieri, la guardia di Finanza, la Milizia, gli agenti di Pubblica sicurezza ed i vigili urbani assicurano il servizio d’ordine e di polizia. E’ fatto obbligo tassativo di ottemperare alle loro prescrizioni, in quanto essi sono ai miei ordini.
E’ vietato circolare dalle 21 alle 6 […]
Porte e finestre debbono rimanere chiuse durante le ore notturne.
Sono vietati assemblamenti e riunioni di più di 4 persone; le forze di polizia hanno ordine di impedirlo eventualmente con le armi.
E’ vietato il possesso ed il porto d’armi. Sono escluse dal divieto tutte le persone impiegate nel servizio d’ordine e di sicurezza. L’ingiustificato possesso di armi sarà punito con la morte.
Procederò con ferreo rigore contro ogni violazione dell’ordine, della sicurezza e della quiete pubblica. Atti di sabotaggio e di saccheggio saranno puniti con fucilazione immediata.
E’ mio fermo proposito di lasciare che la popolazione di Trieste continui la sua attività in piena tranquillità.
La scelta sta ora alla popolazione triestina. Ammonisco perciò ancora una volta vivamente la cittadinanza triestina e mi attendo da essa ragionevolezza ed assennatezza
“. <52
[NOTE]
51 Si tratta dell’Oberst Karl Barnbeck comandante del Grenadier Rgt. 211 della 71. Infanterie Division.
52 «Il Piccolo», 12.9.43
Giorgio Liuzzi, La politica di repressione tedesca nel Litorale Adriatico (1943-1945), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2004

Durante le ultime fasi del secondo conflitto mondiale, i reparti della Guardia di Finanza sul confine orientale erano stati suddivisi dai Tedeschi in tre compagnie autonome, con funzioni di ordine pubblico: a Trieste, avevano il compito di assicurare la completa agibilità della strada Trieste-Fiume; a Udine di controllare la rotabile tra Cividale e Caporetto; a Gemona, per servizi straordinari di sicurezza. Verso la seconda metà del 1944 il Tenente Mario Osana, Comandante della Compagnia di Gemona, e molti suoi dipendenti, passarono nei reparti partigiani, così come gran parte della compagnia di Udine e del suo Comandante, Capitano Mario Giannone. Fu così che i Finanzieri della Legione di Trieste, unico reparto armato, inquadrato ed ancora esistente sul posto, avevano combattuto e contribuito con il locale Comitato di Liberazione Nazionale alla cacciata dei Tedeschi dalla città, con l’obiettivo di occupare e presidiare gli impianti ed i depositi di importanza vitale. Infatti, nei giorni dell’insurrezione generale, dal 27 al 29 aprile 1945, molte furono le azioni di guerriglia da parte dei Finanzieri. Il Tenente Marcello Vanni, al comando di un plotone, occupò la centrale telefonica, catturando trentasette soldati tedeschi. Il Tenente Raffaele Pece prese possesso della stazione radio, impedendo al contempo il danneggiamento degli impianti da parte dei Tedeschi in ritirata. Le compagnie dei Capitani Domenico Veca e Gaetano Carulli occuparono la stazione ferroviaria, dopo un breve scontro a fuoco contro un reparto germanico. I Finanzieri del Capitano Giovanni Battista Acanfora, inoltre, presero possesso ed occuparono le caserme dell’Esercito Repubblicano, della milizia e del comando tedesco. Infine, gli uomini del Capitano Leonardo Savastano impedirono la distruzione e la demolizioni della zona portuale intorno al Molo Fratelli Bandiera.
Ma la fine della guerra a Trieste coincise per la popolazione con l’inizio di un altro incubo, ancor peggiore: si preannunciavano i tristi e dolorosi episodi legati alle foibe e all’esodo dalla Venezia Giulia, dall’Istria e dalla Dalmazia. Già il 7 febbraio 1945 a Malga Porzus, in provincia di Udine, si consumò il massacro della Brigata partigiana Osoppo, ad opera dei garibaldini comunisti alleatisi con il IX° Corpo sloveno del Maresciallo Tito. Nell’eccidio perì anche il Brigadiere della Guardia di Finanza Pasquale Mazzeo, effettivo della 3a Divisione Osoppo Friuli, con il nome di battaglia Cariddi. Lo stesso giorno, a Saciletto di Cervignano del Friuli, i Finanzieri Marcello Zanella e Giovanni Cecchi furono assassinati in un’azione terroristica mirante a colpire i comandi italiani più isolati. Tra aprile e maggio, intanto, le truppe jugoslave stavano occupando l’Istria, infoibando, arrestando e deportando numerosi civili e militari. Anche molti Finanzieri che erano in forza alle varie brigate della Guardia di Finanza dell’Istria erano stati catturati e molti altri avevano trovato scampo allontanandosi dalle zone più pericolose. Nei giorni successivi all’insurrezione generale a Trieste, il Colonnello Perisirio Marini subì arresti indiscriminati nel suo reparto da parte dei nuovi occupanti, offrendosi inutilmente al posto dei suoi uomini. Per queste sue azioni, Persirio Marini sarà decorato con la Medaglia d’Oro al Valore della Guardia di Finanza: “In difficile situazione politico-militare, quale Comandante di Legione dislocata sul confine orientale italiano in zona direttamente controllata dalle autorità germaniche, si oppose con decisione e con grave rischio personale agli intendimenti di utilizzare i militari dipendenti nel contrasto ai partigiani e, ove ciò non fu possibile, diede precise direttive affinché i reparti favorissero la resistenza segnalando i movimenti delle truppe tedesche e fornendo ai patrioti armi, munizioni ed equipaggiamenti. Nei giorni dell’insurrezione generale costituì con i Finanzieri dipendenti un battaglione di formazione che contribuì in modo determinante alla liberazione della città. Durante il periodo dell’occupazione jugoslava mantenne contegno fiero e fermo contro gli occupanti che operavano arresti indiscriminati tra i suoi dipendenti, offrendosi al loro posto per ottenerne la libertà. Luminoso esempio di attaccamento al Corpo, di altissimo senso di responsabilità e del dovere. Trieste, 8 settembre 1943-12 giugno 1945”.
Nel contempo, a Trieste ci fu un generale sbandamento di civili e militari italiani, preoccupati per l’occupazione della città da parte dei partigiani del Maresciallo Tito. Nello stesso periodo, quei pochi Finanzieri rimasti in città, si prodigarono per soccorrere ed assistere quei commilitoni sbandati e ricercati dagli Jugoslavi. Una particolare menzione meritano quegli ardimentosi Finanzieri di Trieste che, noncuranti del grave pericolo cui andavano incontro, si portarono, con autocarri, nelle varie località dell’Istria, salvando circa un centinaio di Fiamme Gialle. Il 1° maggio 1945 i soldati del IX° Corpo ed i partigiani di Tito entrarono a Trieste ed il successivo 2 maggio irruppero nella Caserma di Campo Marzio, mentre numerosi Finanzieri erano impegnati nel controllo degli ultimi nuclei di resistenza tedeschi, dove prelevarono i novantasette Finanzieri presenti per portarli a morire, forse, nella Foiba di Basovizza: tra essi anche i Capitani Giovanni Battista Acanfora e Eugenio Piucca ed il Sottotenente Francesco Tolardo. A fine guerra, come riportato nel volume La Guardia di Finanza sul Confine Orientale edito dal Museo Storico del Corpo, un testimone riferì di aver visto “presso Cave Auremiane, un campo cosparso di oggetti, di vestiario ed equipaggiamenti della Guardia di Finanza e di aver saputo che numerosi Finanzieri erano stati uccisi con le mitragliatrici”. Nel 1960, il Comando della Zona Triveneta della Guardia di Finanza inviò una richiesta al Comando Generale per apporre all’interno della Caserma Postiglioni una lapide a memoria dei quasi cento Finanzieri di Campo Marzio. La proposta, però, secondo il Commissario Generale del Governo Giovanni Palamara, avrebbe provocato “la reazione di Belgrado con probabili ripercussioni sui rapporti politici e commerciali faticosamente intrattenuti attualmente tra i due Stati”, così come dichiarato il 20 luglio 1960 in un documento ufficiale del Comando Generale. Palamara faceva poi osservare che la data “del 2 maggio 1945 da iscrivere nella lapide mette chiaramente in luce che i 97 dispersi furono trucidati durante il periodo in cui le forze jugoslave occuparono la città e perciò le vittime sarebbero da attribuire implicitamente allo Stato jugoslavo”. Cinque anni più tardi, il 3 maggio 1965, nel 20° Anniversario del sacrificio dei Finanzieri della Caserma di Campo Marzio di Trieste, il Comando Generale della Guardia di Finanza realizzava un opuscolo commemorativo. Dieci lunghe pagine riportavano i nominativi di 242 caduti (tra Ufficiali, Sottufficiali, Appuntati e Finanzieri) nella Venezia Giulia dopo l’8 settembre 1943. Come i loro resti mortali, anche le loro storie sono andate perdute, dimenticate e gettate nell’oblio. Assieme a loro, decine e decine di altri loro colleghi pagarono con la vita la sola colpa di essere rimasti al loro posto durante tutta la guerra, senza gettare la divisa e quelle Fiamme Gialle sulle mostrine a cui avevano giurato fedeltà.

Gabriele Bagnoli, Fiamme Gialle in guerra, scritto qui ripreso da Le Fiamme Gialle a Trieste e in Venezia Giulia, I Segreti della Storia, 1 febbraio 2020

Il paese di Forni di Sotto si trova nella zona nord-ovest della Provincia di Udine, si tratta di uno dei comuni più estesi della Carnia, a 35 km. da Tolmezzo. Forni di Sotto si compone di tre borgate collegate tra loro, ma formanti tre entità distinte chiamate Tredolo, Baselia e Vic. In esse si raccoglieva, nel 1944, tutta la popolazione del Comune, circa 1500 persone. La zona era da sempre di grande importanza per il passaggio della strada carnica che collega la provincia di Udine con quella di Belluno. Per i tedeschi questa linea di comunicazione era rilevante in quanto costituiva il collegamento diretto (attraverso il passo Mauria) tra le due zone d’Operazione: l’OZAK e l’Alpenvorland. Questa importante arteria di comunicazione si trovava sotto la giurisdizione del Comandante per la sicurezza di Spilimbergo <34; ad Ampezzo, invece, risiedeva l’Ortskommandantur di riferimento della vallata.
Il 26 maggio truppe tedesche e italiane entrarono in paese e lo incendiarono. Ma perché tale rappresaglia? Che nella zona ci fosse in atto una offensiva partigiana era oramai chiaro ai comandi tedeschi, così come era allo stesso modo chiaro alla popolazione locale che la reazione tedesca non sarebbe tardata ad arrivare. Il 20 maggio fu attaccato e conquistato il presidio della Finanza di Forni di Sotto, la caserma venne disarmata e i finanzieri rilasciati. «Il 22 maggio il brigadiere della finanza a Forni avvertiva il comando dei partigiani che i tedeschi “avevano brutte intenzioni”. Lo stesso giorno furono ritirate dal paese la Guardia di Finanza e la Guardia Forestale» <35.
[NOTE]
34 Sui Comandanti per la sicurezza vedi capitolo relativo alle forze di polizia nell’OZAK.
35 AO-P1, Forni di Sotto, doc. 6, Relazione sull’incendio di Forni di Sotto – del partigiano Carnicus (Pietro Pascoli) Carnia 1 giugno 44.
Giorgio Liuzzi, Op. cit.

Prima di entrare nel merito dei nomi indicati come “infoibati” a Basovizza sulla lapide, ricordiamo che sotto il fascismo la Guardia di Finanza non aveva solo compiti di controllo e repressione dei reati tributari, ma, fino al 25 luglio 1943 metteva il proprio personale a disposizione dei nuclei mobili di polizia dell’Ispettorato Speciale di PS; poi, dopo l’arrivo dei tedeschi, (nell’Adriatisches Küstenlandtutte le forze armate giuravano fedeltà al Reich ed al Führer) una parte di essa fu inquadrata in un corpo a sé stante, la Polizia economica, che non solo aveva un nome tedesco, Wirtschaftspolizei, ma si trovava alle dipendenze funzionali della SS e svolgeva anche compiti di ordine pubblico e repressione degli antifascisti[1].
Una parte della GdF ebbe inoltre funzioni di antiguerriglia alle dirette dipendenze di Christian Wirth, il “sovrintendente” del lager della Risiera di S. Sabba ed alcuni componenti di essa gli fecero da scorta armata nei suoi spostamenti. Reparti della Guardia di Finanza avevano il compito di mantenere «libera dai partigiani» la strada che collega Trieste a Fiume e per ottemperare a questo incarico compirono diverse azioni di rastrellamento sia contro gruppi partigiani che contro la popolazione civile; e bisogna ricordare inoltre che «la “sicurezza” della strada Trieste-Fiume, rimasta sempre assai precaria, comportò la distruzione selvaggia di decine di paesi sloveni e croati con stragi efferate come quella di Lipa (commessa da un reparto della MDT, n.d.a.) del 30 aprile 1944 dove furono trucidati 287 civili inermi, vecchi, donne, bambini (molti bruciati vivi o fatti a pezzi a colpi di baionetta)»[2].
In un documento dell’Ufficio Comando della 5^ Legione territoriale della Guardia di Finanza “del Friuli”[3], datato 3/8/45 con oggetto «lotta per la liberazione di Trieste, avvenimenti successivi (copia dell’originale)», inviato al Comando militare territoriale di Udine, leggiamo che la GdF rimasta nella Venezia Giulia dopo l’/8/9/43 avrebbe «svolto nei riguardi dell’invasore attività spiccatamente negativa» ed «occultato» armi e munizioni «destinandole al fronte della Libertà» (sic); e che si sarebbe messa a disposizione del CLN della Venezia Giulia nel marzo 1945[4].
Riguardo a questo ultimo punto, in effetti risale all’aprile 1945 un’annotazione del CLN giuliano nella quale si legge che «il Prefetto (Bruno Coceani, di nomina nazista, n..d.a.) sta organizzando un importante nucleo di forze repubblicane contro l’eventuale calata del IX Korpus di Tito. Naturalmente, in caso di necessità, noi siamo disposti a far causa comune con queste forze. Urge quindi sapere se possiamo assimilarle al momento opportuno al Regio esercito, sia pure con le opportune epurazioni e gli opportuni riti»[5]. Le «forze repubblicane» comprendevano Guardia civica, Guardia di Finanza, ed anche elementi della Polizia (persino dell’Ispettorato Speciale di PS); in pratica il progetto (fortunatamente non realizzato) del CLN giuliano sarebbe stato di organizzare una “resistenza” con le forze collaborazioniste per impedire ad un esercito alleato di entrare in città, quindi in totale violazione delle direttive del CLNAI e del legittimo governo italiano.. Va ricordato che l’Esercito jugoslavo era considerato “alleato” nella compagine antinazifascista (al pari di Gran Bretagna, Stati Uniti, Unione Sovietica), mentre l’Italia del Sud era considerata solo come “cobelligerante”, quindi i CLN locali che intendevano combattere al fianco di forze repubblichine (e quindi alleate dei nazisti) contro un esercito alleato, andavano a rompere gli accordi internazionali sottoscritti dallo stesso Regno d’Italia.
La relazione dell’agosto ’45 prosegue parlando dell’insurrezione di Trieste, che secondo l’estensore sarebbe terminata il 30 aprile con la liberazione della città prima dell’arrivo dell’Esercito jugoslavo (ma ricordiamo che i combattimenti in città proseguirono fino al 3 maggio, con i nazisti asserragliati tra l’altro nel castello di San Giusto e nel Palazzo di Giustizia); in seguito, scrive il relatore, gli Jugoslavi arrestarono finanzieri, guardie civiche e poliziotti che avevano partecipato all’insurrezione (cioè appartenenti a corpi collaborazionisti inquadrati all’ultimo momento nei ranghi del CVL giuliano, presumibilmente nell’ambito di quel progetto da alto tradimento proposto dal prefetto nazista e con la collaborazione di alcuni settori del CLN giuliano).
In pratica, al momento dell’insurrezione di Trieste accaddero due gravi incidenti tra finanzieri ed Esercito jugoslavo.
Il primo riguardò un battaglione di finanzieri di stanza a Roiano, i cui comandanti si erano accordati con la Kosovelova Brigada (aggregata al IX Korpus jugoslavo), scesa dal Carso ed arrivata in città nella zona di Roiano appunto, affinché tenessero sotto tiro i tedeschi che si trovavano a presidiare la stazione centrale ed il porto vecchio. Ma nel corso dei combattimenti ad un certo punto i tedeschi penetrarono alle spalle della Kosovelova proprio dal punto in cui avrebbero dovuto essere tenuti sotto controllo dalla Guardia di Finanza. I partigiani lo interpretarono come un tradimento da parte dell’Arma e per questo motivo disarmarono i finanzieri e ne arrestarono diversi[6]. La brigata del CVL che operava a Roiano era la Foschiatti(organizzata dalla formazione di Giustizia e Libertà) che aveva fissato la propria sede di riferimento per l’insurrezione proprio nella caserma della Guardia di finanza di via Udine 81, a Roiano.
Un altro episodio, ancora più grave, riguarda invece i finanzieri della caserma di Campo Marzio che, poiché non erano stati informati dai loro superiori che la formazione era stata messa a disposizione del CLN triestino, invece di combattere a fianco della IV Armata jugoslava scesa in città, spararono contro di essa assieme ai militari germanici, che erano accasermati nello stesso edificio. Di conseguenza una settantina di finanzieri sarebbero stati arrestati ed internati nei campi di prigionia jugoslavi; secondo Giorgio Rustia, che ha citato un documento senza però renderlo pubblico, 77 di questi sarebbero stati uccisi a Roditti presso Divača, a pochi chilometri da Trieste[7].. Questa ricostruzione viene però contraddetta da altri documenti. In alcune lettere di familiari di finanzieri arrestati a Campo Marzio (conservate nell’archivio della Croce Rossa Slovena di Roman Pahor[8]), leggiamo che gli arrestati sarebbero stati invece 71 (tre ufficiali e 68 militi) e sarebbero stati portati dapprima in villa Necker (che era stata sede del Comando germanico a Trieste), poi presso l’oratorio dei Salesiani nel rione di San Giacomo (nei pressi della caserma di via dell’Istria) ed infine visti transitare lungo la Strada di Fiume, per destinazione ignota. E sulla Voce Libera del 24/7/45 fu pubblicato un appello a «chi avesse notizia di 98 uomini della GDF arrestati a Campo Marzio il 1° maggio scorso e condotti prima in via dell’Istria, indi Basovizza, poi – sembra – a Cirquenizza donde il 23 giugno sarebbero partiti per Carlovaz».
Inoltre diversi nominativi di arrestati a Campo Marzio si trovano in un elenco di internati a Borovnica[9], il che significa che almeno una parte di questo gruppo non può essere stata fucilata a Roditti come sostiene Rustia. Ed ancora, Carlovaz si trova sul litorale croato, mentre Borovnica è oltre Lubiana, in direzione dell’Austria.
Per complicare il tutto, citiamo infine un’altra versione, riportata da Roberto Spazzali: la sera del 30 aprile «quando a Trieste non erano ancora entrate le truppe jugoslave», il comandante della Brigata Frausin del CVL Vasco Guardiani[10], che si trovava nella Curia per parlare col Vescovo, vide passare i finanzieri «prelevati dalla caserma di Campo Marzio, scortati da operai dei Cantieri navali»[11].
Non è dato sapere il motivo per cui sarebbero stati fatti questi arresti prima dell’insurrezione, né tantomeno come Guardiani fosse in grado di identificare la provenienza dei prigionieri e la qualifica di chi li aveva arrestati guardando dalle finestre della Curia: però ricordiamo che stando ai “diari” del CVL[12], nei cantieri si sarebbero “insinuati” membri della Brigata Frausin, che era comandata proprio da Guardiani.
Considerando infine che era compito della brigata Timavo (per la precisione del battaglione agli ordini del tenente colonnello Domenico Lucente[13]) prendere il controllo della caserma di Campo Marzio, possiamo anche domandarci quale responsabilità ebbero in questi incidenti i dirigenti del CVL, che evidentemente non avevano informato esattamente i finanzieri in merito agli accordi presi. E non si può fare a meno di notare la coincidenza del fatto che ambedue gli incidenti tra Guardie di Finanza ed Esercito jugoslavo scoppiarono proprio dove assieme ai finanzieri erano accasermati anche membri del CVL (a Roiano la Brigata Foschiatti, a Campo Marzio la Brigata Timavo), di conseguenza possiamo anche domandarci quale responsabilità ebbero in questi incidenti i dirigenti del CVL, che evidentemente non avevano informato esattamente i finanzieri in merito agli accordi presi.
Torniamo ai nomi presenti sulla lapide che ricorda i finanzieri asseritamente “infoibati” a Basovizza: quasi tutti i nominativi di coloro che avevano prestato servizio a Campo Marzio compaiono in elenchi di internati nel campo di Borovnica redatti nell’estate del 1945 (47 nominativi sui 53 totali: si può peraltro presumere che anche questi sei siano stati condotti a Borovnica assieme agli altri commilitoni). Abbiamo anche trovato un’annotazione relativamente al finanziere di stanza a Campo Marzio Tommaso Saraceni, che sarebbe stato fucilato a Roditti: possiamo presumere che la maggior parte della truppa sia stata internata a Borovnica ma siano stati fucilati subito i militi ritenuti responsabili dell’attacco contro gli Jugoslavi. Risultano internati a Borovnica anche altri due finanzieri di cui non abbiamo trovato il reparto di provenienza, ed il finanziere di stanza a Fiume Carmine Barone, che peraltro risulta riportato due volte nell’elenco (ultimo della prima colonna e primo della seconda), così come sono duplicati i nomi di Celestino Fiorenza (nella prima e nella seconda colonna) e di Giardino che appare trascritto anche come Giandino (senza indicazione del nome proprio). Sono riportati inoltre in modo errato i cognomi Pieranico (correttamente Pieramico), e Moleo, correttamente Molea Domenico, di stanza alla caserma di via Udine, che inoltre molte testimonianze danno come deceduto nel corso del trasferimento verso Prestranek.
Quindi, dei 97 nominativi indicati sulla lapide come “infoibati a Basovizza” nei primi giorni di maggio 1945, 48 risultano internati a Borovnica, uno morto altrove, tre sono duplicati, e dei rimanenti non abbiamo reperito dati sufficienti a definirne la sorte. Ma considerando che i recuperi dal pozzo della miniera di Basovizza, oggi monumento nazionale, effettuati dagli angloamericani nell’autunno del 1945 si conclusero con la riesumazione di una quindicina di salme, alcune in divisa tedesca e le altre in abiti civili (tra le quali una donna), ci sembra abbastanza chiaro che i finanzieri arrestati a Trieste dagli Jugoslavi durante i combattimenti per la liberazione della città, e non rientrati dalla prigionia, qualunque sia stata la loro sorte, sicuramente non sono stati “infoibati” a Basovizza.
[NOTE]
[1] Testimonianza del maresciallo Renato Cangiotti, raccolta da Vincenzo Cerceo (cfr. “Le Fiamme Gialle nel Litorale Adriatico”, dossier n. 56, la Nuova Alabarda, Trieste 2018).
[2] ANED Ricerche, “San Sabba. Istruttoria e processo per il Lager della Risiera”. ANED-Mondadori, 1988, p. 27/II e p. 25/I.
[3] I finanzieri di Trieste dipendevano dalla Legione di Udine.
[4] Archivio Ministero Affari Esteri, catalogato col n. CCXL.
[5] Annotazione del CLN triestino d.d. 18/4/45, in AUSSME, b. 91, n. 83401, 83402, 83403.
[6] Testimonianza di un ufficiale del IX Korpus, aggregato alla Kosovelova Brigada, raccolta da Samo Pahor.
[7] Lettera pubblicata su Trieste Oggi il 25/4/01.
[8] Archivio Odsek za zgodovino (OZZ), NOB 23.
[9] Arhiv Slovenije, Lubiana, zks ae 135.
[10] Guardiani fece poi parte della struttura Gladio.
[11] R. Spazzali, “… l’Italia chiamò”, Libreria Editrice Goriziana 2003, pag. 311.
[12] In Archivio IRSMLT 1156.
[13] AA. VV., “I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco Udine 1960, p. 108.
Claudia Cernigoi, Il caso dei finanzieri scomparsi nel maggio 1945 da Trieste, Facebook, 2019

Nel Friuli meridionale l’insurrezione ebbe inizio il 26 aprile <18, pochi giorni dopo insorse Cervignano. La cittadina, da sempre uno dei centri più importanti della zona, fu a partire dal 1944 una sorta di «quartier generale» per il movimento resistenziale della Bassa Friulana. Oltre ai reparti del GAP, all’organizzazione dell’Intendenza Montes, agì nella zona il Btg. Garibaldi «Fontanot», nella cittadina, secondo Colonnello, operavano nel marzo del 1945 circa 170 partigiani. Cervignano, con i suoi ex perseguitati politici, fu similmente a Monfalcone e qualche altra cittadina, tra i primi ad attivarsi per la lotta di liberazione, sempre pronta nel fornire uomini per le unità operative o materiale e provviste per le unità di montagna.
Il 28 aprile dopo un attacco esplorativo operato da forze gappiste, il comando della «Fontanot» diede ordine di procedere a una serie di attacchi simultanei in tutta la cittadina. I garibaldini furono sostenuti da alcuni carabinieri, dalle Guardie di Finanza e da un reparto della Osoppo (una unità della 12ª Brigata Osovana). Gli attacchi degli insorti furono tanto rapidi e decisi che il comando tedesco della Piazza tardò a reagire e in breve tempo fu sopraffatto. Intanto altre unità partigiane assalirono il comando aeronautico e il comando FLAK insediato a «Villa Triestina» (una villa lungo la rotabile per Udine) e lo conquistarono senza perdite. Furono liberate poi la stazione ferroviaria, il deposito delle locomotive e rimosse le mine e gli esplosivi posti dai tedeschi lungo la linea ferroviaria.
[…] La colonna nemica fu affrontata dal battaglione garibaldino alla periferia sud di Cervignano e venne bloccata in via XXIV Maggio a ridosso del cimitero: nello scontro persero la vita 3 partigiani e tre tedeschi. Nella notte uomini della colonna tedesca catturarono un partigiano garibaldino che fu fucilato subito proprio nei pressi del cimitero.
Il giorno seguente, domenica 29 aprile, i tedeschi riorganizzarono le forze e rioccuparono dopo duri scontri la cittadina. All’azione parteciparono unità delle SS (tra cui gli uomini della colonna proveniente da sud che era rimasta alla periferia della cittadina), tra cui è certa la presenza della 7. Compagnia della Divisione Cacciatori del Carso, con l’ausilio di altri piccoli reparti (probabilmente della Kriegsmarine o della Luftwaffe) giunti dalle vicine Isola Morosini e Fiumicello <20. Il grosso dell’unità era quindi composto da SS della Divisione Cacciatori del Carso. Dopo aver rioccupato la zona i tedeschi rastrellarono 22 civili e li fucilarono per rappresaglia: 13 furono portati in località «Tre ponti», a sud della strada Cervignano – Torviscosa tra il fiume Taglio e l’Aussa; 9 furono invece fucilati nell’immediata periferia di Cervignano lungo l’argine del fiume Aussa alle spalle della fornace Sarcinelli. Tra le persone fucilate ci furono anche il comandante della stazione dei Carabinieri del paese, maresciallo Cirino Mazzullo, il vicebrigadiere Baldassare Aranciotto, altri due carabinieri della caserma e quattro uomini della Guardia di
Finanza, gli altri 14 erano civili.
[NOTE]
18 Sull’azione insurrezionale cfr.: G. Colonnello, Guerra di Liberazione cit., pp. 266-290.
20 Sui reparti tedeschi cfr.: S. Di Giusto, Operationszone Adriatisches Küstenland cit., p. 672; S. Corbatti – M. Nava, Karstjäger cit., p. 66; R. Michaelis, Die Gebirgs-Divisionen cit., p. 276.
Giorgio Liuzzi, Op. cit.

Il dissolvimento delle strutture del Regio Esercito ebbe conseguenze tragiche nella Venezia Giulia, dove le comunità italiane dell’Istria rimasero esposte alla rivolta della popolazione croata, e si verificò la prima fase della vicenda delle “foibe”. I carabinieri ed i finanzieri furono i soli a sacrificarsi, in una quantità di episodi in gran parte rimasti ignorati. Un nome può essere ricordato,quello del maresciallo Antonio Farinatti, comandante della brigata di Parenzo, il quale dopo essere riuscito, con il collega dei Carabinieri, a costituire un comitato di autodifesa cittadino, fu trucidato e gettato nella foiba di Vines.
Pierpaolo Meccariello, La Guardia di Finanza e l’8 Settembre, Atlante degli I.M.I. Sardegna, 25 aprile 2020

Dopo la fine della guerra (maggio 1945) da Trieste scomparvero poco più di 500 persone, comprendendo in questo numero i prigionieri di guerra (militari e guardie di finanza) che morirono nei campi di lavoro, i collaborazionisti arrestati dai partigiani che furono successivamente processati e condannati a morte per crimini di guerra ed infine le vittime di vendette personali.
[…] Nei primi giorni di maggio i partigiani arrestarono molte persone, in base a degli elenchi di collaborazionisti che avevano portato con sé. Gli arrestati venivano portati a Basovizza, dove aveva sede il Tribunale del Popolo. Dopo il processo gli arrestati, se giudicati colpevoli, venivano inviati a Lubiana per essere processati da un tribunale regolare. Si può supporre che gli ufficiali della IV Armata (che, come riferito da Source, erano contrari alle esecuzioni sommarie) avessero deciso di condannare a morte i prigionieri tanto per calmare gli animi della popolazione inferocita (che, ricordiamo, aveva patito arresti, torture, perdite di persone care e distruzioni dei propri beni da parte dei nazifascisti), e poi li abbiano fatti condurre verso l’interno della Slovenia, a Lubiana o nei campi di lavoro. Ricordiamo anche che molti prigionieri sono rientrati dalla prigionia in Jugoslavia: da tutta la provincia di Trieste le persone (civili e militari) che sono decedute o non hanno fatto ritorno dopo essere state arrestate dai partigiani sono poco più di 500. Tanto per fare quella che Spazzali definì la “contabilità dei morti”, ricordiamo che di questi 500 circa 150 furono i militari internati nei campi, e non rientrati; un centinaio le Guardie di Finanza che facevano parte di un gruppo arrestato a Trieste perché al momento dell’insurrezione avevano sparato contro i partigiani, seguendo ordini dati loro erroneamente; altri 150 erano membri della Polizia (di questi 69 avevano fatto parte dell’Ispettorato Speciale di P.S., la famigerata “banda Collotti” che si macchiò di orribili crimini, torture, violenze carnali, saccheggi); i rimanenti erano per lo più collaborazionisti di vario tipo, però rimangono alcune persone delle quali non si sa molto o che furono vittime di vendette personali.
Claudia Cernigoi, Foibe tra fiaba e mito, La Nuova Alabarda

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Una risposta a Guardie di finanza al confine orientale verso la fine della guerra

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