Politicamente, la resistenza fu un fatto collettivo e coinvolse tutti i partiti

Al nord, già dal settembre del 1943, dopo la liberazione di Mussolini dalla prigionia, era risorto un nuovo stato fascista, la Repubblica Sociale Italiana (RSI) con capitale a Salò. Se ne poneva alla guida un nuovo Partito nazionale fascista repubblicano, epurato da monarchici, badogliani e moderati (fra cui anche il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano). Il nuovo regime cercò subito di reclutare un nuovo esercito, da schierare a fianco di quello tedesco, e di proporre anche un programma politico che si rifaceva al primo fascismo rivoluzionario, ma la sua credibilità restava minata in origine dalla stretta dipendenza cui lo assoggettarono i tedeschi, che si comportavano come occupanti requisendo risorse economiche e umane.
Qui l’opposizione alla occupazione si manifesta con diverse modalità. La massa popolare si esprime con gli scioperi operai nelle città di Torino e Milano. Sono scioperi di lunga durata e carattere marcatamente politico.
Secondo Chabod una analisi della Resistenza nella pienezza del suo sviluppo è però possibile solo osservando la situazione che si verifica appunto nel nord della penisola italiana. Qui, per oltre un anno e mezzo, permane l’occupazione tedesca sostenuta dalla repubblica di Salò. Qui sono perdurate più a lungo le organizzazioni armate e qui la resistenza creò anche delle repubbliche partigiane, amministrate secondo modelli di autogoverno popolare. Qui si manifestarono, a causa delle difficoltà e della lunga durata della lotta, aperti conflitti anche interni al movimento partigiano; qui fu particolarmente difficile mobilitare e coinvolgere nella resistenza popolazioni duramente provate dai bombardamenti, propense a non esporsi e ad attendere l’intervento risolutivo degli alleati.
La resistenza armata, di cui si è detto sopra, organizzata in divisioni e brigate coordinate da un comando centrale unico, viene affiancata da altre formazioni. Nelle città operano i Gap (Gruppi di azione patriottica), costituiti già nel novembre del 1943, per iniziativa comunista, con lo scopo di realizzare attività di sabotaggio e attentati politici. Durante l’estate del 1944 nascono anche, sempre per iniziativa comunista, le SAP (Squadre di azione patriottica), che provvedono nelle campagne emiliane alla difesa della popolazione dai soprusi e le coercizioni degli occupanti.
Analizzando la composizione sociale dei gruppi che parteciparono alla resistenza, gli storici hanno dovuto registrare che vi sono comprese tutte le classi sociali.
Nota però Chabod che, mentre per la borghesia si tratta della naturale prosecuzione di quel volontariato tradizionale che l’aveva vista protagonista nelle guerre di indipendenza e nella Grande guerra, per quanto riguarda invece le masse si tratta di un fenomeno del tutto nuovo. Operai, artigiani, contadini sono ormai in gran numero partecipi in modo attivo e deciso della vita politica e lo resteranno anche dopo la fine del conflitto.
Per quanto riguarda l’aspetto politico della Resistenza, questa connotazione non fu presente in tutte le formazioni. Alcune mantennero un carattere esclusivamente militare, altre vollero definirsi autonome, mantenendosi indipendenti dai partiti. Molte però hanno sia un carattere militare che una appartenenza politica. Fra queste le brigate Garibaldi, comuniste, schierarono il maggior numero di formazioni, in special modo in Liguria ed Emilia. Le brigate Giustizia e Libertà, del Partito d’Azione, furono invece preponderanti in Piemonte.
Politicamente, la resistenza fu un fatto collettivo e coinvolse tutti i partiti, i quali riuscirono a mettere da parte le divergenze, almeno nel momento in cui si richiedeva il maggior sforzo comune per la liberazione. Tuttavia le differenze fra i partiti, naturalmente, erano assai marcate e ciò provocava accese discussioni all’interno del Comitato di Liberazione. La tendenza rivoluzionaria dei partiti di sinistra, decisi a rivoluzionare la struttura del vecchio stato liberale, si scontra con la visione conservatrice di liberali e democristiani decisi, all’indomani della fine del conflitto, a ritornare al vecchio tipo di stato, opportunamente riformato. Per questi ultimi le formazioni armate sono la continuazione dell’esercito regolare. Per gli altri invece la spinta a combattere viene da una forte esigenza di rinnovamento politico e sociale, bene espresso da una circolare del marzo 1944, inviata dal commissario politico del
Partito d’Azione di Cuneo ai suoi sottoposti, in cui si elencano alcune direttive che devono improntare l’azione dei partigiani:
“1) ficcare bene in testa ai partigiani che essi sono soldati di un esercito nuovo e rivoluzionario, l’Esercito di Liberazione Nazionale, il quale non s’identifica, e nemmeno succede, come erede e continuatore, al vecchio esercito regio così miseramente fallito; 2) spiegare che cos’è il Comitato di liberazione nazionale: unico organo che, dopo la fuga del re, dei suoi cortigiani e ministri, ha alzato la bandiera della resistenza attiva contro i nazisti e i fascisti, ed ha promosso, ispirato, sostenuto, continuato questa lotta. Si tratta in sostanza del vero ed autentico governo nazionale nell’Italia invasa, e solo da questo governo e non dal governo Badoglio, le formazioni partigiane possono ricevere ordini e direttive; 3) illustrare la fisionomia, i compiti e gli obiettivi dell’Esercito di Liberazione Nazionale. In particolare spiegare chiaramente che i soldati di questo esercito non sono tanto, o almeno non sono solamente i campioni di un generico patriottismo, che mirano semplicemente a “cacciare lo straniero dal sacro suolo della patria”, quanto piuttosto il braccio armato e l’avanguardia risoluta di un moto di rinnovamento, di un processo rivoluzionario, che investe tutta la struttura politica e sociale del paese e dovrà dare all’Italia, avvilita e infamata dalla tirannia fascista avallata e sostenuta da ben note complicità, un volto nuovo di nazione libera, democratica, civile”. <61
Questa era la situazione fino all’estate del 1944. Il numero dei partigiani si era fortemente accresciuto, anche grazie al reclutamento di molti renitenti alla chiamata dell’esercito di Salò. Ma era necessario rifornirli di armi e verso la fine dell’anno gli alleati si dimostrano preoccupati del crescente fenomeno partigiano e del suo colore politico. Si teme un movimento politico rivoluzionario, ma in ogni caso è poco desiderato anche un apporto massiccio degli italiani alle operazioni militari. Esse intanto subiscono un notevole rallentamento poiché gli Alleati sono impegnati su un nuovo fronte. Nel giugno del 1944 era avvenuto infatti lo sbarco in Normandia, cui seguì la rapida liberazione della Francia, completata alla fine di settembre. In conseguenza di ciò il fronte italiano era passato in secondo piano.
Nel novembre del 1944 un proclama del generale inglese Alexander invitava i partigiani a sospendere le operazioni su vasta scala. In dicembre, tuttavia, si definiscono per il CLNAI i presupposti che gli permettono di agire col pieno appoggio degli alleati e del governo.
E’ del 7 dicembre l’accordo con gli alleati, i quali richiedono e ottengono che venga istituito un comando superiore partigiano, il Corpo dei volontari della libertà (CVL), capeggiato da un generale dell’esercito regolare italiano. Al suo fianco, come vicecomandanti, ci sono l’azionista Parri e il comunista Longo. Gli alleati richiedono l’impegno dei partigiani nella salvaguardia degli impianti industriali e nel mantenimento dell’ordine al momento del ritiro del nemico. Pretendono inoltre l’impegno a riconoscere il governo militare alleato e a trasmettergli tutti i poteri al momento della liberazione. Essi, a quel punto, passeranno alle dipendenze del comandante alleato ed eseguiranno tutti gli ordini, compreso quello di deporre le armi e sciogliere le bande.
Il 26 dicembre è invece la data dell’accordo col governo Bonomi, il quale riconosce il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI) quale organo dei partiti antifascisti sul territorio occupato dal nemico. Il Governo italiano delega il CLNAI a rappresentarlo nella lotta che i patrioti hanno impiegato contro i fascisti e i tedeschi nell’Italia non ancora liberata. Il CLNAI accetta di agire a tal fine come Delegato del Governo italiano il quale è riconosciuto dai governi alleati come successore del governo che firmò le condizioni di armistizio, ed è la sola autorità legittima in quella parte d’Italia che è già stata o sarà in seguito restituita al Governo italiano dal Governo militare alleato. <62
Questi due accordi sono indubbiamente un successo della resistenza, ma sono anche frutto di un compromesso che sacrificava la componente rivoluzionaria per acquistare una fisionomia “legale”. Le aspirazioni ad un totale rivolgimento politico e sociale vanno progressivamente perdendo forza, schiacciate all’esterno del CLNAI dall’azione degli alleati e del governo e scacciate all’interno del CLNAI stesso dall’azione dei partiti moderati (liberale e democristiano).
[NOTE]
61 Citato in FEDERICO CHABOD, L’Italia contemporanea, cit., pp.132.
62 Citato ivi, a p. 136
Eleonora Giaquinto, L’Archivio di Nello Traquandi (1926-1968). Inventario, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Firenze, Anno accademico 2009-2010

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Pensionato di Bordighera (IM)
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