Partigiane liberali

Castello di Carimate, settembre 1945, riunione plenaria della Franchi. In foto, tra gli altri, Mimmina Brichetto e Cristina Casana (Archivio privato Edgardo Sogno) – Fonte: l’Occidentale cit. infra

L’appello redatto da Edgardo Sogno nel 1943, in casa di Uguccione Ranieri di Sorbello, e fatto recapitare, prima, ai grandi vecchi liberali (Casati, Croce, Nina Ruffini e Giuliana Benzoni), firmato con il nome di «Comitato Centrale Esecutivo dei Gruppi Liberali Monarchici Italiani», e poi fatto pervenire al Re, rappresentò per chi lo elaborò e per chi vi aderì l’abbandono di ogni indugio. «Ci siamo incontrati e uniti nella lotta della Resistenza giovani di partiti diversi, ritrovandoci concordi nella esigenza comune di un nuovo costume morale e politico. Abbiamo, tra di noi, provata la possibilità e la bellezza della tolleranza e della collaborazione, e sentiamo che la rinascita democratica dell’Italia è legata a questa nostra esperienza che è anche la fede e la nostra speranza». <229
Lo stato d’animo che animava i giovani resistenti fu così descritto da Sogno nel 1968, appuntato tra i suoi ricordi autobiografici: “Se, premendo un bottone, avessi potuto distruggere ottanta milioni di tedeschi, non lo avrei premuto con un dito ma con un pugno”. <230
Però a creare le basi di uno scambio non solo di idee e preziose informazioni circa la sorte del regime, ma anche e soprattutto di confidenze arrivate al momento giusto che mettessero in salvo i principali protagonisti della lotta, qualunque fosse la loro ubicazione geografica, furono la collaborazione fattiva e il sodalizio tra le due generazioni, che continuò per tutto il periodo della guerra e oltre: grazie alla creazione di una capillare rete antifascista liberale che, come prima richiamato, da Napoli, passando per Roma, risaliva attraverso Milano, Genova e Torino a nord della linea gotica, attraverso un sofisticatissimo sistema che, oltre a aviolanci di uomini, metteva in moto corrieri e staffette.
[NOTE]
229 «Costume» 22 aprile 1945, Milano. Si veda: G. PARLATO, Dalla moralità del combattimento al moralismo della politica. I giovani liberali di «Costume» e la delusione dell’antifascismo (1945-1946), in «Storia Contemporanea», f.6, a. XXVII, 1996, pp. 1165 – 1204.
230 Appunto dattiloscritto di Edgardo Sogno in APES, Torino.
Rosa (Rossella) Pace, Noi, le altre. Le donne liberali nella Resistenza, Tesi di Dottorato, “Sapienza” Università di Roma, Anno Accademico 2018-2019

Virginia Minoletti Quarello, Cristina Casana, Maria Giulia Cardini, Mimmina Brichetto, Marcella Ubertalli, Maria Eugenia Burlando, Nanda Mura … Chi erano costoro?
I loro nomi ci suonano in gran parte sconosciuti. A loro non sono stati eretti monumenti. Le loro gesta non sono state celebrate in film o fiction televisive. Eppure, se dopo la dittatura fascista e la seconda guerra mondiale l’Italia è diventata un paese integrato tra le democrazie e le grandi economie indistrializzate, lo si deve anche a loro, e non poco.
Erano donne appartenenti a famiglie della grande e media borghesia italiana, di formazione liberale, cattolica, monarchica. Donne che a partire da quella formazione tra il 1943 e il 1945 esercitarono ruoli di primo piano nella Resistenza contro il nazi-fascismo: coordinando, organizzando, dirigendo una fitta rete di gruppi armati nell’Italia settentrionale.
Ora le loro storie, e quelle di molte altre, sono raccontate – sulla base di documenti in larga parte inediti e di una paziente ricerca presso archivi familiari – nel libro Partigiane liberali. Organizzazione, cultura, guerra e azione civile di Rossella Pace (Rubbettino editore).
Tenendosi accuratamente fuori da tutti gli stereotipi della storiografia “di genere”, l’autrice porta alla luce figure di donne che furono protagoniste senza dover chiedere concessioni a nessuno: per l’educazione che avevano ricevuto, per il senso del dovere e della dignità che avevano ereditato, per una naturale adesione all’ideale della libertà contro l’oppressione. Donne estranee a qualsiasi indottrinamento ideologico totalitario: quello fascista che aveva irregimentato l’Italia per un ventennio, ma anche quello comunista.
Virginia Minoletti Quarello, tra Genova e Milano, organizzò il servizio di prestito e i trasporti di materiali logistici e armi del CLNAI, per poi entrare nel comando del Corpo volontari della libertà e diventare una dirigente dell’organizzazione Franchi, la più corposa formazione dell’antifascismo liberale, guidata da Edgardo Sogno. Cristina Casana fece della sua villa familiare di Novedrate una delle basi logistiche e di comunicazione della stessa Franchi, ospitando una stazione radio e nascondendo partigiani alla macchia, ricercati, ebrei in fuga dalle deportazioni. Maria Giulia Cardini fu l’unica donna in Italia a diventare, dopo una militanza attiva nella Resistenza piemontese, capo cellula di una missione militare delle truppe alleate, la Chrysler, nelle valli di Susa, Aosta e Pellice […]
Eugenio Capozzi, Quelle partigiane liberali dimenticate: futura classe dirigente dell’Italia in Occidente, l’Occidentale, 25 aprile 2020

[…] Quali sono le peculiarità delle donne appartenenti alle grandi famiglie dell’aristocrazia liberale che animano la Resistenza?
Sicuramente la posizione delle donne appartenenti all’aristocrazia liberale è diversa da quella delle altre partecipanti alla Resistenza. In quanto esponenti di queste grandi famiglie erano cresciute in un ambiente che potremmo definire privilegiato. Molte di loro parlavano le lingue straniere e infatti si faceva spesso ricorso a loro nei colloqui con gli alleati. Un tipico esempio fu quello di Cristina Casana, nipote di Lavinia, che a Roma raccolse attorno a sé numerose personaggi dell’antifascismo. Oppure il caso di Mimmina Brichetto, dalla personalità talmente tanto folgorante che lo stesso Edgardo Sogno, durante il loro primo incontro a casa di Giustino Arpesani, rimase impressionato dal suo interloquire.
Quale storia ritiene particolarmente significativa ascrivibile ad una donna che svolse un ruolo rilevante nell’organizzazione Franchi di Edgardo Sogno?
Le donne che ruotarono attorno all’organizzazione furono tante, molte di più di quelle che si immaginava. Svolgevano tutte un ruolo importante, basti pensare a Marcella Ubertalli e a Lelia Ricci, che operavano in stretta connessione con vari membri della Franchi. Sicuramente il caso che più colpisce è quello di Maria Giulia Cardini, per la cui liberazione Sogno sequestrò la figlia del console tedesco a Torino. Dopa essere stata liberata, la Cardini lasciò Torino per spostarsi in Val d’Ossola dove guidò, è questo l’unico caso incontrato, una guarnigione di soli uomini all’interno della missione alleata Chrysler. Emblematica anche la scelta del nome di battaglia Antonio.
In quali circostanze emergono le capacità organizzative di donne colte, raffinate, probabilmente poco avvezze ad atti di resistenza?
Queste donne cresciute nei salotti aristocratici quando fu il momento di scendere in campo per la patria lo fecero senza nessun dubbio. Lo fecero con azioni ascrivibili a quella che comunemente viene definita dallo storico francese Jacques Sémelin resistenza civile. Infatti, a differenza di comuniste e socialiste, le liberali decisero di non prendere le armi in mano ma di dedicarsi a tutta una serie di azioni volte ad appoggiare l’azione maschile. Tali compiti andavano dalla assistenza ai prigionieri e alle loro famiglie alla gestione dei fondi, dal servizio di staffetta al coordinamento delle riunioni e degli incontri clandestini. Dal Diario di Virginia Minoletti Quarello apprendiamo quanto questo impegno fosse pericoloso ed oneroso, al pari di quello svolto da tutte le altre partigiane impegnate nella guerra di liberazione nazionale.
Qual è l’esito della strada percorsa dalle partigiane liberali? Cosa accade loro nella generale crisi delle vecchie élites davanti all’avanzata dei partiti di massa?
Alla fine, la loro partecipazione alla Resistenza si è persa nelle larghe maglie della storiografia. All’indomani del 25 aprile quasi tutte tornarono ai loro impegni di sempre, continuando comunque il loro impegno a difesa della società e dei valori venuti fuori dalla guerra, ma in privato. Molte di loro non richiesero mai un riconoscimento per le azioni svolte. Non vi è dubbio che i partiti di massa proprio attraverso la partecipazione alla lotta di liberazione nazionale cementarono i loro valori. Ma, come sostenne Nina Rufini in un convegno sula Resistenza liberale del 1971, “come sorprendersi di ciò, se noi stessi siamo stati così cattivi custodi delle nostre memorie?”
Rossella Pace, PhD in Storia dell’Europa presso l’Università “Sapienza” di Roma. È Segretario Generale dell’Istituto Storico per il Pensiero Liberale Internazionale. Si è occupata di Storia del liberalismo, di Resistenza, di storia sociale e relazioni diplomatiche. È autrice del volume Una vita tranquilla. La Resistenza liberale nelle memorie di Cristina Casana (Rubbettino 2018), Partigiane liberali. Organizzazione, cultura, guerra e azione civile (Rubbettino, 2020) e di vari saggi e articoli su riviste specialistiche. Ha curato inoltre i volumi La fatalità della guerra e la volontà di vincerla. Classe dirigente liberale, istituzioni e opinione pubblica (2019) e Diplomazia multilaterale e interesse nazionale. Dal Congresso di Vienna (1815) all’atto finale di Helsinki (1975) e oltre (2016).
Redazione, Partigiane liberali, Giusy Capone Blog, 23 ottobre 2020

[…] una parte degli uomini che erano stati raccolti da Pavone, furono rilevati da Craveri per l’ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana), che egli reclutò per l’OSS (Office of Strategic Services) dopo essere stato avvicinato a Capri nel settembre dal generale Donovan. Lo aiutava nell’impresa uno scienziato napoletano, il dottor Enzo Boeri, le cui simpatie politiche (come quelle di Craveri) oscillavano fra il PDA e il PLI. Donato Peccerillo in ANPI Brindisi

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Pensionato di Bordighera (IM)
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