Nella riunione di Pisino fu pronunciata l’annessione dell’Istria alla Croazia

Benché di rilevanza bellica, fino al 1943 Pola non aveva subito dirette conseguenze dal conflitto. La vita, condizionata dalle ristrettezze di guerra e dalla comprensibile preoccupazione per i congiunti sotto le armi e sui fronti più lontani, scorreva con relativa tranquillità e quella estate si era aperta con le direttive prefettizie per la trebbiatura. <11 Eppure l’apertura del fronte jugoslavo, l’annessione di territori sloveni e croati e la conseguente dissoluzione del vecchio confine, non più presidiato, comportò fatti nuovi in regione con il rientro di alcuni esuli politici che si era organizzati a Lubiana e Zagabria con l’intenzione di risvegliare l’orgoglio nazionale della popolazione slava. A questi si aggiunsero gli attivisti comunisti italiani, sloveni e croati, presenti clandestinamente nella Venezia Giulia e oggetto dell’attività di prevenzione antifascista da parte dello Stato italiano.
Tra la fine del 1941 e la primavera dell’anno successivo la presenza di comunisti e antifascisti era di dominio pubblico. Ma a differenza della provincia di Trieste, in Istria ci fu una rapida cooptazione del movimento antifascista all’interno del Movimento Popolare di Liberazione e il Partito Comunista Croato mantenne scarsi rapporti con i compagni italiani. Così scriveva Luciano Giuricin nel 1982: “i rapporti del Partito Comunista Jugoslavo con il Partito Comunista Italiano e in seguito della resistenza jugoslava con quella italiana verranno sempre mantenuti quasi esclusivamente dal PC sloveno mettendo in secondo piano il PC croato.” <12
Inizialmente l’organizzazione si muoveva nella campagna, in zone dove maggiore era la certezza della copertura da parte della popolazione oppure in località isolate e difficilmente accessibili, ma dal 1943 questa iniziò ad estendere la sua azione anche in quelle località dove la presenza di operai e proletariato, la cui esperienza di iniziale lotta contro il fascismo non era stata dimenticata, poteva garantire una certa presa. Ecco allora il fiorire di nuove strutture (SKOJ – Gioventù comunista jugoslava, AFŽ – Fronte femminile antifascista, USAOH – Gioventù antifascista croata) soprattutto tra i croati, e di Comitati Popolari che raccoglievano tanto vecchi patrioti croati che militanti comunisti che sfruttarono la costituzione – e l’occasione fu abilmente colta da entrambi – del Movimento Popolare di Liberazione per imporre la propria linea. Su questo i comunisti italiani in Istria rimasero spiazzati ed erano meno convinti di una prospettiva politica che prevedesse alla fine della guerra l’annessione della regione alla Jugoslavia; o meglio attendevano un pronunciamento ufficiale dei vertici del proprio partito. Così osserva Luciano Giuricin: “volevano precisi accordi tra le rispettive organizzazioni, ritenendo altresì che il diritto all’autodeterminazione valeva anche per la popolazione italiana come riconosciuto dai precedenti accordi stipulati negli anni Trenta fra i due partiti, e che la questione dell’appartenenza statale, da rimandare nel dopoguerra, non avrebbe dovuto ostacolare l’azione comune da intraprendere contro il fascismo…” <13
Però secondo Ottavio Paoletich, il quale cita studi e testimonianze di parte jugoslava, agli inizi del 1943 si tenne a Pola una riunione tra i due partiti comunisti, in cui si decise che su tutta l’Istria e il Litorale sloveno cessava l’influenza del PCI, salvo che per le città di Trieste e Rovigno: decisione avallata da un delegato comunista italiano di cui si ignora l’esatta identità. <14
Nel marzo ‘43 a Pola operava un nucleo del Movimento Popolare di Liberazione che si avvaleva pure della collaborazione di 35 attivisti comunisti in base ad un altro accordo che prevedeva la presenza organizzata dei due partiti distinti nazionalmente. Ed infatti il 1° giugno furono lanciati dei volantini in italiano e croato rivolti, distintamente, “Al popolo istriano” e “Agli italiani dell’Istria” in cui si incitava alla mobilitazione e alla costituzione dei Comitati Popolari. <15
La situazione, come già accennato, subirà un’altra svolta con il rilascio dei detenuti politici in seguito alla caduta del regime fascista; però i dirigenti comunisti italiani rientrati si troveranno davanti ad una situazione molto diversa da quella lasciata prima del loro arresto. Allo sconcerto di alcuni si contrappose l’entusiasmo di altri che nel frattempo, durante il periodo detentivo, si erano orientati o si erano fatti convincere da altri detenuti sloveni e croati sugli scopi di una lotta comune, avallando di fatto pure i disegni annessionistici. <16 Di fatto soltanto con il rientro dal carcere di Alfredo Stiglich e la costituzione del comitato federale istriano del PCI furono stabiliti rapporti ufficiali e paritetici con gli organi comunisti croati. Tale accordo contribuì l’8 settembre 1943 alla costituzione a Pola del “Comitato di Salute Pubblica” formato da esponenti del MPL, sotto la direzione del PCC e da esponenti del PCI che avrebbe dovuto organizzare la vita pubblica, mobilitare la popolazione e istituire una forza militare. <17
È un fatto, come osserva Ottavio Paoletich, poco considerato dagli storici istriani, anche perché quella dirigenza comunista italiana non fu mai riconosciuta dalla controparte croata e nemmeno invitata alla famosa riunione di Pisino (25 settembre 1943) in cui fu pronunciata l’annessione dell’Istria alla Croazia (Jugoslavia). Si badi che allora la posizione dei comunisti italiani era per il plebiscito e non per iniziative unilaterali e tale posizione fu anche capzioso motivo per i dirigenti croati per addossare a quelli italiani il tracollo subito nell’ottobre 1943 per mano dei tedeschi. Non una “prematura scomparsa” di costoro, come se le cose accadessero per caso, ma l’arresto di gran parte di loro con l’eliminazione o la deportazione in Germania, quindi la demolizione dell’intera struttura fino agli arresti di Vincenzo Gigante e Luigi Frausin.
Commenta Ottavio Paoletich: “non si può escludere che tutte queste tragiche conseguenze fossero la risultanza di una posizione dogmatica, di intolleranza intransigente che mal sopportava una dirigenza paritetica del PCI e un movimento di resistenza nazionale “distinto” nei territori rivendicati dagli jugoslavi. Intransigenza di mezzi e metodi, forse anche di iniziative personali, al fine di neutralizzare direttamente o indirettamente chiunque vi si apponesse.” <18
“El ribaltòn” del ‘43
Con il 26 luglio 1943 il generale Alberto Ferrero, comandante del XXIII Corpo d’Armata assumeva la tutela dell’ordine pubblico sull’intera regione, in applicazione delle direttive impartite dal Comando Supremo e del Governo Badoglio, e tre giorni più tardi il redattore anziano Rodolfo Manzin diventava direttore del “Corriere Istriano” in sostituzione di Giovanni Maracchi. Oltre alle inevitabili disposizioni a regolare il comportamento della popolazione, ai provvedimenti di epurazione toponomastica e di nomina delle nuove autorità – Antonio De Berti diventa il commissario prefettizio di Pola, compaiono i primi articoli intonati alla riconciliazione con la popolazione croata anche per limitare le apprensioni intorno al futuro della regione; “noi dobbiamo anzi avere costantemente presente questa necessaria, indispensabile funzione complementare e integratrice, nella vita economica della provincia, della popolazione rurale di lingua slava, come l’avemmo presente nel passato. (…) E se vi furono dei periodi in cui fra queste due nazionalità si verificarono degli urti, ciò derivò da calcoli e sistemi politici perseguiti da chi si riprometteva da queste divisioni la possibilità di dominare l’una e l’altra.” <19
Però intorno al quotidiano continuavano a gravitare figure del passato regime che proponevano articoli ora concilianti ora apprensivi ed allarmati che avevano per finalità, come ammise più tardi Rodolfo Manzin, la costituzione di un fronte politico e organizzativo italiano, un nuovo “blocco nazionale” in cui recuperare tutti coloro che si erano comportati onestamente nel recente passato e che potevano essere ancora utili alla causa dell’italianità dell’Istria. <20 Probabilmente si riferisce all’estrema sortita del prefetto Emanuele Zanelli, appena giunto in città, di creare una milizia cittadina per fronteggiare i tedeschi. <21
Non fu però una transizione morbida e già l’indomani del 25 luglio alcune manifestazioni erano state disperse dalla forza pubblica come accaduto al cantiere Scoglio Olivi, ma fino all’armistizio italiano non si registrò alcun fatto che dimostrasse la presenza attiva di un movimento insurrezionale se si esclude qualche episodio di sabotaggio alle linee telefoniche. Molti uomini erano richiamati alle armi, i più giovani mobilitati con l’ultima leva e spesso mandati in altre province, gli oppositori internati fino ad agosto, chi aveva avuto la possibilità si era trasferito in località più sicure, per cui in Istria erano rimaste molte donne, anziani e bambini. Una ancora forte presenza militare sconsigliava le iniziative e l’unica formazione partigiana (I^ Compagnia istriana), formata da 13 persone, era dislocata nella sicura valle della Ciceria, lontano da strade e centri urbani. <22 La gente attendeva il secondo ribaltòn, una
transizione incruenta come era accaduto 25 anni prima per l’Austria-Ungheria.
Esclusi i comunisti il fronte antifascista democratico era ben poca cosa e faceva capo principalmente ad Antonio De Berti, Giuseppe Callegarini, Guido Smareglia, Guido Miglia, Giuseppe Stefanacci, Carlo Gonan, Enrico Cattonaro, Attilio Craglietto, Remigio Sepetich, qualche giovane e pochi altri che avevano iniziato ad incontrarsi dal 1942. Annota Ennio Maserati: “nonostante il fervore di rinnovamento (…) la vita politica della città è ben lungi dall’assumere un aspetto concretamente democratico. Le autorità militari e di polizia (…) mantengono un atteggiamento di assoluta intransigenza verso ogni iniziativa…” <23 E l’annunciato cambio delle autorità comunali e provinciali non si realizza, anzi le pressioni a Roma e con i vertici militari ottengono scarsi risultati.
Però le cose precipitarono inaspettatamente alla notizia dell’armistizio e i Comitati di Salute Pubblica non ottengono la collaborazione dell’ammiraglio Gustavo Stazzeri, comandante della Piazza, per difendere la popolazione ed opporsi all’occupazione delle truppe tedesche nel frattempo affluite in Italia e già presenti, sia pur in forma esigua, nella base sommergibili. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre avevano lasciato gli ormeggi le navi scuola “Vespucci”, “Colombo” e “Palinuro”, la corazzata “Giulio Cesare” con altre unità di superficie e tre sommergibili, dirette a Malta dove si sarebbero consegnate ai britannici. In città erano presenti oltre 20 mila soldati, avieri e marinai, armati di tutto punto, ed altrettanti erano giunti per ripiegamento dalla Croazia, senza contare le difese costiere, il campo d’aviazione di Altura e l’idroscalo. Saranno sufficienti 200 marinai tedeschi per immobilizzarli e disarmarli. Senza troppi indugi e senza predisporre un piano difensivo l’ammiraglio Stazzeri trattava la resa con il comandante della colonna tedesca giunta nel frattempo in città e il 12 settembre il maggiore delle SS Hertlein assumeva il comando di Pola offrendo ai militari italiani alla collaborazione l’alternativa dell’internamento. <24 L’Istria fu occupata dai tedeschi solo dopo il 4 ottobre 1943 e Pola passò così dall’amministrazione italiana a quella tedesca, nell’ambito della Zona d’Operazioni Litorale Adriatico. Nel frattempo si era ricostituito il Fascio di Pola, retto dl commissario federale Tullio Cariolato, che aveva chiamato a raccolta i più fedeli dando vita alla squadra “Ettore Muti” che poi confluirà nel 2° reggimento “Istria” della Milizia Difesa Territoriale, versione locale della Guardia Nazionale Repubblicana, subordinata ai comandi delle SS. I marò del “San Marco” confluirono nella compagnia “Nazario Sauro” e poi, assieme agli equipaggi sommergibili della squadriglia “Longobardo”, nella Decima Flottiglia Mas. <25
Per tutto il mese di settembre la città rimane senza una guida amministrativa, in balìa degli eventi, e soltanto il 2 dicembre 1943 i tedeschi provvederanno all’insediamento del Capo della provincia, l’avvocato Lodovico Artusi, affiancato da un viceprefetto, il croato avvocato Bogdan Mohorivich, scelta tesa a disegnare i rapporti che essi intendevano instaurare con la popolazione croata dell’Istria.
[NOTE]
11) Direttive del Prefetto per una razionale disciplina dei lavori di trebbiatura in corso, 7 luglio 1943, “Corriere Istriano”.
12) Luciano Giuricin, La lotta di liberazione in Istria alle sue origini, “Qualestoria”, Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, a. X, n. 2, Trieste 1982, (118-128), p. 120.
13) Ibidem, pp. 123-124.
14) Ottavio Paoletich, Riflessioni sulla resistenza e il dopoguerra in Istria e in particolare a Pola, “Quaderni”, Centro di Ricerche Storiche Rovigno, vol. XV, Unione Italiana Fiume, Università Popolare Trieste, Rovigno-Trieste 2003, (83-119) p. 89.
15) Luciano Giuricin, cit., pp. 127-128.
16) Giorgio Privileggio, Appunti di un carcerato antifascista istriano, “Quaderni”, vol. V, Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, 1978-1981, pp. 375-379.
17) Ottavio Paoletich, cit., pp. 90-91.
18) Ibidem, p. 93.
19) Parliamoci chiaro, 1 agosto 1943, “Corriere Istriano”.
20) Auspicato nell’agosto 1943 un fronte comune italiano, 28 agosto 1957, “Arena di Pola”.
21) Ennio Maserati, Il periodo “badogliano” a Pola e in Istria, 11 maggio 1962, “Trieste” pp. 14-17.
22) Ottavio Paoletich, cit., pp. 95-96.
23) Ennio Maserati, cit., p. 15.
24) Ibidem, pp. 16-17; Luciano Giuricin, Il Settembre ’43 in Istria e a Fiume, “Quaderni”, Centro di Ricerche Storiche Rovigno, vol. XI, Unione Italiana Fiume, 1997, (7-115), p. 35; Gaetano La Perna, Pola, Istria, Fiume. 1943-1945. L’agonia di un lembo d’Italia e la tragedia delle foibe, Mursia, Milano 1993, pp. 40-42.
25) Raul Marsetić, I bombardamenti alleati a Pola. 1944-1945. Vittime, danni, rifugi, disposizioni delle autorità e ricostruzione, Centro di Ricerche Storiche Rovigno, Monografie VIII, Unione Italiana Fiume, Università Popolare Trieste, Rovigno-Trieste 2004, pp. 16-17.
Roberto Spazzali, Pola operaia (1856-1947), Circolo di cultura istro-veneta “Istria”, Trieste, 2010

Nella Venezia Giulia, accanto alla resistenza italiana si sviluppò quella croato/slovena, che aveva anche chiare mire di liberazione di quelli che erano considerati territori etnicamente croati e sloveni. Infatti, i comunisti, per trovare sostegno e consenso popolare, fecero propri e privilegiarono le rivendicazioni classiche del nazionalismo “borghese” croato e sloveno – che erano sorte prima del 1914 ed erano state esacerbate durante il ventennio fascista – sostenendo che tutta la penisola istriana, addirittura tutto il territorio fino all’Isonzo, dovevano passare alla Croazia e alla Slovenia, ovvero alla Jugoslavia. La Regione Giulia, e l’Istria in particolare, che dopo la I guerra mondiale non erano state inserite nel Regno degli Sloveni, Croati e Serbi, venivano rivendicate in quanto facenti parte del “territorio etnico” di quelli che stavano diventando due popoli costitutivi la federazione jugoslava.
I “proclami di annessione” dell’Istria alla Croazia e del Litorale sloveno alla Slovenia del settembre 1943, attuati dagli organismi regionali che erano espressione del movimento popolare di liberazione jugoslavo, rappresentarono degli elementi distintivi e assolutamente inediti rispetto alle altre zone e regioni in cui si sviluppò il MPL. In questi territori perciò i motivi del riscatto nazionale si fusero con quelli della liberazione dall’”occupante/oppressore” e con i motivi di carattere sociale, come la distribuzione della terra e l’espropriazione dei latifondi <41.
Un’altra caratteristica fondamentale da rilevare è legata al fatto che sin dal 1941 la dirigenza del movimento di liberazione jugoslavo stabilì che nelle zone liberate la vecchia amministrazione regia sarebbe stata sostituita dai “comitati di liberazione”, che in seguito diventarono i nuovi organi politici e civili del potere jugoslavo. Si creavano, perciò, i fondamenti di una nuova statualità, di un nuovo potere, che fu definito “potere popolare” in quanto sarebbe stato espressione della volontà del popolo. Il modello sperimentato nel primo territorio libero, a Užice, nella Serbia centro-occidentale (1941), fu proprio quello di un nuovo ordine istituzionale e politico che azzerasse quello precedente.
Tra le macerie della Jugoslavia occupata, tra gli Stati fantoccio filofascisti, i comunisti alla guida della resistenza jugoslava riuscirono dunque a trovare uno spazio per la loro affermazione politica combattendo non solo contro l’occupante tedesco e italiano (il movimento partigiano era diffuso nei primi anni tra le montagne dinariche), ma soprattutto contro gli ustaša croati e i cetnici serbi. Per controllare il territorio liberato imposero nuove leadership in ogni comunità. Non bastavano la simpatia o il consenso, che comunque c’erano, della popolazione: chi non accettava il nuovo potere, magari sperando in una copertura nazionale (croata o serba), veniva eliminato. Intere élites furono soppresse dai villaggi del Montenegro a quelli della Dalmazia interna, al Gorski Kotar. In Slovenia si fecero i conti con le scolte contadine e con quelle forze slovene che fiancheggiavano le truppe italiane. Il fine della rivoluzione, cioè la presa del potere e la creazione di un nuovo ordine (il potere popolare), era addotto a giustificazione del mezzo, cioè l’eliminazione del nemico della rivoluzione, o “nemico del popolo”.
Il periodo che va dal 1943 e il 1945 fu un periodo denso di cambiamenti e non poteva essere altrimenti. Il disarmo delle truppe italiane aveva portato armamenti, munizioni e vestiario alle forze partigiane jugoslave; inoltre, dal dicembre 1943 il movimento di Tito fu riconosciuto dagli alleati, che dall’Italia meridionale iniziarono a rifornirlo con mezzi e viveri.
Il 1944 vide una crescita senza eguali tra i movimenti di liberazione in Europa di quello che era diventato a tutti gli effetti l’esercito jugoslavo.
Nell’ottobre del 1944, Tito era già a Belgrado <42 e disponeva di intere armate che dovevano marciare verso occidente, fino al confine etnico definito dai filo-jugoslavi nel 1915-17. Il Movimento popolare di liberazione (MPL) non soltanto disponeva di un esercito e di un territorio, ma si era sviluppato in un organismo maturo, con volontà e ambizioni politiche proprie. In effetti, alla fine di novembre 1943, l’AVNOJ (Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia), si era autoproclamato massimo organo del potere delle forze partigiane, e dunque governo provvisorio.
Nonostante fosse in realtà espressione della volontà e degli interessi di un gruppo ristretto, che deteneva saldamente nelle proprie mani le leve del comando, nell’Avnoj furono inclusi esponenti della vita politica e culturale prebellica, non affiliati al partito comunista, per dare all’assemblea la parvenza della più vasta rappresentatività possibile <43.
[NOTE
41 Vedi AA.VV., Istra i Slovensko primorje, Rad, Beograd, 1952; L. DRNDIC, Oružje i sloboda Istre, 1941–1943, Školska knjiga, Zagreb-Pula, 1978, trad. it. Le armi e la libertà dell’Istria, 1941-1943, Edit, Fiume, 1981; G. LA PERNA, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia, 1993; O. MOSCARDA OBLAK, Il Novecento 1918-1991, in Istria nel tempo (a cura di E. Ivetic), Centro di ricerche storiche, Rovigno, 2006, in particolare le pp. 561-574. Tali tematiche sono riprese e analizzate anche negli studi di R. PUPO, Il lungo esodo, Rizzoli, Milano, 2005 e Id., Il confine scomparso, IRSML, Trieste, 2007.
42 Sulla situazione in Serbia, in particolare in Vojvodina, vedi M. PORTMANN, Die kommunistische Revolution in der Vojvodina 1944-1952, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien, 2008.
43 Cfr. B. PETRANOVIĆ, Istorija Jugoslavije, cit., pp. 280-302.
Orietta Moscarda Oblak, Il “potere popolare” in Istria (1945-1953), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trieste, Anno accademico 2013/2014

In una regione come l’Istria, dove la primazia sociale della componente italiana era sancita legislativamente, era fisiologico che gran parte della popolazione autoidentificantesi come slovena e croata fosse antifascista; ciò, specie nelle zone dove prima dell’avvento del fascismo la popolazione jugoslava fosse già stata maggioritaria, si tradusse in un riferimento politico al KPJ più che al Partito Comunista Italiano, nel momento della lotta partigiana. Inoltre la Resistenza partigiana del KPJ aveva una strutturazione funzionante già da due anni, al momento della formazione dei primi coordinamenti italiani, e come abbiamo visto, oltre a fare proselitismo nei territori occupati militarmente dall’Italia, le formazioni partigiane jugoslave avevano già seguito tra la popolazione identificantesi come slovena e croata nei territori di frontiera già parte dello Stato italiano prima dell’invasione della Jugoslavia. Le operazioni della Resistenza istriana iniziarono senza particolari coordinamenti a livello locale, con gruppi nati spontaneamente con il sostegno di entrambi i partiti, ed era molto facile trovare comunisti identificantisi come italiani e jugoslavi uniti negli stessi battaglioni per lo scopo comune di liberare l’Istria dal nazismo, come prima del settembre 1943 in cui iniziarono le operazioni della Resistenza armata in Istria (che dal 10 di quel mese venne posta sotto il controllo diretto della Germania nazista sotto il nome di Operationszone Adriatisches Küstenland, insieme a gran parte dell’attuale regione Friuli-Venezia Giulia e ai territori sloveni e croati occupati dalle truppe fasciste italiane) erano stati uniti nella lotta clandestina al fascismo <44.
Al momento della resa italiana e della nascita dei coordinamenti partigiani all’interno del territorio dello Stato italiano, dunque, l’AVNOJ controllato dal KPJ era dunque una forza consolidata, appartenenti sloveni e croati della quale, già vicini al Partito Comunista Jugoslavo (ma anche al PCI nei contesti in cui fosse stato possibile o necessario) durante gli anni della dominazione italiana, erano da mesi pronti alla mobilitazione anche in territori già precedentemente parte del regno d’Italia, come la penisola istriana.
Osservando la documentazione che gli agenti jugoslavi già presenti in territorio istriano per preparare la mobilitazione prima della resa italiana produssero per i rami di agitazione e propaganda del KPJ, emergono interessanti panoramiche tanto sulle dinamiche d’azione di tali distaccamenti clandestini e silenziosi della mobilitazione partigiana jugoslava quanto sulla vita politica e sociale di diversi contesti della penisola al tramonto del fascismo. Se infatti, in una lettera del 23 maggio 1943, un agente a Rovigno comunicava al distaccamento regionale istriano del KPH di aver distribuito stampa clandestina italofona in città – tra la quale “Il Lavoratore”, per la cui distribuzione a Rovigno era già stato condannato dal TSDS Pino Budicin – e chiedeva più materiali per i comunisti di nazionalità italiana senza accennare a mobilitazioni prossime <45, così come un suo omologo a Medolino che il precedente 29 aprile aveva anche chiesto alla dirigenza di essere messo in contatto con i comunisti di nazionalità italiana del PCI con cui il KPJ della cittadina marittima non aveva rapporti <46, già nel mese di giugno la situazione era cambiata. Una lettera al comitato regionale istriano del KPH, infatti, oltre a evidenziare schemi di suddivisione territoriale (la lettera era firmata “Base n. 5”, corrispondente all’area tra Rovigno, Canfanaro e Gimino <47, e ne emerge che ogni base fosse suddivisa in comuni, il che fornisce un’idea della partizione di competenze tra agenti del KPJ in aree geografiche ristrette), mostra che i distaccamenti clandestini jugoslavi fossero pronti all’azione militare e stessero organizzando comitati di resistenza tra la popolazione. Ciò, ad ogni modo, valeva solo per la popolazione di nazionalità croata dell’area della base: parlando delle organizzazioni antifasciste facenti riferimento politico al PCI del “Comune n. 2” (Rovigno), la comunicazione affermava che queste ultime avrebbero dovuto prendere direttive da Roma e avrebbero in seguito stabilito se agire per proprio conto o in cooperazione con le forze jugoslave o integrandosi a esse <48.
[NOTE]
44 Cfr. Lucifero Martini, I protagonisti raccontano. Tra cronaca e storia: Diari, ricordi e testimonianze di combattenti italiani nella Lotta Popolare di Liberazione della Jugoslavia (Pula: Centro di Ricerche Storiche – Rovigno, 1983), pp. 11-27. Per una panoramica sull’amministrazione militare nazista della regione: Stefano Di Giusto, Operationszone Adriatisches Künstenland. Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana durante l’occupazione tedesca (1943-1945) (Udine: Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 2005).
45 Hrvatski Državni Arhiv (di seguito HDA), Oblasni Komitet Komunistička Partija Hrvatske za Istru (1943-1947), HR-HDA-1808, KP-286/1, f. 2.
46 HDA, Oblasni Komitet Komunistička Partija Hrvatske za Istru (1943-1947), HR-HDA-1808, KP-286/2, f. 3.
47 Nikola Crnković, Neki problemi narodnooslobodilačkog pokreta u Istri 1941-1943, “Revue d’histoire contemporaine”, vol. 2-3, n. 3 (Marzo 1972), p. 42.
48 HDA, Oblasni Komitet Komunistička Partija Hrvatske za Istru (1943-1947), HR-HDA-1808, KP-286/3, ff. 1-2.
Francesco Maria Mengo, La minoranza italiana in Istria: localismo, nazionalità e costruzione di un’identificazione jugoslava, Tesi di dottorato, Universitat Pompeu Fabra, Barcelona, 2017

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