Ci avete comunicato che l’ufficiale Carlo è stato fucilato per aver trattato col nemico tedesco, ma dal verbale del processo non risulta affatto che egli abbia patteggiato con i tedeschi

Il caso di Carlo Baruffi si differenzia dai precedenti per la sua specificità locale. A quanto sembra dai documenti, il coinvolgimento nella vicenda del Comando di Raggruppamento e della Delegazione lombarda del comando generale fu minimo e avvenne quando ormai tutte le decisioni erano state prese. Carlo Baruffi era un ufficiale dell’esercito che aveva combattuto col colonnello Carlo Croce a S. Martino, era con lui riparato in Svizzera e nel luglio del 1944 era tornato in Italia per preparare il rientro del colonnello in Valtellina. Quando Croce fu intercettato e ucciso dai tedeschi, Baruffi ed altri suoi ufficiali organizzarono un gruppo di partigiani nella zona di Torre Santa Maria con l’aiuto di Attilio Ponti, antifascista e dirigente partigiano in alta valle <71. Dopo poco, avevano deciso di spostarsi in bassa valle, dove il movimento partigiano era più organizzato, si erano presentati al comando della 40^ ed erano stati assegnati a varie formazioni <72. Carlo fu mandato a Postalesio, pochi chilometri sotto Sondrio, a comandare un minuscolo distaccamento di sette o otto uomini. Non sembra che al comando di questo distaccamento Carlo abbia mai compiuto azioni belliche di rilievo, né che il suo gruppo sia mai stato attaccato durante i rastrellamenti. Insospettito da questa inattività, Nicola [Dionisio Gambaruto] decise di mandare qualcuno a controllare la situazione e scelse Luisa Manfredi, che era già stata collaboratrice di Al nel lecchese e che col nome di Manuela aveva operato come commissario politico nella 40^ Matteotti. In una lunga testimonianza sulla sua attività partigiana, Manuela parla diffusamente della sua ispezione a Postalesio: “Scoprii che Carlo tutti i giorni a pomeriggio inoltrato andava a Sondrio a prendere l’aperitivo al caffè sulla piazza principale. Questo mi turbò perché a Sondrio c’era e ci fu fino alla fine un enorme concentramento di brigate nere e di forze tedesche” <73. Al sospetto che Carlo se la intendesse coi fascisti seguì la conferma della filosofia attendista di Baruffi e del suo entourage. Carlo fissò a Manuela un appuntamento con un sedicente membro del CLNAI. L’incontro, che doveva avvenire a Sondrio, fu spostato a Postalesio per la diffidenza dell’ispettrice di Nicola. “Sentii solo rampogne – ricorda Manuela – e aspri rimproveri per il comportamento pazzesco, assurdo, insensato della nostra divisione, troppe azioni, troppo disturbo, a che cosa miravamo, qual era il nostro fine e che dovevamo aspettare il momento buono” <74. Manuela scrisse dunque un rapporto riservatissimo per Nicola e lo affidò ad una staffetta, ma Carlo la intercettò e con una scusa si fece consegnare lo scritto. Da ciò insospettita, Manuela anticipò di alcune ore il suo rientro al comando della 40^. “In quanto al mio rapporto per Nicola – conclude – a Liberazione avvenuta seppi da dei partigiani della nostra divisione che era stato trovato a Sondrio, in Prefettura, in un cassetto della scrivania del prefetto fascista” <75.
I sospetti di collegamento con tedeschi e fascisti erano in realtà la conseguenza e non la causa dei dissapori tra Carlo e il comando garibaldino. Parravicini testimonia che Carlo non condivideva i metodi terroristici di Nicola e stava progettando di separarsi dalla divisione garibaldina: “questo ragazzo che faceva parte del comando di Nicola (i.e. Baruffi, nda) pensava di voler scindersi dalla sua formazione perché anche lui come me non condivideva affatto le… il modo di azione, il modo di agire di Nicola” <76. In effetti, Carlo ricevette soldi e armi dal comando della Divisione GL in alta valle e riuscì a formare un gruppo di alcune decine di partigiani che si ritenevano autonomi dal comando della Divisione Garibaldi <77. Per i comandanti garibaldini questi contatti con l’alta valle equivalevano ad un tradimento: “ad un certo momento – ricorda Luigi Grassi, allora commissario politico della I^ Divisione Garibaldi – quando nella Divisione troviamo due comandanti di distaccamento (i. e. Baruffi e Parravicini, nda) e prendono due distaccamenti e fanno di tutto per portarli in un’altra formazione, sguarnendo una parte sulla quale contavamo, questo per noi è tradimento” <78.
Da questo momento, sul capo di Carlo cominciarono a piovere accuse di intesa coi fascisti: “diversi partigiani confermarono questa voce, questa accusa che lui fosse entrato in contatto con ufficiali fascisti per una specie di modus vivendi. Questa era l’accusa e d’altra parte però c’era stata un’accusa che si ritorceva contro Nicola e cioè che egli avesse aggravato l’accusa molto risentito dal fatto che gli esponenti dell’Alta Valtellina stessero invadendo un po’ la zona che faceva parte della sua influenza” <79. Queste parole di Giulio Spini sono confermate da Plinio Corti, uno dei capi della Resistenza in alta valle: “nel frattempo emissari della brigata Matteotti cominciavano sott’acqua tra i gregari la solita opera di calunnia, di disgregazione: furono fatte circolare voci che Carlo era un traditore e un venduto ai fascisti e alla polizia, che rubava i denari destinati alle bande, che noi eravamo dei fascisti ecc. ecc.” <80.
Come abbiamo visto, l’accusa di filofascismo o di tradimento a favore dei fascisti fu lanciata contro tutti coloro che tralignavano dalla strada maestra del movimento garibaldino. Nel caso di Baruffi, le accuse si baseranno su alcuni documenti che sarebbero stati trovati in tasca a Carlo al momento del suo arresto. Tuttavia, queste carte erano probabilmente delle tessere in tedesco emesse dalla Todt, l’organizzazione tedesca preposta allo sfruttamento del legno della Valtellina, che una giovane partigiana, Rachele Brenna, inquadrata nelle formazioni in alta valle e impiegata presso il municipio di Sondrio, era riuscita a sottrarre. A quanto pare, Carlo avrebbe distribuito queste tessere ai suoi compagni, perché potessero passare senza problemi attraverso i posti di blocco tedeschi <81.
Per porre fine al dissidio, Plinio Corti ordinò a Carlo di spostarsi in alta valle, ma ebbe l’ingenuità di mandare copia dell’ordine a Nicola, per conoscenza <82. Nicola non aspettava altro. Inviò subito una gruppo di uomini a Postalesio per arrestare Baruffi. Il commando, dalla Val Tartano, allora sede del comando di divisione, scese al piano, filtrò tra i soldati tedeschi che pattugliavano la zona e puntò su Colorina. Gli uomini di Nicola attraversarono la pianura e si fermarono poco prima di Postalesio: bisognava trovare il momento giusto per entrare in paese senza essere visti dalle sentinelle di Carlo. Al momento opportuno i partigiani garibaldini sfilarono non visti sotto gli occhi delle sentinelle e disarmarono gli uomini di Baruffi. Carlo riuscì a fuggire verso Castione: in quella zona c’era il distaccamento comandato da Ettore, il cui commissario politico era Germano Bodo, compagno di Carlo nella formazione del colonnello Croce. Avvertito da Cupido, un uomo di Parravicini, Germano incontrò Carlo nella chiesa di Castione. Baruffi protestò la sua innocenza e Bodo non poté fare altro che consigliare all’amico di scappare. Ma non c’era più tempo: il commando di Nicola aveva seguito le tracce di Carlo fino a Castione. Baruffi provò a nascondersi nella canna del camino della casa parrocchiale, ma fu subito scoperto. Arrestato assieme al povero Cupido, fu portato quella stessa notte a Cosaggio, in Val Tartano, dove Nicola aveva già convocato il Tribunale partigiano. A sostenere l’accusa fu chiamato Primo, al secolo Luigi Grassi, commissario della divisione Garibaldi; la difesa fu presa da Germano Bodo e da suo fratello, con l’intervento di Cesare Parravicini; Nicola presiedeva il tribunale. I difensori si batterono a lungo per scagionare i due imputati. Cupido ebbe salva la vita, ma per Carlo Baruffi non ci fu nulla da fare: fu fucilato poco sopra Cosaggio, la notte seguente <83.
Il caso Baruffi fu gestito all’interno del Raggruppamento della I e II divisione Garibaldi. Il Comando di Raggruppamento, che era nelle mani di Ario [Mario Abbiezzi], riferì alla Delegazione lombarda del Comando Generale solo a fatto compiuto e con diversi giorni di ritardo. Il 25 settembre la Delegazione scrisse al Raggruppamento, alle due Divisioni e alle rispettive Brigate: “Da oltre dieci giorni noi non riceviamo notizie dell’attività del Comando Raggruppamento e quando le riceviamo sono vecchie che quasi non servono più” <84. Quelle poche informazioni che Ario fece avere ai suoi superiori originarono qualche dubbio: “Ci avete inviato dei documenti riguardanti il processo dell’ufficiale Carlo, ma non ci avete fatto un sia pur breve rapportino che ci serva di guida chiarificatrice nello studio del documento stesso. Ci avete comunicato che l’ufficiale Carlo è stato fucilato per aver trattato col nemico tedesco, ma dal verbale del processo non risulta affatto che egli abbia patteggiato con i tedeschi. Perciò noi siamo molto all’oscuro su di un fatto di grande importanza come la fucilazione di un ufficiale. Vi domandiamo pertanto delle delucidazioni sul processo Carlo e compagni e vi preghiamo di essere più precisi in avvenire in tutti i problemi che ci portate a conoscenza” <85. Qualcuno, negli alti comandi garibaldini, cominciava ad avere dei dubbi su Nicola e i suoi metodi draconiani che rischiavano di spaccare il movimento partigiano in bassa valle, inimicare la popolazione e mettere così a rischio lo straordinario lavoro organizzativo finora compiuto. Per il momento, a Lecco e a Milano nessuno si mosse. Ma tra poco le ripercussioni della vertenza più grave di tutta la Resistenza in provincia di Sondrio, il caso Giumelli di cui scriveremo sotto, spingeranno i superiori Comandi garibaldini ad una presa di posizione che nessuno si sarebbe aspettato.
Il caso Baruffi scosse il movimento partigiano in bassa valle. Un senso di disagio si diffuse fra molti garibaldini, un sentimento di incertezza e di sospetto che cominciò ad estendersi alla popolazione. Ciò era anche dovuto alla fucilazione nei paesi della valle di fascisti o presunti tali, accusati di atti di spionaggio le cui responsabilità non sempre erano accertate e all’intensificarsi delle requisizioni <86. L’atteggiamento di Nicola si inseriva in una azione di stretto controllo delle formazioni che egli andava perseguendo già dal luglio 1944 e di cui abbiamo parlato sopra <87. Tale azione comportava l’epurazione interna alle formazioni degli elementi meno sicuri e la soppressione esterna dei fascisti e delle spie. Le ragioni di tale atteggiamento erano più di una. Innanzitutto, e non ci stancheremo di ripeterlo, il carattere militante del movimento garibaldino, tutto teso a compattarsi, ad espandersi dall’interno attraverso la condivisione del proprio modus operandi da parte di tutte le sue membra. E ciò, sia detto di nuovo, non per calcolo di partito, ma per un forte senso di superiorità democratica e antifascista, che non consentiva ai comandanti garibaldini di accettare facilmente l’autonomia di altre formazioni partigiane. In secondo luogo, il giro di vite sull’autonomia dei distaccamenti in media valle fu una reazione all’opera di proselitismo che Plinio Corti, dopo un fallito tentativo di collaborazione con la 40^ Matteotti, stava svolgendo proprio in quel periodo, allo scopo di condurre i distaccamenti garibaldini intorno a Sondrio nell’orbita della I Divisione Alpina GL operante in alta valle <88. Infine, la terza ragione fu una certa psicosi delle spie e dei traditori che si impadronì dei comandanti partigiani e li spinse all’intransigenza nei confronti dei sottoposti. “In quei mesi – ricorda Giulio Spini – Nicola era molto sotto l’emozione dei possibili traditori e anche perché era per natura sua molto diffidente e poi per la individuazione e soppressione delle spie” <89.
[NOTE]
71 Cfr Ercole Ciriaco Valenti, Coi partigiani in Valtellina, s.d., pagg 119-120.
72 Cfr Il Comando della 40^ Brigata d’Assalto Matteotti al Comando della I Divione Lombardia, 3/8/1944, firmato Diego, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f6.
3 Testimonianza partigiana di Manuela, Issrec.
74 Ivi.
75 Ivi.
76 Intervista fatta a Cesarino Parravicini, doc. cit.
77 Cfr Appunto di Plinio Corti sulla costituzione della 1° Divisione Alpina Valtellina, in Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol II pag 165.
78 Incontro dei capi e commissari della 40^ Matteotti, doc. cit.
79 Intervista al prof. Giulio Spini, doc. cit.
80 Appunto di Plinio Corti, cit.
81 Cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, La Resistenza più lunga. Lotta partigiana e difesa degli impianti idroelettrici in Valtellina: 1943-1945, Milano, SugarCo, 1984, vol. I, nota 34, pag. 168
82 Appunto di Plinio Corti, doc. cit.
83 Per la cattura e il processo di Carlo v. Intervista al prof. Giulio Spini, doc. cit.; Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol. II, pagg 37-38; Intervista a Cesarino Parravicini, doc. cit. e gli accenni di Primo in Incontro dei capi e commissari della 40^ Matteotti, doc. cit.
84 Delegazione Comando per la Lombardia al Comando Raggruppamento ecc., 25/9/1944, firmato La Delegazione, Issrec, Fondo CVL INSMLI, b1 f 1.
85 Ivi.
86 Cfr Intervista al prof. Giulio Spini, doc. cit.
87 V sopra, pag. 12; cfr Intervista a Giulio Spini, doc. cit.
88 Per i rapporti di Corti col comando della 40° e i suoi distaccamenti v. Appunto di Plinio Corti, op. cit., Intervista al prof. Giulio Spini, doc. cit, Intervista a Cesarino Parravicini, doc. cit., Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol II pag. 37, vol I, pagg 125-127 e passim; per la reazione di Nicola alle proposte di collaborazione di Corti v. Il Comando della 40^ Brigata Matteotti al Comando della I Divisione Garibaldi, 22/8/1944, firmato Nicola, Issrec, Fondo CVL INSMLI, b1 f 2.
89 Intervista al prof. Giulio Spini, doc. cit.
Gian Paolo Ghirardini, Società e Resistenza in Valtellina, Tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, Anno accademico 2007-2008

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